BARI - La crisi ha fatto fare agli italiani un passo indietro sull’alimentazione di qualità, la moda e perfino la formazione e l’istruzione. La cruda analisi esce dall’Ufficio Economico di Confesercenti e delinea un quadro di persistente difficoltà. I bilanci e le spese degli italiani continuano ad essere distanti dai livelli pre-crisi: nel 2015 la “media” dei consumi delle famiglie italiane si è attestata su 22.882 euro, ancora inferiore a quella di dieci anni fa, mentre i risparmi familiari, nello stesso periodo, si sono contratti addirittura del 25%.
Benny Campobasso, Presidente della Confesercenti Metropolitana Terra di Bari entra nel merito dell’indagine nazionale ed evidenzia e commenta i dati più rilevanti: “Crescono,sostiene Campobasso, le spese fisse, quelle sanitarie, affitti, bollette e utenze, che assorbono una quota sempre maggiore del budget familiare. Soprattutto al Sud il fenomeno è particolarmente evidente nella spesa alimentare che cresce per frutta e ortaggi ma diminuisce per carne e pesce, pane e olio, latte e formaggi, uova e bevande ovvero per i beni di prima necessità. Spicca, invece, il calo di abbigliamento e calzature, la spesa per beni durevoli, mobili ed elettrodomestici, e crolla il budget che spendiamo per alberghi e ristoranti. Non parliamo della spesa per istruzione e cultura con l’evidente calo di iscrizioni universitarie. E le nostre Università lo denunciano chiaramente. Il calo maggiore, però, è registrato da trasporti e carburanti: nel 2015 le famiglie italiane hanno speso per questa voce ben 1.290 euro in meno rispetto al 2007, dovuto in parte dalla diminuzione dei prezzi dei carburanti ma conseguenza, soprattutto, di un minor consumo di carburanti e del mancato rinnovo del parco auto. Aumentano, invece, le spese per la cura della persona, i servizi di assistenza sociale e assicurazioni, quelle per smartphone e contratti di telefonia, nati proprio nel 2007 e ormai diventati un vero e proprio fenomeno culturale ed una necessità lavorativa.”
Come riporta l’indagine dell’Unione Consumatori di questi giorni, è proprio la città di Bari la prima in Italia dove i prezzi sono calati maggiormente facendo risparmiare in un anno, in media, 318 euro a famiglia. Campobasso commenta ironicamente che:“potremmo essere proprio noi baresi accusati di un probabile ulteriore aggravamento della crisi. Non per colpa nostra, ovviamente.”E’ vero, però, che tra Bari e Bolzano la differenza è di quasi 500 euro.Ma questo, come vedremo, per le nostre imprese non è un bene.
Infatti, l’effetto della crisi dei consumi e della deflazione sul tessuto imprenditoriale del commercio al dettaglio sta determinando, già nei primi tre mesi di quest’anno, la perdita di circa 20.000 imprese in meno, a fronte delle 12.000 imprese in meno che registrammo nel primo trimestre 2015. “Altro che ripresa!E’ il commercio al dettaglionon alimentare a soffrire sempre di più– continua allarmato Campobasso - . Questo settore, complessivamente, perde 10.000 imprese, 5.000 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso; il comparto dell’Alloggio e della Ristorazione registra anch’esso una perdita di oltre 5mila imprese, di cui circa 4.700 nel solo settore della somministrazione. Si assottigliano i negozi del settore alimentare (-1.267) con saracinesche che si abbassano tra i negozi di carni ed ortofrutta, chiudono distributori di carburanti e giornalai ma, soprattutto, sono i negozi di abbigliamento a far registrare il dato più negativo con 2.057 boutique che chiudono nel solo primo trimestre 2016. Che a patirne siano anche gli agenti di commercio lo si sapeva (-3.666) ma che a seguirli nel trend negativo vi fossero anche gli ambulanti (-634) è una sorpresa. Persino il commercio elettronico, pare, abbia subito un arresto.”
Se questi dati sono l’ulteriore testimonianza del perdurare di una fase di grande difficoltà della domanda interna, è evidente che “fare impresa è, dunque, sempre più difficile – conclude Campobasso -per cui, sempre più spesso, vedremo molti imprenditori arrendersi.”
Benny Campobasso, Presidente della Confesercenti Metropolitana Terra di Bari entra nel merito dell’indagine nazionale ed evidenzia e commenta i dati più rilevanti: “Crescono,sostiene Campobasso, le spese fisse, quelle sanitarie, affitti, bollette e utenze, che assorbono una quota sempre maggiore del budget familiare. Soprattutto al Sud il fenomeno è particolarmente evidente nella spesa alimentare che cresce per frutta e ortaggi ma diminuisce per carne e pesce, pane e olio, latte e formaggi, uova e bevande ovvero per i beni di prima necessità. Spicca, invece, il calo di abbigliamento e calzature, la spesa per beni durevoli, mobili ed elettrodomestici, e crolla il budget che spendiamo per alberghi e ristoranti. Non parliamo della spesa per istruzione e cultura con l’evidente calo di iscrizioni universitarie. E le nostre Università lo denunciano chiaramente. Il calo maggiore, però, è registrato da trasporti e carburanti: nel 2015 le famiglie italiane hanno speso per questa voce ben 1.290 euro in meno rispetto al 2007, dovuto in parte dalla diminuzione dei prezzi dei carburanti ma conseguenza, soprattutto, di un minor consumo di carburanti e del mancato rinnovo del parco auto. Aumentano, invece, le spese per la cura della persona, i servizi di assistenza sociale e assicurazioni, quelle per smartphone e contratti di telefonia, nati proprio nel 2007 e ormai diventati un vero e proprio fenomeno culturale ed una necessità lavorativa.”
Come riporta l’indagine dell’Unione Consumatori di questi giorni, è proprio la città di Bari la prima in Italia dove i prezzi sono calati maggiormente facendo risparmiare in un anno, in media, 318 euro a famiglia. Campobasso commenta ironicamente che:“potremmo essere proprio noi baresi accusati di un probabile ulteriore aggravamento della crisi. Non per colpa nostra, ovviamente.”E’ vero, però, che tra Bari e Bolzano la differenza è di quasi 500 euro.Ma questo, come vedremo, per le nostre imprese non è un bene.
Infatti, l’effetto della crisi dei consumi e della deflazione sul tessuto imprenditoriale del commercio al dettaglio sta determinando, già nei primi tre mesi di quest’anno, la perdita di circa 20.000 imprese in meno, a fronte delle 12.000 imprese in meno che registrammo nel primo trimestre 2015. “Altro che ripresa!E’ il commercio al dettaglionon alimentare a soffrire sempre di più– continua allarmato Campobasso - . Questo settore, complessivamente, perde 10.000 imprese, 5.000 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso; il comparto dell’Alloggio e della Ristorazione registra anch’esso una perdita di oltre 5mila imprese, di cui circa 4.700 nel solo settore della somministrazione. Si assottigliano i negozi del settore alimentare (-1.267) con saracinesche che si abbassano tra i negozi di carni ed ortofrutta, chiudono distributori di carburanti e giornalai ma, soprattutto, sono i negozi di abbigliamento a far registrare il dato più negativo con 2.057 boutique che chiudono nel solo primo trimestre 2016. Che a patirne siano anche gli agenti di commercio lo si sapeva (-3.666) ma che a seguirli nel trend negativo vi fossero anche gli ambulanti (-634) è una sorpresa. Persino il commercio elettronico, pare, abbia subito un arresto.”
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