di FRANCESCO GRECO. ROMA - E se fosse il pugliese (Lecce) Massimo Bray l'uomo nuovo della sinistra italiana? La personalità capace di fare sintesi fra le varie “anime” e ricomporre la diaspora infinita che tanto nuoce al sistema-Italia?
Il presidente dell'Enciclopedia Treccani, già apprezzato ministro della Cultura nel governo di Enrico Letta (poi scaricato da Matteo Renzi: non era toscano) ha il carisma e l'equilibrio giusti per riparare insieme il vaso di Pandora, il puzzle impazzito, prima che tutto sia formattato dall'antipolitica. Che anche a causa di tali situazioni (a Roma, Milano, Napoli, Torino, ecc.) “rischia” di vincere al di là dei propri meriti, anche senza ballottaggi. Dividi et impera.
Il Pd è una barca che in tanti abbandonano, con sommo gaudio del “grande timoniere” Renzi. Più erano fedeli e prima se ne vanno. Da Pippo Civati (“Possibile”) a Stefano Fassina (“Sinistra Iitaliana”, un pezzo di Pd e Sel privo di Vendola). E poi Sergio Cofferati e altri leader minori. Per fare cosa? Liste-testimonianza. Che con lo sbarramento, da sole, non entrerebbero manco in Parlamento. E il cui messaggio è debole, incerto, balbettante.
Oggi la sinistra è divisa in mille componenti, parcellizzata, l'una contro l'altra armata. Oltre a quelli appena citati, in progress il Partito della Nazione (con Verdini, fido berlusconiano e un pezzo dei centristi che stanno con Alfano, un dì ormai lontano pupillo di B.). Gli ulivisti (post-Dc e post-Pci) sullo sfondo. Poi c'è la sinistra dem, di Cuperlo, D'Attorre, Gotor, Speranza, ecc. e di cui D'Alema, più di Bersani, è il padre nobile.
Maurizio Landini poteva mettersi a caoo di queste frattaglie, ma pare che gli interessi più “scalare” la Cgil e mandare in pensione Susanna Camusso. Serve dunque un nome al di sopra di ogni sospetto, un uomo capace di dialogo, confronto, di volare alto. Tenere sempre presente l'interesse della sinistra, che non può rinunciare alle sue radici (il termine “rottamazione” è di per sè volgare e offensivo), che deve armonizzare alle energie nuove, ma senza escludere nessuno.
Se Bray resisterà alle sirene della sinistra capitolina, che vorrebbero candidarlo (ma in pole-position ci sono anche Fassina, che si è già autocandidato da tempo, e poi l'ex sindaco Ignazio Marino), tirandosi fuori dal carnaio romano, potrà essere l'uomo nuovo in grado di conciliare il passato col futuro, i padri con i figli, la storia con le sfide che incalzano. Il tutto incartato in una mozione con cui andare al prossimo congresso nel 2017 e conquistare la segreteria. E da lì il partito unito in tutte le sue componenti. E poi, come dire, rosso di sera...
Il presidente dell'Enciclopedia Treccani, già apprezzato ministro della Cultura nel governo di Enrico Letta (poi scaricato da Matteo Renzi: non era toscano) ha il carisma e l'equilibrio giusti per riparare insieme il vaso di Pandora, il puzzle impazzito, prima che tutto sia formattato dall'antipolitica. Che anche a causa di tali situazioni (a Roma, Milano, Napoli, Torino, ecc.) “rischia” di vincere al di là dei propri meriti, anche senza ballottaggi. Dividi et impera.
Il Pd è una barca che in tanti abbandonano, con sommo gaudio del “grande timoniere” Renzi. Più erano fedeli e prima se ne vanno. Da Pippo Civati (“Possibile”) a Stefano Fassina (“Sinistra Iitaliana”, un pezzo di Pd e Sel privo di Vendola). E poi Sergio Cofferati e altri leader minori. Per fare cosa? Liste-testimonianza. Che con lo sbarramento, da sole, non entrerebbero manco in Parlamento. E il cui messaggio è debole, incerto, balbettante.
Oggi la sinistra è divisa in mille componenti, parcellizzata, l'una contro l'altra armata. Oltre a quelli appena citati, in progress il Partito della Nazione (con Verdini, fido berlusconiano e un pezzo dei centristi che stanno con Alfano, un dì ormai lontano pupillo di B.). Gli ulivisti (post-Dc e post-Pci) sullo sfondo. Poi c'è la sinistra dem, di Cuperlo, D'Attorre, Gotor, Speranza, ecc. e di cui D'Alema, più di Bersani, è il padre nobile.
Maurizio Landini poteva mettersi a caoo di queste frattaglie, ma pare che gli interessi più “scalare” la Cgil e mandare in pensione Susanna Camusso. Serve dunque un nome al di sopra di ogni sospetto, un uomo capace di dialogo, confronto, di volare alto. Tenere sempre presente l'interesse della sinistra, che non può rinunciare alle sue radici (il termine “rottamazione” è di per sè volgare e offensivo), che deve armonizzare alle energie nuove, ma senza escludere nessuno.
Se Bray resisterà alle sirene della sinistra capitolina, che vorrebbero candidarlo (ma in pole-position ci sono anche Fassina, che si è già autocandidato da tempo, e poi l'ex sindaco Ignazio Marino), tirandosi fuori dal carnaio romano, potrà essere l'uomo nuovo in grado di conciliare il passato col futuro, i padri con i figli, la storia con le sfide che incalzano. Il tutto incartato in una mozione con cui andare al prossimo congresso nel 2017 e conquistare la segreteria. E da lì il partito unito in tutte le sue componenti. E poi, come dire, rosso di sera...