di VITTORIO POLITO – Nell’uso comune, per gola, si intende la parte anteriore del collo che comprende la faringe e la parte più alta del tratto laringo-tracheale, che rappresenta la parte anatomica vitale del collo, poiché racchiude la laringe che è l’organo della respirazione, della fonazione e del linguaggio e quindi della comunicazione.
La gola, opportunamente protetta da idonea muscolatura, qualcuno l’ha definita ‘nodo ferroviario’, attraverso il quale passano le connessioni vitali tra organi ed apparati, come la bocca, il naso, la laringe, la faringe, i polmoni e lo stomaco. Inoltre, attraverso questo tunnel, passa il grande ‘binario’ della circolazione sanguigna che collega due organi anatomici eccellenti: cuore e cervello.
La gola, oltre a racchiudere le importanti funzioni già dette, è anche la porta di accesso di tutte le squisitezze della vita alimentare ed è sinonimo di ghiottoneria, ingordigia, golosità e come tale considerata, dalla morale cattolica, uno dei sette peccati capitali.
La differenza della gola tra i due sessi si apprezza visibilmente: nell’uomo è ben evidente, nella donna meno, quella sporgenza anatomica chiamata “pomo d’Adamo”, che mentre ci ricorda il peccato originale, altro non è che la punta (osso ioide) di una cassa di risonanza (laringe) per le corde vocali. Il fatto poi che nell’uomo è più grande, non è dovuto solo ad una struttura più robusta, ma anche alla maggiore lunghezza delle corde vocali (18 mm nell’uomo e 13 nella donna), espressione di un diverso timbro vocale.
Il collo femminile? È generalmente più lungo e sottile di quello maschile, simboleggia un’immagine di bellezza e femminilità, riconosciuto soprattutto nel mondo della moda. In Birmania, invece, vivono donne-giraffa, che hanno un collo più lungo di 2 o 3 volte il nostro, a causa di una serie di anelli o meglio di spire metalliche che vengono messe alle bambine intorno ai 5-6 anni e in seguito ne vengono aggiunte altre. In questo modo il collo può superare anche i 30 centimetri di lunghezza, subendo così una graduale deformazione di tutta la struttura ossea delle spalle e delle clavicole, al punto che se gli anelli dovessero essere rimossi le donne non riuscirebbero più a tenere su la testa a causa dell’atrofia dei muscoli del collo. Gli anelli pare fossero utilizzati per proteggersi dai morsi delle tigri, ma attualmente la legge vieta questa usanza tribale.
Vito Lozito, docente universitario di Storia della Chiesa dell’Università di Bari, scomparso qualche anno fa, nella sua pubblicazione “Alla radice del Vizio” (Levante Editori), fa un’ampia disamina dei vizi capitali, ricordandoci, ad esempio, attraverso una massima che deriva dall’Eunuchus di Terenzio, che «L’atto amoroso, senza il supporto del cibo e del vino, infiacchisce». Ma, fatta salva la morale, i cibi rappresentano un settore particolarmente interessante ai quali l’essere vivente si è sempre servito per soddisfare le indispensabili esigenze di sopravvivenza. Non va dimenticato che il primo uomo (Adamo), cadde proprio per il peccato di gola. Infatti anche se il primo peccato fu, come dicono molti, un peccato di superbia, se non avesse aggiunto il peccato di gola, non sarebbe stato condannato, e con lui l’intero genere umano. Ed a proposito di peccati di gola, pecca chi mangia più del necessario, chi dà troppa importanza alla qualità o eccede nella incontrollata voracità.
D’altro canto la Sacra Scrittura offre numerosi esempi di fatti dannosi, provocati da eccessi alimentari e da ubriachezza. Esaù, personaggio dell’Antico Testamento, figlio di Isacco e Rebecca, perdette la primogenitura per un piatto di lenticchie, mentre Noè, a causa del vino, in uno stato di ebbrezza, mostrò le sue nudità ai figli. Erode, invece, dopo aver banchettato ed in preda ai richiami della lussuria ed eccitato dalla danza di Salomè, accettò di uccidere Giovanni Battista.
A proposito della supremazia del linguaggio sulle altre forme di comunicazione, ricordo uno degli episodi più inquietanti dell’Antico Testamento: quello della Torre di Babele (Genesi, XI). Fin dall’antichità gli uomini avevano una chiara consapevolezza del valore della comunicazione interumana e sapevano apprezzare il potere ed il significato sociale. La leggenda narra che, al tempo del racconto biblico, su tutta la Terra si parlava «una sola lingua con le stesse parole» e proprio grazie all’universalità del loro linguaggio gli uomini si sentirono talmente forti da costruire una torre che saliva fino al cielo, provocando l’ira di Dio, di un Dio spesso geloso, come quello dell’Antico Testamento. La condanna divina fu proprio la diversificazione delle lingue, affinché gli uomini non si potessero più capire e si disperdessero su tutta la Terra.
Anche l’arte italiana ha contribuito a dare rilievo al collo attraverso i celebri dipinti ‘La Bohèmienne’ e ‘Madama Pompadour’ del grande Modigliani. Altri riferimenti alla gola sono rappresentati da concetti allusivi e di uso comune, come “avere il cuore in gola” (provare forte emozione), “avere l’acqua alla gola” (essere in estremo pericolo, in gravissime difficoltà o costringere qualcuno a far qualcosa o ‘catturarlo’ con sfiziose ghiottonerie).
Per finire, qualche curiosa ricetta popolare regionale italiana e straniera contro il mal di gola, ricordata da Luciano Sterpellone nel suo libro “Orecchi, naso… e un po’ di gola” (A. Delfino Editore): “Spalmare sulla gola un po’ di grasso di serpente” (Valle d’Aosta); “Applicare e fissare intorno al collo un impacco di cenere calda” (Liguria); “Contro l’afonia, bere un quarto di latte in cui sono stati bolliti due fichi” (Trentino); “Applicare al collo un sacchetto di sabbia calda” (Lazio); “Frizionare la gola con olio caldo” (Campania) e, per la Puglia, “Fare sciacqui e/o gargarismi con decotto di radice d’adonide - erba rizomatosa - in mezzo bicchiere di acqua tiepida”.
E all’estero che succede? Per la Nuova Zelanda, “Avvolgere intorno al collo un panno bagnato e ricoprirlo con un calzino di lana da uomo”; per la Svizzera tedesca “Fare gargarismi con infuso d’aglio e salvia in parti uguali” e, infine, per la Turchia, “Scarificare la cute del collo a livello della gola, e spargervi fiori di camomilla. Avvolgere intorno alla gola della mussola sulla quale sono stati schiacciati grani di pepe nero e noccioli d’oliva”. Insomma paese che vai, usanza che trovi!
La gola, opportunamente protetta da idonea muscolatura, qualcuno l’ha definita ‘nodo ferroviario’, attraverso il quale passano le connessioni vitali tra organi ed apparati, come la bocca, il naso, la laringe, la faringe, i polmoni e lo stomaco. Inoltre, attraverso questo tunnel, passa il grande ‘binario’ della circolazione sanguigna che collega due organi anatomici eccellenti: cuore e cervello.
La gola, oltre a racchiudere le importanti funzioni già dette, è anche la porta di accesso di tutte le squisitezze della vita alimentare ed è sinonimo di ghiottoneria, ingordigia, golosità e come tale considerata, dalla morale cattolica, uno dei sette peccati capitali.
La differenza della gola tra i due sessi si apprezza visibilmente: nell’uomo è ben evidente, nella donna meno, quella sporgenza anatomica chiamata “pomo d’Adamo”, che mentre ci ricorda il peccato originale, altro non è che la punta (osso ioide) di una cassa di risonanza (laringe) per le corde vocali. Il fatto poi che nell’uomo è più grande, non è dovuto solo ad una struttura più robusta, ma anche alla maggiore lunghezza delle corde vocali (18 mm nell’uomo e 13 nella donna), espressione di un diverso timbro vocale.
Il collo femminile? È generalmente più lungo e sottile di quello maschile, simboleggia un’immagine di bellezza e femminilità, riconosciuto soprattutto nel mondo della moda. In Birmania, invece, vivono donne-giraffa, che hanno un collo più lungo di 2 o 3 volte il nostro, a causa di una serie di anelli o meglio di spire metalliche che vengono messe alle bambine intorno ai 5-6 anni e in seguito ne vengono aggiunte altre. In questo modo il collo può superare anche i 30 centimetri di lunghezza, subendo così una graduale deformazione di tutta la struttura ossea delle spalle e delle clavicole, al punto che se gli anelli dovessero essere rimossi le donne non riuscirebbero più a tenere su la testa a causa dell’atrofia dei muscoli del collo. Gli anelli pare fossero utilizzati per proteggersi dai morsi delle tigri, ma attualmente la legge vieta questa usanza tribale.
Vito Lozito, docente universitario di Storia della Chiesa dell’Università di Bari, scomparso qualche anno fa, nella sua pubblicazione “Alla radice del Vizio” (Levante Editori), fa un’ampia disamina dei vizi capitali, ricordandoci, ad esempio, attraverso una massima che deriva dall’Eunuchus di Terenzio, che «L’atto amoroso, senza il supporto del cibo e del vino, infiacchisce». Ma, fatta salva la morale, i cibi rappresentano un settore particolarmente interessante ai quali l’essere vivente si è sempre servito per soddisfare le indispensabili esigenze di sopravvivenza. Non va dimenticato che il primo uomo (Adamo), cadde proprio per il peccato di gola. Infatti anche se il primo peccato fu, come dicono molti, un peccato di superbia, se non avesse aggiunto il peccato di gola, non sarebbe stato condannato, e con lui l’intero genere umano. Ed a proposito di peccati di gola, pecca chi mangia più del necessario, chi dà troppa importanza alla qualità o eccede nella incontrollata voracità.
D’altro canto la Sacra Scrittura offre numerosi esempi di fatti dannosi, provocati da eccessi alimentari e da ubriachezza. Esaù, personaggio dell’Antico Testamento, figlio di Isacco e Rebecca, perdette la primogenitura per un piatto di lenticchie, mentre Noè, a causa del vino, in uno stato di ebbrezza, mostrò le sue nudità ai figli. Erode, invece, dopo aver banchettato ed in preda ai richiami della lussuria ed eccitato dalla danza di Salomè, accettò di uccidere Giovanni Battista.
A proposito della supremazia del linguaggio sulle altre forme di comunicazione, ricordo uno degli episodi più inquietanti dell’Antico Testamento: quello della Torre di Babele (Genesi, XI). Fin dall’antichità gli uomini avevano una chiara consapevolezza del valore della comunicazione interumana e sapevano apprezzare il potere ed il significato sociale. La leggenda narra che, al tempo del racconto biblico, su tutta la Terra si parlava «una sola lingua con le stesse parole» e proprio grazie all’universalità del loro linguaggio gli uomini si sentirono talmente forti da costruire una torre che saliva fino al cielo, provocando l’ira di Dio, di un Dio spesso geloso, come quello dell’Antico Testamento. La condanna divina fu proprio la diversificazione delle lingue, affinché gli uomini non si potessero più capire e si disperdessero su tutta la Terra.
Anche l’arte italiana ha contribuito a dare rilievo al collo attraverso i celebri dipinti ‘La Bohèmienne’ e ‘Madama Pompadour’ del grande Modigliani. Altri riferimenti alla gola sono rappresentati da concetti allusivi e di uso comune, come “avere il cuore in gola” (provare forte emozione), “avere l’acqua alla gola” (essere in estremo pericolo, in gravissime difficoltà o costringere qualcuno a far qualcosa o ‘catturarlo’ con sfiziose ghiottonerie).
Per finire, qualche curiosa ricetta popolare regionale italiana e straniera contro il mal di gola, ricordata da Luciano Sterpellone nel suo libro “Orecchi, naso… e un po’ di gola” (A. Delfino Editore): “Spalmare sulla gola un po’ di grasso di serpente” (Valle d’Aosta); “Applicare e fissare intorno al collo un impacco di cenere calda” (Liguria); “Contro l’afonia, bere un quarto di latte in cui sono stati bolliti due fichi” (Trentino); “Applicare al collo un sacchetto di sabbia calda” (Lazio); “Frizionare la gola con olio caldo” (Campania) e, per la Puglia, “Fare sciacqui e/o gargarismi con decotto di radice d’adonide - erba rizomatosa - in mezzo bicchiere di acqua tiepida”.
E all’estero che succede? Per la Nuova Zelanda, “Avvolgere intorno al collo un panno bagnato e ricoprirlo con un calzino di lana da uomo”; per la Svizzera tedesca “Fare gargarismi con infuso d’aglio e salvia in parti uguali” e, infine, per la Turchia, “Scarificare la cute del collo a livello della gola, e spargervi fiori di camomilla. Avvolgere intorno alla gola della mussola sulla quale sono stati schiacciati grani di pepe nero e noccioli d’oliva”. Insomma paese che vai, usanza che trovi!