di Giulia Notarangelo - È un “poema” in frammenti ora lunghi ora brevi, quasi degli haiku; alcuni datati, altri no e senza un preciso ordine cronologico. L’ulivo è un pre/testo e un punto di partenza non solo per celebrarlo, ma anche per dare agio alla poetessa di abbandonarsi ai suoi pensieri, alle sue fantasie, ai suoi ricordi, ai suoi sogni, alla vita.
Si parte dai fondamenti, dal “Perché vi amo?” (p.11) che è la lirica di proemio proprio alla maniera dei grandi poemi epici. E’ come se la poetessa volesse mettere dei puntelli, volesse piantare le fondamenta e giustificare questo suo osare, questa sua urgenza di comunicare il traboccante amore per la sua Terra, la Puglia, punteggiata di ulivi che diventano culla rassicurante e al contempo nido e rifugio per gli implumi.
L’ulivo è un miracolo della Natura con cui lei ha avuto il privilegio di crescere e diventare adulta. E si arriva al punto in cui la pianta e la poetessa sono un tutt’uno; avviene una sorta di immedesimazione (A te somiglio, p.25), di simbiosi, con questa pianta, così antica e così ricca di storia, divenuta, grazie alle sue qualità, sacra non solo per gli antichi Greci, ma anche per gli Ebrei e per il Cristianesimo.
L’ulivo è un’occasione di poesia, uno specchio che moltiplica le sue facce all’infinito attraverso un linguaggio aereo e colto che ribadisce il forte legame di chi scrive con questa pianta.
L’ulivo è un alter ego, ma rappresenta anche un patriarca, un lare, un avo, che ha sempre fatto parte della sua esistenza tanto da dedicargli una “monografia poetica”, come la definisce il professor De Martino.
L’ulivo è il protagonista assoluto e, anche nelle liriche più intime, l’inquietudine di chi scrive si stempera nel paesaggio (vedi Abbracciata a un tronco e le liriche di p. 27, 29, 71, 73).
C’è anche lo sguardo all’umanità intera e la poetessa immagina che i riservati ulivi forse piangono per l’uomo sempre inquieto, sempre in lotta, sempre in guerra (Forse piangono di notte, p.84). E qui mi ritorna un certo Quasimodo…
Occhieggia qua e là l’intento didascalico della poetessa, che la porta a esaltare le virtù sacre e profane della pianta e a di/segnarne una sorta di elogio.
La raccolta è ricca di calligrammi in cui ravviso gli antichi recipienti in terra cotta in cui veniva trasportato per mare il frutto dell’ulivo o altre derrate; penso alle poesie-anfora (p.27) o a calice (p.57) o addirittura a forma di albero, visto nella sua giovinezza e maturità.
È questa una silloge con tante variazioni sul tema-ulivo che incanta il lettore e lo fa librare. Dagli squarci lirici, ai paesaggi indimenticabili (Quei sassi bianchi, p.73), ai “quadri” antichi di civiltà contadina (Il carrettiere, p.19), di quelli che vedevamo in casa dei nonni con le cornici in legno, ai ricordi di una giovinezza passata, ma sempre viva e presente (La raccolta delle olive, p.42) ai successi raggiunti, al suo essere creatura in attesa (Non sarei quella che sono, p.67).
E ti senti cullare da versi, lievi e soavi come carezze, e dalle note di un’invisibile arpa e ti pare di navigare in un mare di ulivi.
Mi viene in mente una tela di Francesco Speranza (1902-1984), pittore bitontino, vissuto al Nord (ma che d’estate tornava al paese d’origine), in particolare uno, “Ulivi di Puglia” (1953), che ho ammirato in una mostra, qualche anno fa, nella sua città natale. L’ulivo o meglio il crespo degli ulivi è il protagonista della tela che spazia dalla campagna bitontina, i casolari sparsi e la piccola necropoli di Santo Spirito fino alla linea del mare, solcato da un vascello e da cinque vele gemelle, che a me piace ricordare così: “Ulivi di Puglia” (29-9-2002) Il crespo/ degli ulivi/ La linea/ del mare/ Le cinque sorelle/ di tela/ bianca/ La nera/ figura/ del vascello/ I rossi/ mattoni/ I casolari/ sparsi/ Sulla destra/ la piccola necropoli/ S. Spirito!
E mi viene in mente il recente libro di Nicola Pice: “Bitonto è un mare di ulivi” (Laterza – 2014), laddove l’autore afferma: “Qui gli ulivi sono come persone e figure viventi, corpi in movimento e con le braccia protese verso il cielo” (p.34).
Il senso di pace e di tranquillità che suscitano i versi di Grazia Stella Elia ti rasserena e ti fa guardare la realtà da altre prospettive; è come un filtro benefico, un elisir di lunga vita… tra gli ulivi: “Ho gli occhi pieni/di luna/ accesa/su un mare/ di ulivi” (p.79).
La poesia dell’ulivo è poesia di pace come ulivo di pace è la poesia e guerrieri pacifici o angeli in grigio-verde sono quegli stessi ulivi laminati di luna. Il titolo “Canti dell’ulivo” è leopardiano, ma al contempo indica il suo canto… silente, d’amore e di pace (Il canto dell’ulivo, p.78).
E il naufragar mi è dolce in questo mare… di ulivi.
Si parte dai fondamenti, dal “Perché vi amo?” (p.11) che è la lirica di proemio proprio alla maniera dei grandi poemi epici. E’ come se la poetessa volesse mettere dei puntelli, volesse piantare le fondamenta e giustificare questo suo osare, questa sua urgenza di comunicare il traboccante amore per la sua Terra, la Puglia, punteggiata di ulivi che diventano culla rassicurante e al contempo nido e rifugio per gli implumi.
L’ulivo è un miracolo della Natura con cui lei ha avuto il privilegio di crescere e diventare adulta. E si arriva al punto in cui la pianta e la poetessa sono un tutt’uno; avviene una sorta di immedesimazione (A te somiglio, p.25), di simbiosi, con questa pianta, così antica e così ricca di storia, divenuta, grazie alle sue qualità, sacra non solo per gli antichi Greci, ma anche per gli Ebrei e per il Cristianesimo.
L’ulivo è un’occasione di poesia, uno specchio che moltiplica le sue facce all’infinito attraverso un linguaggio aereo e colto che ribadisce il forte legame di chi scrive con questa pianta.
L’ulivo è un alter ego, ma rappresenta anche un patriarca, un lare, un avo, che ha sempre fatto parte della sua esistenza tanto da dedicargli una “monografia poetica”, come la definisce il professor De Martino.
L’ulivo è il protagonista assoluto e, anche nelle liriche più intime, l’inquietudine di chi scrive si stempera nel paesaggio (vedi Abbracciata a un tronco e le liriche di p. 27, 29, 71, 73).
C’è anche lo sguardo all’umanità intera e la poetessa immagina che i riservati ulivi forse piangono per l’uomo sempre inquieto, sempre in lotta, sempre in guerra (Forse piangono di notte, p.84). E qui mi ritorna un certo Quasimodo…
Occhieggia qua e là l’intento didascalico della poetessa, che la porta a esaltare le virtù sacre e profane della pianta e a di/segnarne una sorta di elogio.
La raccolta è ricca di calligrammi in cui ravviso gli antichi recipienti in terra cotta in cui veniva trasportato per mare il frutto dell’ulivo o altre derrate; penso alle poesie-anfora (p.27) o a calice (p.57) o addirittura a forma di albero, visto nella sua giovinezza e maturità.
È questa una silloge con tante variazioni sul tema-ulivo che incanta il lettore e lo fa librare. Dagli squarci lirici, ai paesaggi indimenticabili (Quei sassi bianchi, p.73), ai “quadri” antichi di civiltà contadina (Il carrettiere, p.19), di quelli che vedevamo in casa dei nonni con le cornici in legno, ai ricordi di una giovinezza passata, ma sempre viva e presente (La raccolta delle olive, p.42) ai successi raggiunti, al suo essere creatura in attesa (Non sarei quella che sono, p.67).
E ti senti cullare da versi, lievi e soavi come carezze, e dalle note di un’invisibile arpa e ti pare di navigare in un mare di ulivi.
Mi viene in mente una tela di Francesco Speranza (1902-1984), pittore bitontino, vissuto al Nord (ma che d’estate tornava al paese d’origine), in particolare uno, “Ulivi di Puglia” (1953), che ho ammirato in una mostra, qualche anno fa, nella sua città natale. L’ulivo o meglio il crespo degli ulivi è il protagonista della tela che spazia dalla campagna bitontina, i casolari sparsi e la piccola necropoli di Santo Spirito fino alla linea del mare, solcato da un vascello e da cinque vele gemelle, che a me piace ricordare così: “Ulivi di Puglia” (29-9-2002) Il crespo/ degli ulivi/ La linea/ del mare/ Le cinque sorelle/ di tela/ bianca/ La nera/ figura/ del vascello/ I rossi/ mattoni/ I casolari/ sparsi/ Sulla destra/ la piccola necropoli/ S. Spirito!
E mi viene in mente il recente libro di Nicola Pice: “Bitonto è un mare di ulivi” (Laterza – 2014), laddove l’autore afferma: “Qui gli ulivi sono come persone e figure viventi, corpi in movimento e con le braccia protese verso il cielo” (p.34).
Il senso di pace e di tranquillità che suscitano i versi di Grazia Stella Elia ti rasserena e ti fa guardare la realtà da altre prospettive; è come un filtro benefico, un elisir di lunga vita… tra gli ulivi: “Ho gli occhi pieni/di luna/ accesa/su un mare/ di ulivi” (p.79).
La poesia dell’ulivo è poesia di pace come ulivo di pace è la poesia e guerrieri pacifici o angeli in grigio-verde sono quegli stessi ulivi laminati di luna. Il titolo “Canti dell’ulivo” è leopardiano, ma al contempo indica il suo canto… silente, d’amore e di pace (Il canto dell’ulivo, p.78).
E il naufragar mi è dolce in questo mare… di ulivi.