BARI - «La nostra zootecnia è in coma profondo, serve un intervento salva-vita». Una energica sterzata, insomma, per evitare che «un pezzo importante dell’agricoltura pugliese finisca sotto un mesto cartello: chiuso per crisi».
A chiedere una decisa inversione di marcia è Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto, durante la visita di ieri pomeriggio alla Fiera Bovina interregionale della razza Bruna e Frisona di Martina Franca: «Di fronte all’inesorabile caduta dei prezzi - 37 centesimi per un litro di latte a febbraio scorso - e agli effetti devastanti sulle aziende e sul lavoro è necessario intervenire e anche con urgenza». «Nella Murgia tarantina – spiega Lazzàro – abbiamo un triangolo d’eccellenza tra Martina Franca, Mottola e Laterza che qui in fiera mette in mostra i notevoli risultati di un grande lavoro di selezione e miglioramento delle razze. Diverse centinaia di allevamenti bovini che però non ce la fanno più a resistere, soffocati da costi elevati e prezzi sempre più bassi pagati dai trasformatori e dalla grande distribuzione organizzata. Il prezzo è sceso da 44 cent del 2014 ai livelli attuali, in cui pochi centesimi fanno un’enorme differenza a sfavore dei produttori. Il mercato non li aiuta, perché è fortemente asimmetrico: chi produce incassa le briciole, è l’anello debole del meccanismo; chi invece compra, trasforma e vende si prende la polpa, il guadagno netto».
Una crisi di sistema che è certificata dai numeri. All’inizio dell’annata 2003-2004 in Puglia c’erano quasi 3.800 allevamenti con bovini da latte, oggi si è scesi sotto la soglia dei 2000, 1939 per l’esattezza (dati Agea-Istat). «Eppure – rimarca Lazzàro – si produce più latte di prima, perché in 10 anni siamo passati da 3 a 3,6 milioni di quintali, il prezzo sugli scaffali resta sostenuto e tutto ciò anche a fronte di un marcato ingresso di prodotto straniero. Un capitolo a parte su cui si dovrebbe aprire un’ampia riflessione, proprio a partire dall’uso più rigoroso del marchio regionale di qualità “prodotto di Puglia”, a fronte di prodotti realizzati sì in Puglia ma con cagliate estere o sulla cui provenienza è lecito nutrire qualche dubbio».
Il problema, però, è soprattutto un altro: «I costi di produzione – spiega Lazzàro - hanno raggiunto livelli elevatissimi: mangimi, energia, costi burocratici e quant’altro. Si tratta di un sistema poco competitivo che, per il latte alla stalla, fissa l’asticella del pareggio a 38-39 cent. Scendere al di sotto di questo limite significa condannare alla chiusura gli allevamenti. La fine del sistema delle quote latte ha fatto il resto determinando un’ulteriore sovrapproduzione, soprattutto nel Nord Europa, e il crollo verticale del prezzo di mercato. Una situazione che va avanti da sei mesi e sta stritolando le nostre aziende: è impossibile resistere a lungo producendo in perdita».
Uno scenario complesso e globale, perché molta dell’eccedenza produttiva arriva dall’Europa e la soluzione non può essere semplicemente nel produrre meno: «Tocca ai Paesi eccedentari ridurre la produzione – è la linea del presidente di Confagricoltura – ed è necessario intervenire sul prezzo alla stalla con meccanismi che tutelino le aziende. Su questo versante deve darci una mano l’Europa e in Italia, che produce il 70 per cento del suo fabbisogno, è necessario che si apra una trattativa seria per un prezzo equo e remunerativo. Così come la Regione Puglia deve fare la sua parte intervenendo urgentemente sul versante della rimodulazione del Psr, in cui la zootecnia è stata pericolosamente sottostimata. Altrimenti anche qui in Puglia e nel Tarantino la crisi farà altre “vittime”, facendo scomparire decine di aziende zootecniche e con esse il grande patrimonio di qualità del latte fresco e dei suoi derivati a pasta filata. Con un effetto domino – conclude Lazzàro - che investe allevatori, agroindustria di qualità e anche i consumatori».
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