BARI - L’obesità è una delle piaghe del nuovo millennio con incidenze pesantissime sul welfare di ogni stato per gli effetti sulla salute dei cittadini poiché già il semplice sovrappeso aumenta i fattori di rischio riguardanti le malattie cardiovascolari, il diabete e il cancro ed è all’origine di circa 3 milioni di morti premature ogni anno. Insomma un mondo con troppi chili di cui un terzo della popolazione ha problemi con la bilancia.
La conferma viene da uno studio che riferisce che il peso medio della popolazione mondiale è aumentato di 1,5 chilogrammi ogni dieci anni negli ultimi 40 anni.Allo studio, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista "The Lancet", hanno preso parte più di 700 ricercatori in tutto il mondo. Da esso emerge che gli USA sono in testa alla classifica dell'obesità .Fra i paesi più sviluppati, il Giappone è quello in cui gli abitanti hanno il più basso "indice di massa corporea".
In Europa, le persone con il miglior rapporto fra massa e peso sono le donne svizzere e i gli uomini bosniaci.A livello mondiale il 2,3% degli uomini e il 5% delle donne sono considerati molto obesi ed hanno cioè un BMI superiore a 35. Continuando di questo passo, nel 2025 il 18% degli uomini e il 21% delle donne soffriranno di una grave obesità , scrive l'Università di Zurigo.
L'obiettivo fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità , ossia di riportare entro il 2025 l'obesità ai livelli del 2010, non è realistico, sottolineano inoltre gli autori dello studio. Diversa la situazione per quanto riguarda le persone al di sotto del peso ideale, che hanno cioè un BMI inferiore a 8,5. Dal 1975 questa categoria è scesa a livello mondiale dal 14 al 9% fra gli uomini e dal 15 al 10% fra le donne. Malgrado il miglioramento, la mancanza di peso continua a rappresentare un grande problema, soprattutto nei paesi dell'Africa centrale e orientale.
In paesi come l'India e il Bangladesh quasi un quarto di tutta la popolazione adulta è considerata sottopeso. In Europa ed in particolare Belgio, la Finlandia, la Francia, l’Italia (IMC 28 per le donne adulte) e la Svizzera non risulta esservi stato un incremento significativo dell’Indice, ma ciò non deve fare abbassare la guardia agli organismi deputati al controllo della salute pubblica.Alla luce di tale importante studio che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” teneva a diffondere, affinché anche in Italia si approntino delle strategie pubbliche di prevenzione e cura per combattere il fenomeno, non possiamo non concordare nelle proposte autorevoli che vengono dalla Scienza dell'alimentazione secondo cui bisognerebbe realizzare in ogni regione centri di coordinamento di reti assistenziali che attraverso approcci multidisciplinari integrati di tipo riabilitativo, siano adeguate alla diagnosi e cura dell'obesità e dei disturbi dell'alimentazione ed articolate in unità ambulatoriali, semiresidenziali e di ricovero di riabilitazione intensiva. In alcune regioni sta avendo successo il modello definito “hub and spoke” che prevede la concentrazione dell'assistenza di maggiore complessità in centri di eccellenza (hub) e l'invio dei pazienti ai centri periferici (spoke) in relazione alla prosecuzione del percorso terapeutico e riabilitativo.
La conferma viene da uno studio che riferisce che il peso medio della popolazione mondiale è aumentato di 1,5 chilogrammi ogni dieci anni negli ultimi 40 anni.Allo studio, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista "The Lancet", hanno preso parte più di 700 ricercatori in tutto il mondo. Da esso emerge che gli USA sono in testa alla classifica dell'obesità .Fra i paesi più sviluppati, il Giappone è quello in cui gli abitanti hanno il più basso "indice di massa corporea".
In Europa, le persone con il miglior rapporto fra massa e peso sono le donne svizzere e i gli uomini bosniaci.A livello mondiale il 2,3% degli uomini e il 5% delle donne sono considerati molto obesi ed hanno cioè un BMI superiore a 35. Continuando di questo passo, nel 2025 il 18% degli uomini e il 21% delle donne soffriranno di una grave obesità , scrive l'Università di Zurigo.
L'obiettivo fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità , ossia di riportare entro il 2025 l'obesità ai livelli del 2010, non è realistico, sottolineano inoltre gli autori dello studio. Diversa la situazione per quanto riguarda le persone al di sotto del peso ideale, che hanno cioè un BMI inferiore a 8,5. Dal 1975 questa categoria è scesa a livello mondiale dal 14 al 9% fra gli uomini e dal 15 al 10% fra le donne. Malgrado il miglioramento, la mancanza di peso continua a rappresentare un grande problema, soprattutto nei paesi dell'Africa centrale e orientale.
In paesi come l'India e il Bangladesh quasi un quarto di tutta la popolazione adulta è considerata sottopeso. In Europa ed in particolare Belgio, la Finlandia, la Francia, l’Italia (IMC 28 per le donne adulte) e la Svizzera non risulta esservi stato un incremento significativo dell’Indice, ma ciò non deve fare abbassare la guardia agli organismi deputati al controllo della salute pubblica.Alla luce di tale importante studio che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” teneva a diffondere, affinché anche in Italia si approntino delle strategie pubbliche di prevenzione e cura per combattere il fenomeno, non possiamo non concordare nelle proposte autorevoli che vengono dalla Scienza dell'alimentazione secondo cui bisognerebbe realizzare in ogni regione centri di coordinamento di reti assistenziali che attraverso approcci multidisciplinari integrati di tipo riabilitativo, siano adeguate alla diagnosi e cura dell'obesità e dei disturbi dell'alimentazione ed articolate in unità ambulatoriali, semiresidenziali e di ricovero di riabilitazione intensiva. In alcune regioni sta avendo successo il modello definito “hub and spoke” che prevede la concentrazione dell'assistenza di maggiore complessità in centri di eccellenza (hub) e l'invio dei pazienti ai centri periferici (spoke) in relazione alla prosecuzione del percorso terapeutico e riabilitativo.