di Ilaria Stefanelli - E’ la seconda occasione questa in cui Vinicio Capossela, cantautore italiano dalle mille radici (nato in Germania, svezzato in Romagna e legato dal sangue all’Irpinia, terra dei genitori) riporta nelle sale il suo pubblico di fedelissimi.
Dopo “ Indebito”, lavoro del 2012, realizzato con Andrea Segre, viaggio musicale all’interno del genere rebetiko greco, arriva nei cinema “Il paese dei Coppoloni”, docu-film ispirato dalle pagine della sua ultima fatica letteraria, edita con Feltrinelli, vincitrice del premio Dante Strega 2015.
Un viaggio tradotto in immagine e accompagnato dai suoni che daranno corpo al nuovo album dell’artista
“ Le canzoni della Cupa”, di prossima uscita, quindi, un viaggio d’occhio e d’orecchio, nelle dimenticate ( ora non più) “ terre dell’osso” che Capossela guarda da lontano , accomunando quelle vette a una sorta di Olimpo greco, terre di mitologia, di dei e semidei, animali parlanti e personaggi da romanzo.
Sono già diversi anni che Capossela è ritornato alle radici proprie dei suoi genitori,l’Irpinia era la terra delle vacanze estive, i compagni di gioco, i racconti del padre Vito, i singolari personaggi che si perdevano nella sua memoria come il viandante tra i crocicchi delle strade semideserte. Il piccolo Vinicio immagazzinava e nel suo viaggio di adulto, di uomo e di artista, a quella radice è ritornato.
Un certo interesse, innato in lui, verso il mito, la ferrovia, le storie d’assenza, i suoni d’assenza, un certo tipo di letteratura, le mutazioni, l’antropomorfismo, il riti popolari collettivi come il matrimonio, il funerale, la resurrezione, la rinascita, elementi che abbiamo sempre trovato disseminati nei suoi vecchi album, trovano ora, in quest’ultima fatica letteraria, cinematografica e prossimamente musicale la propria condensazione più sublime.
Avevamo già preso confidenza con certi personaggi, da “ Ciccillo ristorante” di “ Al veglione”, a “ Brucia Troia” dove il mamuthones sardo sembra confondersi con l’immagine del “ pumminale”, metà uomo, metà animale mitico, a cui Capossela dedica molta attenzione, descrivendolo come bestia che vuole uscire fuori dal recinto per ubriacare i “ siensi perduti”, metafora dell’uomo primitivo, libero e incosciente, che ritorna alla terra per fondersi, con una cerimonia quasi pagana, con gli elementi del naturale e del soprannaturale, tutti elementi di un passato artistico e poetico che ritroviamo qui, in questo lavoro.
Determinante l’incontro artistico e umano con un gruppo di vegliardi, musicanti da matrimonio ribattezzati col nome “ la banda della Posta”, incontro che ha dato vita a un album “ Primo ballo” prodotto dalla Cupa e che ha avuto ampio consenso di critica e di pubblico.
I componenti della “ Banda della posta” sono dei sopravvissuti, allo spopolamento delle terre dell’Ofanto, alle trivelle, ai “ binari morti” e al silenzio delle strade al sopraggiungere del meriggio. Animavano i matrimoni, rito collettivo importantissimo per folklore, significato e durata ( da ore a giorni interi) in terra d’Irpinia, a questi semplici musicanti, ricchi di storie e racconti, con l’avvento del “ moderno”, non restava altro che fare la guardia alla posta, per “scortare” gli anziani che andavano a ritirare la pensione, e di farlo a tempo di musica.
Una illuminazione per il Capossela cantastorie, un amore immediato, un colpo di fulmine. Da qui il sodalizio artistico tra Vinicio e la Banda della Posta e il matrimonio “musicale”.
Un matrimonio che si celebra ad ogni concerto sotto il grido di “Abbundanza” e che ha riportato le nuove generazioni a ballare su sonorità come la polka, la mazurka , il tango, in un ritrovato “ corpo a corpo” che sembrava perso per sempre.
Matrimonio, che da diversi anni si continua a celebrare in Irpinia a fine agosto con lo “ Sponz festival”, che anno dopo anno vede un fiume umano migrare verso le terre dell’osso, persone di tutte le età che brulicano tra le stradine di questo paese da presepe che è Calitri , per dare vita a uno straordinario rito collettivo di cui Capossela è il cerimoniere.
Questi i temi e molti altri ancora, suddivisi per capitoli, come nel libro, all’interno di questo lavoro cinematografico di cui l’artista è cantore indiretto, come un umile “ De martino”, con la leggerezza del suo grande modello Matteo Salvatore di cui si riconosce l’influenza d’ispirazione fortissima, egli cerca di ridare vita a un territorio che non è mai morto, riportando in superficie la sua umanità , le sue contraddizioni, i volti e le storie, gli scenari semideserti, ma ricchi di bestie che si palesano solo la notte e che non si fanno mai vedere se non da un osservatore per volta, la nostalgia per un passato ancora vivo, i personaggi – persone, che hanno ancora tanto da raccontare (da testa di uccello, alle mamme nonne, al barbiere, a Ciccillo che cantava sui transatlantici, a Peppe Matalena, violinista, organista e cantastorie vera anima della Banda della Posta), persone- personaggi ,dal piglio quasi cinematografico, che sembrano venir fuori da certi lavori di Pasolini, attori di strada senza accademia e senza finzione, forti della propria umanità .
La prima della proiezione è avvenuta ieri, si replicherà anche oggi in diverse sale italiane, l’affluenza di pubblico è massiccia, si fatica a trovare biglietti disponibili, occupate anche le primissime file, per uno spettacolo che si propone solo a un orario definito , senza la possibilità del secondo spettacolo.
In sala, un religioso silenzio, una attenzione quasi da cerimonia religiosa, è il pubblico di Capossela, ma non solo quello, sono i frequentatori dei concerti ma anche il suo pubblico di lettori che magari ha fatto il percorso contrario, dai suoi libri per arrivare alla sua musica.
Un pubblico che nella giornata di ieri ha premiato questo lavoro, privo di qualsiasi forma di ostentazione divistica cinematografica, un lavoro che è un invito a ritornare ad abitare i luoghi, a non dimenticarli, a scavare in fondo, per ritrovare come un Ulisse nelle sembianze del pumminale, il senso di una Itaca ancora esistente.
Ritornarci, per poi ripartire.
“Vinicio Capossela. Nel paese dei coppoloni” è prodotto da laeffe in associazione con PMG e LaCupa e distribuito nei cinema italiani da Nexo Digital. Regia di Stefano Obino. Testi, parole e musica di Vinicio Capossela. Produzione esecutiva: Letizia Celardo. Direttore della fotografia: Aldo Anselmino. Montaggio: Valentina Andreoli. Produttori: Riccardo Chiattelli per laeffe – Gruppo Feltrinelli, Roberto Ruini per PMG – Pulsemedia Group, Luca Bernini per La Cupa. Con il contributo di Medimex.
Dopo “ Indebito”, lavoro del 2012, realizzato con Andrea Segre, viaggio musicale all’interno del genere rebetiko greco, arriva nei cinema “Il paese dei Coppoloni”, docu-film ispirato dalle pagine della sua ultima fatica letteraria, edita con Feltrinelli, vincitrice del premio Dante Strega 2015.
Un viaggio tradotto in immagine e accompagnato dai suoni che daranno corpo al nuovo album dell’artista
“ Le canzoni della Cupa”, di prossima uscita, quindi, un viaggio d’occhio e d’orecchio, nelle dimenticate ( ora non più) “ terre dell’osso” che Capossela guarda da lontano , accomunando quelle vette a una sorta di Olimpo greco, terre di mitologia, di dei e semidei, animali parlanti e personaggi da romanzo.
Sono già diversi anni che Capossela è ritornato alle radici proprie dei suoi genitori,l’Irpinia era la terra delle vacanze estive, i compagni di gioco, i racconti del padre Vito, i singolari personaggi che si perdevano nella sua memoria come il viandante tra i crocicchi delle strade semideserte. Il piccolo Vinicio immagazzinava e nel suo viaggio di adulto, di uomo e di artista, a quella radice è ritornato.
Un certo interesse, innato in lui, verso il mito, la ferrovia, le storie d’assenza, i suoni d’assenza, un certo tipo di letteratura, le mutazioni, l’antropomorfismo, il riti popolari collettivi come il matrimonio, il funerale, la resurrezione, la rinascita, elementi che abbiamo sempre trovato disseminati nei suoi vecchi album, trovano ora, in quest’ultima fatica letteraria, cinematografica e prossimamente musicale la propria condensazione più sublime.
Avevamo già preso confidenza con certi personaggi, da “ Ciccillo ristorante” di “ Al veglione”, a “ Brucia Troia” dove il mamuthones sardo sembra confondersi con l’immagine del “ pumminale”, metà uomo, metà animale mitico, a cui Capossela dedica molta attenzione, descrivendolo come bestia che vuole uscire fuori dal recinto per ubriacare i “ siensi perduti”, metafora dell’uomo primitivo, libero e incosciente, che ritorna alla terra per fondersi, con una cerimonia quasi pagana, con gli elementi del naturale e del soprannaturale, tutti elementi di un passato artistico e poetico che ritroviamo qui, in questo lavoro.
Determinante l’incontro artistico e umano con un gruppo di vegliardi, musicanti da matrimonio ribattezzati col nome “ la banda della Posta”, incontro che ha dato vita a un album “ Primo ballo” prodotto dalla Cupa e che ha avuto ampio consenso di critica e di pubblico.
I componenti della “ Banda della posta” sono dei sopravvissuti, allo spopolamento delle terre dell’Ofanto, alle trivelle, ai “ binari morti” e al silenzio delle strade al sopraggiungere del meriggio. Animavano i matrimoni, rito collettivo importantissimo per folklore, significato e durata ( da ore a giorni interi) in terra d’Irpinia, a questi semplici musicanti, ricchi di storie e racconti, con l’avvento del “ moderno”, non restava altro che fare la guardia alla posta, per “scortare” gli anziani che andavano a ritirare la pensione, e di farlo a tempo di musica.
Una illuminazione per il Capossela cantastorie, un amore immediato, un colpo di fulmine. Da qui il sodalizio artistico tra Vinicio e la Banda della Posta e il matrimonio “musicale”.
Un matrimonio che si celebra ad ogni concerto sotto il grido di “Abbundanza” e che ha riportato le nuove generazioni a ballare su sonorità come la polka, la mazurka , il tango, in un ritrovato “ corpo a corpo” che sembrava perso per sempre.
Matrimonio, che da diversi anni si continua a celebrare in Irpinia a fine agosto con lo “ Sponz festival”, che anno dopo anno vede un fiume umano migrare verso le terre dell’osso, persone di tutte le età che brulicano tra le stradine di questo paese da presepe che è Calitri , per dare vita a uno straordinario rito collettivo di cui Capossela è il cerimoniere.
Questi i temi e molti altri ancora, suddivisi per capitoli, come nel libro, all’interno di questo lavoro cinematografico di cui l’artista è cantore indiretto, come un umile “ De martino”, con la leggerezza del suo grande modello Matteo Salvatore di cui si riconosce l’influenza d’ispirazione fortissima, egli cerca di ridare vita a un territorio che non è mai morto, riportando in superficie la sua umanità , le sue contraddizioni, i volti e le storie, gli scenari semideserti, ma ricchi di bestie che si palesano solo la notte e che non si fanno mai vedere se non da un osservatore per volta, la nostalgia per un passato ancora vivo, i personaggi – persone, che hanno ancora tanto da raccontare (da testa di uccello, alle mamme nonne, al barbiere, a Ciccillo che cantava sui transatlantici, a Peppe Matalena, violinista, organista e cantastorie vera anima della Banda della Posta), persone- personaggi ,dal piglio quasi cinematografico, che sembrano venir fuori da certi lavori di Pasolini, attori di strada senza accademia e senza finzione, forti della propria umanità .
La prima della proiezione è avvenuta ieri, si replicherà anche oggi in diverse sale italiane, l’affluenza di pubblico è massiccia, si fatica a trovare biglietti disponibili, occupate anche le primissime file, per uno spettacolo che si propone solo a un orario definito , senza la possibilità del secondo spettacolo.
In sala, un religioso silenzio, una attenzione quasi da cerimonia religiosa, è il pubblico di Capossela, ma non solo quello, sono i frequentatori dei concerti ma anche il suo pubblico di lettori che magari ha fatto il percorso contrario, dai suoi libri per arrivare alla sua musica.
Un pubblico che nella giornata di ieri ha premiato questo lavoro, privo di qualsiasi forma di ostentazione divistica cinematografica, un lavoro che è un invito a ritornare ad abitare i luoghi, a non dimenticarli, a scavare in fondo, per ritrovare come un Ulisse nelle sembianze del pumminale, il senso di una Itaca ancora esistente.
Ritornarci, per poi ripartire.
“Vinicio Capossela. Nel paese dei coppoloni” è prodotto da laeffe in associazione con PMG e LaCupa e distribuito nei cinema italiani da Nexo Digital. Regia di Stefano Obino. Testi, parole e musica di Vinicio Capossela. Produzione esecutiva: Letizia Celardo. Direttore della fotografia: Aldo Anselmino. Montaggio: Valentina Andreoli. Produttori: Riccardo Chiattelli per laeffe – Gruppo Feltrinelli, Roberto Ruini per PMG – Pulsemedia Group, Luca Bernini per La Cupa. Con il contributo di Medimex.