di Luigi Laguaragnella - “La violenza dell’uomo contro uomo è in contraddizione con tutte le religioni che si definiscono tali”. E’ instancabile il messaggio di pace di papa Francesco che, in occasione della visita alla sinagoga di Roma, è stato accolto dalla comunità ebraica da fratello minore. Il Pontefice nel suo discorso davanti a tanti uomini che portano la kippah non dimentica la denominazione di papa Giovanni Paolo II secondo cui gli ebrei sono “i fratelli maggiori” dei cattolici.
Bergoglio lo ripete. Come per due volte i presenti nella sinagoga si alzano per un lungo applauso quando durante il suo discorso e quello di Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, viene fatta memoria della Shoah, strage che non può essere dimenticata per continuare a costruire ponti di dialogo e di pace.
Pace, riconciliazione e dialogo di cui sia papa Francesco sia il rabbino della sinagoga di Roma Di Segni intendono saldare. E’ la terza visita di un pontefice in una sinagoga: Bergoglio vi entra trent’anni dopo Giovanni Paolo II e dopo che Benedetto XVI ci mise piede nel 2010. Di Segni sottolinea questo aspetto ricordando che per la tradizione ebraica quando un gesto si ripete tre volte diventa consuetudine. Questo, per il cammino di pace contro ogni tipo di violenza e di discriminazione religiosa (cattolici ed ebrei sono accumunati da molti episodi tragici) è il segno per l’inizio di una nuova era. La presenza di Francesco è davvero un segnale di speranza che conferma che gli obiettivi e le speranze del Concilio Vaticano II non erano vane: questa visita testimonia che ciò che divide è più debole di quello che unisce, che sotto qualunque Dio si è tutti fratelli.
Papa Francesco ha voluto salutare i rappresentanti delle comunità ebraiche presenti prima di entrare in sinagoga e si è fermato qualche attimo dinanzi al piccolo obelisco che ricorda la morte di Stefano GajTachè ucciso a due anni durante un assalto alla sinagoga nel 1982. Il papa ha voluto quindi dare un senso “familiare” a questa visita considerate le radici che accomunano i cattolici agli ebrei. Non sono stati fatti discorsi teologici e astratti, soprattutto perché la storia e le morti per la religione rendono lunghi discorsi poco utili.
Durante questa visita emerge invece la speranza e la solidità di un percorso da intraprendere insieme, proietta l’umanità, cattolici ed ebrei ad immaginare un mondo quando sarà privo delle divisioni. Ciò è possibile perché già ora si sta prendendo una strada di pace negando ogni tipo di violenza in nome di Dio che ancora oggi è strumentalizzato ricordando instancabilmente l’antisemitismo, l’antisionismo, tutto ciò che vede nelle differenze qualcosa per generare odio.
Due religioni, due rappresentanti che si incontrano sono una pagina positiva. E oggi l’abbraccio tra papa Francesco e Di Segni è il senso che la religione, a discapito di chi pensa sia solo causa di divisione, è invece strumento potente di unione.
Bergoglio lo ripete. Come per due volte i presenti nella sinagoga si alzano per un lungo applauso quando durante il suo discorso e quello di Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, viene fatta memoria della Shoah, strage che non può essere dimenticata per continuare a costruire ponti di dialogo e di pace.
Pace, riconciliazione e dialogo di cui sia papa Francesco sia il rabbino della sinagoga di Roma Di Segni intendono saldare. E’ la terza visita di un pontefice in una sinagoga: Bergoglio vi entra trent’anni dopo Giovanni Paolo II e dopo che Benedetto XVI ci mise piede nel 2010. Di Segni sottolinea questo aspetto ricordando che per la tradizione ebraica quando un gesto si ripete tre volte diventa consuetudine. Questo, per il cammino di pace contro ogni tipo di violenza e di discriminazione religiosa (cattolici ed ebrei sono accumunati da molti episodi tragici) è il segno per l’inizio di una nuova era. La presenza di Francesco è davvero un segnale di speranza che conferma che gli obiettivi e le speranze del Concilio Vaticano II non erano vane: questa visita testimonia che ciò che divide è più debole di quello che unisce, che sotto qualunque Dio si è tutti fratelli.
Papa Francesco ha voluto salutare i rappresentanti delle comunità ebraiche presenti prima di entrare in sinagoga e si è fermato qualche attimo dinanzi al piccolo obelisco che ricorda la morte di Stefano GajTachè ucciso a due anni durante un assalto alla sinagoga nel 1982. Il papa ha voluto quindi dare un senso “familiare” a questa visita considerate le radici che accomunano i cattolici agli ebrei. Non sono stati fatti discorsi teologici e astratti, soprattutto perché la storia e le morti per la religione rendono lunghi discorsi poco utili.
Durante questa visita emerge invece la speranza e la solidità di un percorso da intraprendere insieme, proietta l’umanità, cattolici ed ebrei ad immaginare un mondo quando sarà privo delle divisioni. Ciò è possibile perché già ora si sta prendendo una strada di pace negando ogni tipo di violenza in nome di Dio che ancora oggi è strumentalizzato ricordando instancabilmente l’antisemitismo, l’antisionismo, tutto ciò che vede nelle differenze qualcosa per generare odio.
Due religioni, due rappresentanti che si incontrano sono una pagina positiva. E oggi l’abbraccio tra papa Francesco e Di Segni è il senso che la religione, a discapito di chi pensa sia solo causa di divisione, è invece strumento potente di unione.