“Ho incontrato il trapianto di rene una notte di ottobre del 1968”: così il Professore Emerito Francesco Paolo Selvaggi

di LIVALCA - Molti miei compagni di liceo spesso affermano “abbiamo fatto il ’68”con l’intento di gloriarsi di un qualcosa che ha lasciato una traccia profonda nel comportamento e nella mentalità di una generazione. Molti libri sono stati pubblicati al riguardo negli anni per dare vita a tesi contrapposte e tutte ancora da “decifrare”.

La verità è, che almeno da noi, si partì con cortei contro l’autoritarismo, contro il potere classista della scuola sancito dalla solidarietà fra studenti e operai. Qualche anno prima in America gli universitari si ribellarono al maccartismo, al militarismo, alla discriminazione razziale dei neri, alla guerra del Vietnam e si cominciò a parlare di difesa dei diritti civili.  Da noi vi fu il periodo definito “autunno caldo”, in Francia “maggio ’68” di Parigi, in Cina partiva la “rivoluzione culturale”, in Cecoslovacchia la nuova sinistra entrava in conflitto con il modo di procedere dell’Unione Sovietica e iniziava la polemica con il pensiero di Lenin.

Chiaramente quanto sopra è stato esposto con il metodo Bignami - tascabili in forma di riassunto che i nostri insegnanti “sequestravano” con fermezza…per consultarli lontano da occhi indiscreti! – e quindi non accetterò “provocazioni dai soloni di turno”.

“Ho incontrato il trapianto di rene una notte di ottobre del 1968” con queste parole il Professore Emerito Francesco Paolo Selvaggi, urologo di cristallina reputazione, ha spiegato il suo incontro con quella che continua ad essere la passione di una vita.  Ora, essendo il prof. Selvaggi nato il 14 ottobre, dovrei parlarvi del suo segno zodiacale che è la bilancia. Dopo una rapida riflessione, tenuto conto che la moglie professoressa Santa Fizzarotti è una rinomata esperta del ramo, evito il percorso che mi ero costruito per arrivare alla conclusione che trattasi di un predestinato: se il professore vorrà, a voce, lo informerò di queste mie intuizioni.Ora non vorrei sembrare irriverente verso i miei ex liceali ma sono arrivato alla conclusione che ognuno ha fatto il proprio ’68, ma non tutti i numeri hanno lo stesso peso e non tutte le azioni sono “emerite”.

Vediamo, a grandi linee, di ricostruire la carriera di questo gigante della medicina nato a Bitonto: nome di sicura origine prelatina “bonumtotum”, ma secondo una non meglio identificata memoria il nome deriva dal mitico fondatore Botone, re illirico che…

Giovanissimo Selvaggi nel 1964 si laurea a Bari in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti e la lode e, quando il prof. Giuseppe Marinaccio, per tutti il Maestro, della cui Scuola era degno esponente, comincia a interessarsi del settore trapianti entra in contatto con una problematica che sarà parte rilevante, significativa e caratterizzante di tutto il suo percorso clinico. Vediamo di ricostruire in maniera veloce, ma fedele la storia del trapianto di rene.

Nel 1959 a Parigi il primo trapianto di rene eseguito dal professore Kuss su un giovane muratore che, cadendo da un’impalcatura si era fratturato l’unico rene di cui disponeva. Il rene, donato dalla madre del giovane, venne rigettato dopo venti giorni per motivi, forse, derivanti dalla poco mancanza di mezzi idonei a disposizione. Pochi anni dopo il prof. Murry a Boston effettua il primo trapianto tra gemelli identici che riesce perfettamente, il paziente è ancora in vita, perché vi era perfetta compatibilità con il donatore.In Italia il prof. Stefanini aveva eseguito in quel periodo con successo il primo trapianto di rene e in America vi era una squadra di eccezionali studiosi, Goodwin, Kaufman, Barnes, Elmer, Belt che operava in centri all’avanguardia. Era il tempo in cui studiosi di tutto il mondo si recavano in America per approfondire le loro conoscenze e vivere nuove esperienze che venivano etichettate con il termine “tirocinio”.

Selvaggi, che ancor oggi seguendo un istinto infallibile non trascura viaggi che possano arricchire il suo bagaglio professionale, decide di andare per alcuni mesi in California presso la Divisione di Urologia dell’Università di Los Angeles. Resterà oltre 48 mesi in quella metropoli e, a circa 60 miglia di distanza, frequenterà anche l’Università di Loma Linda - divenuta celebre in tutto il mondo nel 1997 perché si tenne il Terzo Congresso Internazionale sulla Nutrizione Vegetariana - dove a contatto di eminenti studiosi scopre nuovi orizzonti per i suoi studi connessi all’urologia, l’endoscopia, l’andrologia, la chirurgia vascolare e la chirurgia del trapianto del rene.Siamo arrivati alla famosa notte in cui il prof. Kaufman lo chiama in sala operatoria: nell’ottobre del 1968 Selvaggi, in terra straniera lui nativo di Bitonto, incontra il trapianto del rene.Rientrato in Italia diventa assistente ordinario in clinica chirurgica e libero docente in patologia speciale chirurgica con il prof. Giuseppe Marinaccio. Proprio il Maestro, il primo ottobre del 1973, l’incarica del prelievo di un rene, coadiuvato dal prof. Mario Fersini, e lo chiama al suo tavolo operatorio per procedere con lui al trapianto, sotto la direzione dei professori anestesisti De Blasi e Brienza.Il 1973 segna l’inizio in Puglia e nell’Italia meridionale dei trapianti di rene: un lungo lavoro preparatorio, frutto di studi e di meticolosa programmazione sotto la guida del prof. Marinaccio, la cui equipe comprendeva anche i professori Amerio e Laurentaci.

Dopo il primo trapianto da donatore vivente ne seguono subito altri anche da cadavere, sempre con una alta percentuale di successo, grazie all’impiego di un farmaco, dalla metà degli anni ’80, antirigetto molto efficace e con minori danni collaterali: la ciclosporina.

Da allora l’attività dei trapianti al Policlinico di Bari, arenatasi tra il 1985 e il 1992 per ragioni amministrative e inadeguatezza delle strutture, ha superato quota mille e sotto la direzione del prof. Selvaggi il Centro Trapianti di Rene è risultato tra i primi in Italia e per numero di interventi e per l’eccellenza dei risultati di sopravvivenza dei pazienti e degli organi trapiantati. Senza dire che stiamo parlando di un centro tra i primi in ambito europeo per la chirurgia oncologica, di cui Selvaggi viene considerato tra i massimi esperti mondiali.

Un aspetto forse poco conosciuto, fuori dagli addetti ai lavori, che fa di Selvaggi il luminare di cui tutti testimoniano è rappresentato dall’utilizzazione di nuove tecniche quali la laparoscopia e per l’interesse mostrato per l’andrologia con interventi chirurgici sui genitali per gli adeguamenti di genere: polo chirurgico fra i più qualificati e considerati a livello internazionale.Di tutta questa intensa attività sono testimonianza oltre 500 interventi su prestigiose riviste scientifiche pubblicate in ogni parte del pianeta.

Attualmente, concluso l’incarico di direttore della Clinica Universitaria Urologia I presso il Policlinico di Bari, ha nella stessa struttura un contratto di Ricerca e Didattica. La sua attività di chirurgo prosegue presso la Clinica Anthea a Bari e Santa Lucia a Conversano, senza dimenticare la consulenza presso il Centro Diagnostico - Bari e l’Ospedale di Cerignola, divisione di Urologia diretta dal dr. De Ceglie.
Qualcuno ha affermato che le grandi passioni muovono il mondo e godono ancora di una buona salute: io osservando la carriera del prof. Selvaggi mi sono ricordato di un insegnamento che gli anziani ripetevano in azienda quando volevo bruciare le tappe dell’apprendimento “imparare tutto in una volta significa non imparare mai niente”.

Vedere il prof. Selvaggi in sala operatoria mi fa pensare ad una frase di Aristotele: “Esercitare liberamente il proprio genio: ecco la felicità”. Mio padre aveva cambiato qualcosa e alle mie ripetute osservazioni sul fatto che non si stancava mai di lavorare ripeteva “Praticare liberamente il proprio lavoro: questa la felicità”. Io, forse a causa di quel 1968 vissuto in maniera transitoria, faccio fatica a considerare che l’uso migliore della vita è di spenderla per qualcosa che duri più della vita stessa.

Emerito professore Selvaggi l’etimologia della parola è da ricondursi al latino ‘emereri’ (ben meritare):lei è meritevole, ossia ha meritato quello che ha seminato e raccolto.

Nel 1992,la Levante Editori, ha pubblicato, a cura di Francesco Bellino, il primo trattato italiano di bioetica in cui si parlava anche di etica e trapianti; nell’introduzione scriveva il senatore Adriano Bompiani: “…sono convinto che contribuirà a creare nella nostra cultura i presupposti per una serena ed equilibrata valutazione dei più inquietanti interrogativi sollevati dallo sviluppo scientifico e tecnologico”.

Il tempo oltre ad essere galantuomo è al servizio della medicina e di coloro che si applicano per collocarla sempre più al servizio dell’umanità.

Ora dovrei concludere con quella frase francese che, onestamente, fa tanta scena e suona bene, ma ad un italiano vero, ad un pugliese autentico mi posso limitare a dire: tanto di cappello emerito professore.