E se ci salvasse “Il buon selvaggio”?

di Francesco Greco - Arrivati all'ultima pagina di questo saggio che può cambiarti la vita, non puoi non chiederti: sono teorie filosofico-estetiche, oppure sono praticabili e volendo, tutti potremmo diventare dei “buoni selvaggi”, come voleva un Paul Gaugain che scappò nauseato dall'Europa verso la Polinesia?

Anche noi, che siamo tracimati nelle metropoli, assorbendone le paranoie: piede a tavoletta sull'acceleratore, ghigno al semaforo con chi non parte al verde, litigi condominiali e la massima trasgressione è una piantina di basilico sul davanzale?

Noi che, sfatti dalla sovrastruttura del dominio, che ci spaccia il GF per cultura, ormai ignoriamo che il pero allunga i suoi rami in maniera sgraziata e tuttavia, a primavera offre una visione profumata, di una levità poetica ove volessimo ubriacarcene? E che Lincoln disse che avendo tre ore di tempo per abbattere un albero, la prima si impiega per affilare l'ascia?

Si potrebbe aprire una riflessione seria, magari in tv, il luogo osceno del feticismo: siamo condannati a perseguire in un modello di sviluppo suicida, stili di vita alienanti, che portano alla follia, in attesa della prossima glaciazione, o c'è un'esile speranza, una luce in fondo al tunnel?

Il friulano Devis Bonanni (1984) l'ha cercata e l'ha trovata. E' quel che si dice un contadino 2-0. Nel 2012, con “Pecoranera” (ben 3 edizioni) ci aveva spiegato le teorie alla base del ritorno alla terra, anche un fazzoletto, la sintonia con la Natura e il creato. L'amore per tutto ciò che vive e pulsa di vita intorno a noi, la necessità di osservarlo con occhi nuovi.

In curiosa concomitanza con l'enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”, con cui si interfaccia, e con lo stesso editore (Marsilio) torna in libreria con “Il buon selvaggio” (Vivere secondo natura migliora la vita), pp. 268, euro 17.00 (collana “Gli Specchi”).

Bonanni ricorre a una prosa addolorata e a tratti ispida per dirci che la tragedia del nostro tempo è l'alienazione della Natura, che in certi snodi storici da madre diviene matrigna. E non può essere altrimenti visto che la offendiamo, la saccheggiamo, la oltraggiamo, la avveleniamo, la trattiamo con grande disprezzo.

L'incanto è finito, l'Eden è lacerato: possiamo ricostruirlo? Sapendo comunque che “la terra è bassa”, Bonanni, contadino-filosofo, pensa di si: basta volerlo con determinazione. Come? Finendola di avere un rapporto di rapina con la terra, di dominio, di sfruttamento.

La domanda tuttavia è quella iniziale: chi si può permettere una scelta così radicale? E, soprattutto, ci si può autovalorizzare e tradurre “il buon selvaggio” in reddito? Altrimenti diventa una speculazione estetica, filosofica, sociologica, un po' anarcoide, anche lirica, a tratti commuovente, e tuttavia retorica: acqua fresca.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto