BARI - La Puglia spicca tra le regioni del Mezzogiorno nelle perfomance di spesa dei Fondi comunitari. È quanto emerge dall’elaborazione del Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia a partire dai dati diffusi dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica.
Tuttavia, al di là dei Fondi comunitari, l’attenzione rispetto ai problemi del Mezzogiorno non è mai stata così bassa.
Con un livello di spesa certificata pari al 94,5 per cento rispetto alla dotazione di programma al 31 dicembre scorso, la Puglia stacca nettamente le altre regioni del Sud per ciò che concerne l’utilizzo delle risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (Fesr). Seguono la Basilicata (82,3 per cento) e, più distanti, la Calabria (69,1 per cento), la Campania (64,6 per cento) e la Sicilia (62,7 per cento).
Più omogenei invece i livelli di spesa per quanto concerne il Fondo sociale europeo: in relazione alle risorse disponibili al 31 dicembre scorso, la Puglia ha certificato una spesa pari al 88,1 per cento. Svetta la Campania con il 94,5 per cento.
«La divulgazione dei dati relativi alle performance di spesa dei fondi comunitari a fine 2015 è una buona occasione per provare a riavviare la discussione sullo stato del Mezzogiorno – commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia. La programmazione 2014-2020 è ormai in fase di avvio operativo ed il rischio è quello che lo Stato circoscriva unicamente alle risorse comunitarie – peraltro non eterne – i propri impegni in favore di questa parte del Paese.
Il divario che esiste tra l’Italia e il resto d’Europa si fa ancor più forte all’interno del nostro Paese. Il rapporto Svimez 2015 ha ben evidenziato come “il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”.
L’abbandono a sé stesso del Meridione – sottolinea il Presidente – è qualcosa con cui ci confrontiamo ormai da anni e contro cui combattiamo attivamente. Numerosi sono stati i nostri interventi, le sollecitazioni e le perplessità espresse in tutte le sedi e presso tutte le autorità. Le risposte, quando presenti, sono state del tutto vaghe per non dire evasive. Eppure non si tratta solo di un problema di natura economica, ma di un’emergenza di carattere sociale: al Sud un cittadino su tre è povero, al Nord uno su dieci.
Un esempio? Sul finire dello scorso anno, a fronte della brutale denuncia dello Svimez, il Governo ha paventato la soluzione di tutti i mali grazie all’ormai famigerato “Masterplan”. Purtroppo il timore che si trattasse di un mero proclama volto a sedare gli animi nell’immediato si è ad oggi rivelato fondato. Le date annunciate nel documento sono già trascorse e non si è registrato alcun intervento. Nessuna notizia dei 16 Patti che dovevano essere stipulati con Regioni e con i sindaci delle Città metropolitane al fine di garantire un’applicazione concreta e utile delle misure previste, nessun passaggio dalle parole ai fatti.
Il Masterplan è rimasto un esercizio teorico e per la verità una sorte simile è toccata anche agli sgravi fiscali previsti dalla legge di stabilità: anche queste misure non hanno ancora avuto una concreta applicazione e la mancanza dei decreti attuativi del credito d’imposta per le imprese che investono al Sud lascia prevedere che sarà necessario attendere ancora per accedere ai benefici previsti.
In questo quadro – fa notare il presidente – la nostra terra risente dell’influenza negativa di condizionamenti immateriali, tra i quali una macchina della giustizia lenta e non del tutto efficiente, e materiali, come l’inadeguatezza delle infrastrutture e dei servizi di trasporto da cui derivano un notevole aggravio dei relativi costi ed una forte limitazione allo sviluppo internazionale.
Eppure nonostante questi ostacoli ed una politica evanescente, le imprese del meridione riescono a generare valori di export di tutto rilievo (4,4 miliardi per la sola filiera alimentare e 2,2 per quella della moda). Le realtà meridionali, specie le piccole e medie imprese e quelle artigiane, possono vantare una forza lavoro competente e specializzata che fonda la sua ricchezza nelle tradizioni e nella qualità delle proprie capacità produttive. Ciò che manca è la consapevolezza che per far ripartire il Sud bisogna investire nelle nostre piccole realtà, considerarle la soluzione e non, come spesso accade, il problema.
Oggi più che mai – conclude Sgherza – i nostri imprenditori hanno bisogno avere a disposizione gli strumenti idonei a trasformare in valore aggiunto il proprio saper fare».
Tuttavia, al di là dei Fondi comunitari, l’attenzione rispetto ai problemi del Mezzogiorno non è mai stata così bassa.
Con un livello di spesa certificata pari al 94,5 per cento rispetto alla dotazione di programma al 31 dicembre scorso, la Puglia stacca nettamente le altre regioni del Sud per ciò che concerne l’utilizzo delle risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (Fesr). Seguono la Basilicata (82,3 per cento) e, più distanti, la Calabria (69,1 per cento), la Campania (64,6 per cento) e la Sicilia (62,7 per cento).
Più omogenei invece i livelli di spesa per quanto concerne il Fondo sociale europeo: in relazione alle risorse disponibili al 31 dicembre scorso, la Puglia ha certificato una spesa pari al 88,1 per cento. Svetta la Campania con il 94,5 per cento.
«La divulgazione dei dati relativi alle performance di spesa dei fondi comunitari a fine 2015 è una buona occasione per provare a riavviare la discussione sullo stato del Mezzogiorno – commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia. La programmazione 2014-2020 è ormai in fase di avvio operativo ed il rischio è quello che lo Stato circoscriva unicamente alle risorse comunitarie – peraltro non eterne – i propri impegni in favore di questa parte del Paese.
Il divario che esiste tra l’Italia e il resto d’Europa si fa ancor più forte all’interno del nostro Paese. Il rapporto Svimez 2015 ha ben evidenziato come “il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”.
L’abbandono a sé stesso del Meridione – sottolinea il Presidente – è qualcosa con cui ci confrontiamo ormai da anni e contro cui combattiamo attivamente. Numerosi sono stati i nostri interventi, le sollecitazioni e le perplessità espresse in tutte le sedi e presso tutte le autorità. Le risposte, quando presenti, sono state del tutto vaghe per non dire evasive. Eppure non si tratta solo di un problema di natura economica, ma di un’emergenza di carattere sociale: al Sud un cittadino su tre è povero, al Nord uno su dieci.
Un esempio? Sul finire dello scorso anno, a fronte della brutale denuncia dello Svimez, il Governo ha paventato la soluzione di tutti i mali grazie all’ormai famigerato “Masterplan”. Purtroppo il timore che si trattasse di un mero proclama volto a sedare gli animi nell’immediato si è ad oggi rivelato fondato. Le date annunciate nel documento sono già trascorse e non si è registrato alcun intervento. Nessuna notizia dei 16 Patti che dovevano essere stipulati con Regioni e con i sindaci delle Città metropolitane al fine di garantire un’applicazione concreta e utile delle misure previste, nessun passaggio dalle parole ai fatti.
Il Masterplan è rimasto un esercizio teorico e per la verità una sorte simile è toccata anche agli sgravi fiscali previsti dalla legge di stabilità: anche queste misure non hanno ancora avuto una concreta applicazione e la mancanza dei decreti attuativi del credito d’imposta per le imprese che investono al Sud lascia prevedere che sarà necessario attendere ancora per accedere ai benefici previsti.
In questo quadro – fa notare il presidente – la nostra terra risente dell’influenza negativa di condizionamenti immateriali, tra i quali una macchina della giustizia lenta e non del tutto efficiente, e materiali, come l’inadeguatezza delle infrastrutture e dei servizi di trasporto da cui derivano un notevole aggravio dei relativi costi ed una forte limitazione allo sviluppo internazionale.
Eppure nonostante questi ostacoli ed una politica evanescente, le imprese del meridione riescono a generare valori di export di tutto rilievo (4,4 miliardi per la sola filiera alimentare e 2,2 per quella della moda). Le realtà meridionali, specie le piccole e medie imprese e quelle artigiane, possono vantare una forza lavoro competente e specializzata che fonda la sua ricchezza nelle tradizioni e nella qualità delle proprie capacità produttive. Ciò che manca è la consapevolezza che per far ripartire il Sud bisogna investire nelle nostre piccole realtà, considerarle la soluzione e non, come spesso accade, il problema.
Oggi più che mai – conclude Sgherza – i nostri imprenditori hanno bisogno avere a disposizione gli strumenti idonei a trasformare in valore aggiunto il proprio saper fare».