LECCE - Non tutti soffrono la crisi. Anzi, c’è chi si arricchisce proprio durante le fasi di recessione. Basti pensare agli affari realizzati da rottamatori e riciclatori di rifiuti. Anche insospettabili raccolgono gli elettrodomestici abbandonati nelle campagne o lasciati vicino ai cassonetti per riportarli nelle aziende che li reinseriscono nella catena di produzione.
Gli istituti e gli intermediari finanziari hanno adottato questo stesso «ciclo di smaltimento», da quando i debitori hanno iniziato ad avere difficoltà nel pagamento delle fatture e le imprese si sono viste costrette a ricorrere a società specializzate nel recupero crediti.
Se c’è crisi di liquidità «vola» il factoring e gli utili di queste società crescono vertiginosamente. E’ quanto emerge da un’indagine condotta dall’Osservatorio Economico di Confartigianato Imprese Lecce, diretto da Davide Stasi.
Se la pubblica amministrazione ritarda nei pagamenti e i fornitori non riescono a riscuotere in tempi brevi i loro crediti, l’alternativa al fallimento è la stipula di un contratto di «factoring» attraverso il quale l’azienda-cliente cede ad una società specializzata i propri crediti, sia quelli già maturati sia quelli futuri. Oltre alla riscossione, la società garantisce una serie di servizi, a cominciare dall’anticipazione di una somma rispetto alla data d’incasso.
«A conti fatti – spiega Davide Stasi, direttore dell’Osservatorio Economico di Confartigianato Imprese Lecce – considerato il panorama rarefatto del credito, questa operazione si è rivelata un’ottima occasione di finanziamento per le imprese. Un’occasione che in molti hanno colto. Tant’è che nella sola provincia di Lecce, i crediti ammontano a ben 53 milioni di euro, di cui 6 milioni «pro soluto» (quando la società di factoring si accolla anche il rischio di insolvenza dell’impresa) e 47 milioni «pro solvendo» (cioè salvo buon fine, quando anche l’azienda-cliente rischia in caso di mancato incasso). Di questi – aggiunge Stasi – sono a carico delle banche 37 milioni, mentre i restanti 16 sono a carico degli intermediari finanziari».
Per usufruire del factoring, si paga una commissione e, se si chiede un anticipo sulle somme da riscuotere, si devono corrispondere pure gli interessi che variano in base alle condizioni di mercato. Inoltre, contrariamente a quanto accade nel credito, le società di factoring non valutano solo l’impresa che cede i crediti, ma anche la «qualità» dei crediti stessi e quindi dei debitori. I rischi che corrono sono dunque più contenuti.
Ad incidere sulla crescita del factoring è stata soprattutto la pubblica amministrazione che, allungando i tempi di pagamento, ha obbligato fornitori e ditte appaltanti a ricorrere a società specializzate. Pur di non rinunciare all’«ossigeno» della liquidità, gli imprenditori hanno preferito rinunciare ad una parte del credito atteso (per remunerare la società specializzate e pagare la relativa commissione) e recuperare, così, le somme derivanti da contratti di somministrazione, appalti, prestazioni sanitarie a carattere duraturo e a tempo indeterminato.
A lungo, il factoring è stato pensato come uno strumento troppo complicato e questo ha tenuto sempre lontano le piccole e medie imprese. Ma, dopo anni vissuti all’insegna della diffidenza e dello scetticismo, le cifre del factoring testimoniano un interesse inequivocabile e crescente. Negli ultimi mesi, infatti, i contratti sono «lievitati» e ci sono ancora ampi margini di sviluppo.
«In un periodo di prestiti delle banche con il contagocce, tempi di pagamento dilatati e una mole di fatture da riscuotere, sempre più imprese scelgono lo strumento del factoring – prosegue Stasi – Occorre monitorare l’effettiva applicazione e il rispetto da parte degli enti pubblici della direttiva comunitaria entrata da tempo in vigore», che fissa a un massimo di trenta giorni i tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. Inoltre, «bisogna affrontare il nodo del debito pregresso e coordinare le norme esistenti con quelle sui tempi di pagamento. La crescente insolvibilità spinge le imprese a ricorrere alle società di factoring – conclude Stasi – ma le banche e gli intermediari devono ridurre le commissioni e gli interessi applicati su questo tipo di operazioni».
Gli istituti e gli intermediari finanziari hanno adottato questo stesso «ciclo di smaltimento», da quando i debitori hanno iniziato ad avere difficoltà nel pagamento delle fatture e le imprese si sono viste costrette a ricorrere a società specializzate nel recupero crediti.
Se c’è crisi di liquidità «vola» il factoring e gli utili di queste società crescono vertiginosamente. E’ quanto emerge da un’indagine condotta dall’Osservatorio Economico di Confartigianato Imprese Lecce, diretto da Davide Stasi.
Se la pubblica amministrazione ritarda nei pagamenti e i fornitori non riescono a riscuotere in tempi brevi i loro crediti, l’alternativa al fallimento è la stipula di un contratto di «factoring» attraverso il quale l’azienda-cliente cede ad una società specializzata i propri crediti, sia quelli già maturati sia quelli futuri. Oltre alla riscossione, la società garantisce una serie di servizi, a cominciare dall’anticipazione di una somma rispetto alla data d’incasso.
«A conti fatti – spiega Davide Stasi, direttore dell’Osservatorio Economico di Confartigianato Imprese Lecce – considerato il panorama rarefatto del credito, questa operazione si è rivelata un’ottima occasione di finanziamento per le imprese. Un’occasione che in molti hanno colto. Tant’è che nella sola provincia di Lecce, i crediti ammontano a ben 53 milioni di euro, di cui 6 milioni «pro soluto» (quando la società di factoring si accolla anche il rischio di insolvenza dell’impresa) e 47 milioni «pro solvendo» (cioè salvo buon fine, quando anche l’azienda-cliente rischia in caso di mancato incasso). Di questi – aggiunge Stasi – sono a carico delle banche 37 milioni, mentre i restanti 16 sono a carico degli intermediari finanziari».
Per usufruire del factoring, si paga una commissione e, se si chiede un anticipo sulle somme da riscuotere, si devono corrispondere pure gli interessi che variano in base alle condizioni di mercato. Inoltre, contrariamente a quanto accade nel credito, le società di factoring non valutano solo l’impresa che cede i crediti, ma anche la «qualità» dei crediti stessi e quindi dei debitori. I rischi che corrono sono dunque più contenuti.
Ad incidere sulla crescita del factoring è stata soprattutto la pubblica amministrazione che, allungando i tempi di pagamento, ha obbligato fornitori e ditte appaltanti a ricorrere a società specializzate. Pur di non rinunciare all’«ossigeno» della liquidità, gli imprenditori hanno preferito rinunciare ad una parte del credito atteso (per remunerare la società specializzate e pagare la relativa commissione) e recuperare, così, le somme derivanti da contratti di somministrazione, appalti, prestazioni sanitarie a carattere duraturo e a tempo indeterminato.
A lungo, il factoring è stato pensato come uno strumento troppo complicato e questo ha tenuto sempre lontano le piccole e medie imprese. Ma, dopo anni vissuti all’insegna della diffidenza e dello scetticismo, le cifre del factoring testimoniano un interesse inequivocabile e crescente. Negli ultimi mesi, infatti, i contratti sono «lievitati» e ci sono ancora ampi margini di sviluppo.
«In un periodo di prestiti delle banche con il contagocce, tempi di pagamento dilatati e una mole di fatture da riscuotere, sempre più imprese scelgono lo strumento del factoring – prosegue Stasi – Occorre monitorare l’effettiva applicazione e il rispetto da parte degli enti pubblici della direttiva comunitaria entrata da tempo in vigore», che fissa a un massimo di trenta giorni i tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. Inoltre, «bisogna affrontare il nodo del debito pregresso e coordinare le norme esistenti con quelle sui tempi di pagamento. La crescente insolvibilità spinge le imprese a ricorrere alle società di factoring – conclude Stasi – ma le banche e gli intermediari devono ridurre le commissioni e gli interessi applicati su questo tipo di operazioni».