di ILARIA STEFANELLI — Si è aperta ufficialmente con il “Rigoletto” di Giuseppe Verdi la Stagione Lirica 2016. “Nonostante le difficoltà , i tagli ministeriali ingiustificati degli ultimi periodi, non rinunciamo, ed anzi puntiamo con maggiore fermezza sulla produzione culturale”, così afferma il direttore artistico Carlo Antonio De Lucia.
“ A noi non spetta il compito di proporre lavori sperimentali, su noi grava il dovere di divulgare la tradizione per educare il pubblico che si accosta all’opera per la prima volta, per fidelizzarlo, per accendere curiosità , voglia di approfondire, altre realtà hanno, con i cospicui fondi pubblici di cui dispongono, il compito di innovare, per noi, che vogliamo attraverso questa ragione lanciare un segnale forte alle istituzioni, l’innovazione sta nel rispetto della tradizione”.
E’ il sentimento accorato che lega da sempre la terra salentina all’opera che ha determinato, coraggiosamente, da parte di direzione artistica, proprietà e produzione, il superamento di ostacoli e difficoltà economiche per offrire al pubblico la sua beneamata stagione lirica e di farlo con un incipit d’eccezione, scegliendo, come pezzo d’apertura, proprio un’opera complessa e coraggiosa come Rigoletto, un lavoro che negli ultimi anni è stato proposto già due volte con discreti risultati in termini di apprezzamento, pertanto, da qui, il coraggio di riproporlo con l’ardimento e la volontà di voler fare “ la differenza”, soprattutto perché “ la differenza” rispetto alle precedenti sta che a supporto del lavoro non ci siano stati fondi pubblici a far da tappeto morbido.
Par cogliere nella scelta delle opere in cartellone una ricorrenza certamente cara alla direzione artistica, quella del tema di Amore e Morte, filo conduttore che aveva animato anche le precedenti stagioni. Amore e Morte elementi portanti del meccanismo narrativo dell’opera.
Amore e Morte, due connotati fortissimi , nelle accezioni più varie e colorate che permeano Rigoletto in maniera inconfondibile.
E’, Rigoletto, una delle opere più belle di Verdi, sicuramente la più conosciuta, un capolavoro assoluto, una “ summa” di arie che abitano l’immaginario musicale popolare, dall’ascoltatore accanito al barbiere cresciuto a pane e opera nella bottega del padre e del padre del padre. Un ‘opera che conserva al suo interno, come il gioco delle bambole russe, un’aria nell’altra, tutte da ricordare, tutte ad impatto emotivo fortissimo.
Rigoletto, opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo Le Roi s'amuse ("Il re si diverte"). Con Il trovatore (1853) e La traviata (1853) è parte, com’è universalmente noto della cosiddetta "trilogia popolare" di Verdi. Centrato sulla drammatica e originale figura di un buffone di corte, Rigoletto fu inizialmente oggetto della censura austriaca.
La stessa sorte era toccata nel 1832 a Le Roi s'amuse, bloccata dalla censura e riproposta solo 50 anni dopo la prima. Nel dramma di Hugo, che non piacque né al pubblico né alla critica, erano infatti descritte senza mezzi termini le dissolutezze della corte francese, con al centro il libertinaggio di Francesco I, re di Francia.
Nell'opera si arrivò al compromesso di far svolgere l'azione alla corte di Mantova, a quel tempo non più esistente, trasformando il re di Francia nel duca di Mantova e cambiando il nome del protagonista da Triboulet a Rigoletto (dal francese rigoler, che significa scherzare).
Un dramma del potere, in cui ricorrono temi cari al mondo dell’opera: il ciclo dei vinti, l’amore impossibile minacciato più che dalla differenza di ceto, dalla lussuria apparentemente insaziabile di uno dei protagonisti, l’innocenza perduta, la vendetta implacabile a sua volta redenta dal sacrificio estremo dell’amore senza macchia di un “ sacrificato”. In una corte libertina che non sa di esserlo ma che ne è corrosa dall’interno, si consumano le vicende amorose del “ Don Giovanni” mantovano, figura certamente incompresa da un certo tipo di critica bigotta in voga ormai da diversi anni nel mondo lirico, una critica che ha visto questo personaggio etichettato come il libertino, il marrano, l’approfittatore,una sorta di serial killer femminile seriale, privo di scrupoli e di sentimenti.
Una lettura decisamente ingrata e poco realistica e questo il regista De Lucia, dall’alto della sua esperienza sopraffina, lo ha compreso e ha inteso trasfonderlo nel suo personalissimo duca di Manova, attraverso i panni e la voce del tenore Vadislav Gorai, il quale ha offerto al pubblico una interpretazione delicata, forse troppo, considerando la tradizionale irruenza nell’immaginario popolare collettivo del personaggio, una debolezza che, nonostante alcune imprecisioni d’intonazione e di intenzione interpretativa, sembra essere stata studiata a tavolino, forse per ridare dignità a un personaggio bistrattato e mal compreso dai più.
Il duca è si un libertino, un capriccioso, un volubile, ma nel ciclo dei vinti è esso stessa vittima del gioco di seduzione, più che un sadico egli è agnello sacrificale sull’altare del fascino femminile, da cui viene soggiogato, ammaliato, tanto da divenirne “schiavo”, “ ch’anco in trono ha degli schiavi amor”, “ bella figlia dell’amore, schiavo son dei vezzi tuoi, con un detto sol tu puoi le mie pene consolar” “ per voi già possente, la fiamma d’amore, inebria, conquide, distrugge il mio core”, “e dunque amiamoci donna celeste, d’invidia agli uomini sarò per te”.
Il taglio interpretativo di Gorai segue questa linea, offrendo al pubblico picchi di delicatezza, una morbidezza nel canto e una gestualità forse più da giovane Werther che da Don Giovanni consumato.
Si affianca una Gilda sedotta e affascinata, una delicatissima Ramona Tullumani, soprano albanese. Una fisicità quasi puerile che si contrappone, come un ossimoro, a una voce che sa imporsi per persuasività , forza e incantamento.
Belle le variazioni, con agilità sicure e filati memorabili. Il soprano, unisce alla bellezza del timbro una notevole omogeneità , grazie a un'emissione mai forzata. La straordinarietà interpretativa dell'artista conferisce profondità al personaggio, evidenziando con eleganza la semplice complessità che compone l'animo della giovane mantovana. Ella è compressa fra le componenti dell'essere umano: l'oppressione ossessiva del padre, che la porterà di fatto al suicidio, la dolcezza del sentire di una ragazza e il tormento interiore, che si fa nobiltà nel compiere l'estremo sacrificio, per il fedifrago . Tre punti precisi della produzione valevano soli il prezzo del biglietto e sono stati a opera della Tullumani: una lettura eccezionale di “Tutte le feste al tempio”, il suo modo di porgere la frase “V'ho ingannato… colpevole fui...”, nella quale riesce a condensare tutto il sentimento del personaggio che, per mancanza di spazio, abbiamo potuto descrivere solo parzialmente poco sopra.
Buona, ma non pienamente convincente, la prova del baritono Pedro Carrillo, come Rigoletto. La sua è una recita in crescendo e se, all'inizio, soffre la scarsa caratterizzazione registica che rende poco incisiva la sua interpretazione, si riprende con un'esecuzione vibrante di “Cortigiani, vil razza dannata” e una buona interpretazione della celeberrima stretta “Sì, vendetta, tremenda vendetta”.
La sensazione che pervade è quella di un artista ben dotato che abbia mancato in qualche modo un appuntamento importante, Carrillo possiede slancio, una certa capacità di tenere la voce, di attribuire personalità frutto di ricerca interpretativa, ma appare impacciato, bloccato. Ritrova verve da vendere nel finale con un “ah, la maledizione” da annoverare tra i ricordi più pregevoli delle stagioni degli ultimi anni.
Un discorso a parte merita il quadro che propone i personaggi di Sparafucile e Maddalena, interpretati dal basso Fulvio Valenti, chiamato a sostituire un altro artista in tempi brevissimi e il mezzosoprano Veronica Esposito. I due artisti hanno saputo, a mio parere, su tutti e in assoluto dare prova di straordinaria interpretazione , grande affiatamento scenico, complicità artistica, rendendo estremamente persuasivi i loro ruoli. Valenti ci offre un’ ottima prova vocale, convincente, ferma, ma anche attoriale, quasi da teatro di prosa, ha ornato il ruolo con vezzi personalissimi, creativi, immaginifici. Al suo fianco una Maddalena emblema più che convincente, civettuola quanto basta, mai volgare, con ottime qualità vocali e anche in questo caso interpretative, pertanto entrambi sul podio per quanto riguarda questa versione di Rigoletto, firmata De Lucia.
Ottima prova anche per Giovanna, il mezzosoprano Marinella Rizzo, a dispetto di un ruolo che appare nell’equilibrio complessivo dell’opera, marginale, la Rizzo ha tenuto la scena con fermezza, professionalità e una caratterizzazione personale anch’essa. Pregevole.
Incerto il Monterone di Carlo Provenzano, buone capacità vocali, ma anch’egli si è fermato sulla “ soglia” del personaggio, come Rigoletto, duole dinanzi a delle qualità evidentissime questo riserbo, non si coglie pienamente l’ira funesta d’un padre a cui si stata dissacrata una figlia, una maledizione accettabile ma non convincente pienamente, una sorta di timidezza scenica che può essere superata da un abbandono più totale che l’artista può regalare al personaggio, se lo permette.
Graziosa Lidia Ballo nei panni della contessa di Ceprano, una vocalità interessante, sicuramente ancora acerba ma dotata di un fascino e di una seduttività in fieri , che rendono questa giovane artista una possibile promessa. Anche qui, un maggiore abbandono al ruolo dell’innamorata costretta a seguire lo sposo rinunziando alla passione, avrebbe reso ancora più incisiva la sua prova che nel complesso possiamo definire buona, considerando la giovane età .
Buono anche il coro e nello specifico Emily de Salve, che abbiamo avuto modo di apprezzare nel ruolo del Gran sacerdote di Belo lo scorso anno in "Nabucco". La de Salve, anche se per evidente volontà registica, pur nella staticità impostale, è comunicativa e possiede una buona presenza scenica,nonostante qualche piccola e impercettibile sbavatura, ha dato una prova nel complesso più che buona.
Il coro, diretto dal maestro Francesco Costa, non ha reso la sua interpretazione migliore, impacciato, impreciso, in certi momenti sottotono, dopo un primo atto da dimenticare ha saputo riprendersi con brillantezza nel secondo, regalando una discreta interpretazione. La staticità , ritorno a dire, a tratti eccessiva, appare una precisa scelta registica, de Lucia ha inteso giocare con i fermo immagine, creando un’atmosfera quasi da album fotografico e da galleria d’arte con l’intenzione di creare nello spettatore un impatto psicologico da memoria fotografica.
In linea con questo taglio, preciso ed evidente nella sua finalità , una scelta dei costumi tradizionali molto accurata e una scenografia che ha esaltato le ambientazioni tipiche del dramma.
Ottima la prova dell’orchestra, guidata dal maestro Francesco Ledda, già maestro concertatore in “ Nabucco” e in “ Orfeo e Euridice” nelle precedenti stagioni, il maestro si riconferma, così come ribattezzato dal pubblico in sala il “ vero coreografo” della serata. Una concertazione ben sviluppata nelle dinamiche e nella scelta dei colori. Il direttore siciliano è bravo a fa suonar bene l'orchestra, grazie all’ esperienza che lo caratterizza. Particolarmente intenso il preludio, apprezzabile l'impeto ordinato del finale dell'opera, appropriato alla drammaticità della maledizione evocata da Rigoletto. Una direzione appassionata, coinvolgente, estremamente fisica, un trait d’union tra orchestra e palcoscenico. La bacchetta, o meglio, le mani nude usate in guisa del tradizionale oggetto utilizzato dai direttori, del maestro, hanno scandito esemplarmente tutti i quadri dell’opera, rendendo fluido e mai compassato il discorso musicale verdiano.
Una valutazione nel complesso positiva per la prima di questo lavoro d’apertura di cartellone, per una stagione “coraggiosa” che invita a guardare più in alto, che vuole convincere ma soprattutto “svegliare” enti e istituzioni chiamati a investire su quello che è un patrimonio comune. Si replica oggi, alle 19:00.
“ A noi non spetta il compito di proporre lavori sperimentali, su noi grava il dovere di divulgare la tradizione per educare il pubblico che si accosta all’opera per la prima volta, per fidelizzarlo, per accendere curiosità , voglia di approfondire, altre realtà hanno, con i cospicui fondi pubblici di cui dispongono, il compito di innovare, per noi, che vogliamo attraverso questa ragione lanciare un segnale forte alle istituzioni, l’innovazione sta nel rispetto della tradizione”.
E’ il sentimento accorato che lega da sempre la terra salentina all’opera che ha determinato, coraggiosamente, da parte di direzione artistica, proprietà e produzione, il superamento di ostacoli e difficoltà economiche per offrire al pubblico la sua beneamata stagione lirica e di farlo con un incipit d’eccezione, scegliendo, come pezzo d’apertura, proprio un’opera complessa e coraggiosa come Rigoletto, un lavoro che negli ultimi anni è stato proposto già due volte con discreti risultati in termini di apprezzamento, pertanto, da qui, il coraggio di riproporlo con l’ardimento e la volontà di voler fare “ la differenza”, soprattutto perché “ la differenza” rispetto alle precedenti sta che a supporto del lavoro non ci siano stati fondi pubblici a far da tappeto morbido.
Par cogliere nella scelta delle opere in cartellone una ricorrenza certamente cara alla direzione artistica, quella del tema di Amore e Morte, filo conduttore che aveva animato anche le precedenti stagioni. Amore e Morte elementi portanti del meccanismo narrativo dell’opera.
Amore e Morte, due connotati fortissimi , nelle accezioni più varie e colorate che permeano Rigoletto in maniera inconfondibile.
E’, Rigoletto, una delle opere più belle di Verdi, sicuramente la più conosciuta, un capolavoro assoluto, una “ summa” di arie che abitano l’immaginario musicale popolare, dall’ascoltatore accanito al barbiere cresciuto a pane e opera nella bottega del padre e del padre del padre. Un ‘opera che conserva al suo interno, come il gioco delle bambole russe, un’aria nell’altra, tutte da ricordare, tutte ad impatto emotivo fortissimo.
Rigoletto, opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo Le Roi s'amuse ("Il re si diverte"). Con Il trovatore (1853) e La traviata (1853) è parte, com’è universalmente noto della cosiddetta "trilogia popolare" di Verdi. Centrato sulla drammatica e originale figura di un buffone di corte, Rigoletto fu inizialmente oggetto della censura austriaca.
La stessa sorte era toccata nel 1832 a Le Roi s'amuse, bloccata dalla censura e riproposta solo 50 anni dopo la prima. Nel dramma di Hugo, che non piacque né al pubblico né alla critica, erano infatti descritte senza mezzi termini le dissolutezze della corte francese, con al centro il libertinaggio di Francesco I, re di Francia.
Nell'opera si arrivò al compromesso di far svolgere l'azione alla corte di Mantova, a quel tempo non più esistente, trasformando il re di Francia nel duca di Mantova e cambiando il nome del protagonista da Triboulet a Rigoletto (dal francese rigoler, che significa scherzare).
Un dramma del potere, in cui ricorrono temi cari al mondo dell’opera: il ciclo dei vinti, l’amore impossibile minacciato più che dalla differenza di ceto, dalla lussuria apparentemente insaziabile di uno dei protagonisti, l’innocenza perduta, la vendetta implacabile a sua volta redenta dal sacrificio estremo dell’amore senza macchia di un “ sacrificato”. In una corte libertina che non sa di esserlo ma che ne è corrosa dall’interno, si consumano le vicende amorose del “ Don Giovanni” mantovano, figura certamente incompresa da un certo tipo di critica bigotta in voga ormai da diversi anni nel mondo lirico, una critica che ha visto questo personaggio etichettato come il libertino, il marrano, l’approfittatore,una sorta di serial killer femminile seriale, privo di scrupoli e di sentimenti.
Una lettura decisamente ingrata e poco realistica e questo il regista De Lucia, dall’alto della sua esperienza sopraffina, lo ha compreso e ha inteso trasfonderlo nel suo personalissimo duca di Manova, attraverso i panni e la voce del tenore Vadislav Gorai, il quale ha offerto al pubblico una interpretazione delicata, forse troppo, considerando la tradizionale irruenza nell’immaginario popolare collettivo del personaggio, una debolezza che, nonostante alcune imprecisioni d’intonazione e di intenzione interpretativa, sembra essere stata studiata a tavolino, forse per ridare dignità a un personaggio bistrattato e mal compreso dai più.
Il duca è si un libertino, un capriccioso, un volubile, ma nel ciclo dei vinti è esso stessa vittima del gioco di seduzione, più che un sadico egli è agnello sacrificale sull’altare del fascino femminile, da cui viene soggiogato, ammaliato, tanto da divenirne “schiavo”, “ ch’anco in trono ha degli schiavi amor”, “ bella figlia dell’amore, schiavo son dei vezzi tuoi, con un detto sol tu puoi le mie pene consolar” “ per voi già possente, la fiamma d’amore, inebria, conquide, distrugge il mio core”, “e dunque amiamoci donna celeste, d’invidia agli uomini sarò per te”.
Il taglio interpretativo di Gorai segue questa linea, offrendo al pubblico picchi di delicatezza, una morbidezza nel canto e una gestualità forse più da giovane Werther che da Don Giovanni consumato.
Si affianca una Gilda sedotta e affascinata, una delicatissima Ramona Tullumani, soprano albanese. Una fisicità quasi puerile che si contrappone, come un ossimoro, a una voce che sa imporsi per persuasività , forza e incantamento.
Belle le variazioni, con agilità sicure e filati memorabili. Il soprano, unisce alla bellezza del timbro una notevole omogeneità , grazie a un'emissione mai forzata. La straordinarietà interpretativa dell'artista conferisce profondità al personaggio, evidenziando con eleganza la semplice complessità che compone l'animo della giovane mantovana. Ella è compressa fra le componenti dell'essere umano: l'oppressione ossessiva del padre, che la porterà di fatto al suicidio, la dolcezza del sentire di una ragazza e il tormento interiore, che si fa nobiltà nel compiere l'estremo sacrificio, per il fedifrago . Tre punti precisi della produzione valevano soli il prezzo del biglietto e sono stati a opera della Tullumani: una lettura eccezionale di “Tutte le feste al tempio”, il suo modo di porgere la frase “V'ho ingannato… colpevole fui...”, nella quale riesce a condensare tutto il sentimento del personaggio che, per mancanza di spazio, abbiamo potuto descrivere solo parzialmente poco sopra.
Buona, ma non pienamente convincente, la prova del baritono Pedro Carrillo, come Rigoletto. La sua è una recita in crescendo e se, all'inizio, soffre la scarsa caratterizzazione registica che rende poco incisiva la sua interpretazione, si riprende con un'esecuzione vibrante di “Cortigiani, vil razza dannata” e una buona interpretazione della celeberrima stretta “Sì, vendetta, tremenda vendetta”.
La sensazione che pervade è quella di un artista ben dotato che abbia mancato in qualche modo un appuntamento importante, Carrillo possiede slancio, una certa capacità di tenere la voce, di attribuire personalità frutto di ricerca interpretativa, ma appare impacciato, bloccato. Ritrova verve da vendere nel finale con un “ah, la maledizione” da annoverare tra i ricordi più pregevoli delle stagioni degli ultimi anni.
Un discorso a parte merita il quadro che propone i personaggi di Sparafucile e Maddalena, interpretati dal basso Fulvio Valenti, chiamato a sostituire un altro artista in tempi brevissimi e il mezzosoprano Veronica Esposito. I due artisti hanno saputo, a mio parere, su tutti e in assoluto dare prova di straordinaria interpretazione , grande affiatamento scenico, complicità artistica, rendendo estremamente persuasivi i loro ruoli. Valenti ci offre un’ ottima prova vocale, convincente, ferma, ma anche attoriale, quasi da teatro di prosa, ha ornato il ruolo con vezzi personalissimi, creativi, immaginifici. Al suo fianco una Maddalena emblema più che convincente, civettuola quanto basta, mai volgare, con ottime qualità vocali e anche in questo caso interpretative, pertanto entrambi sul podio per quanto riguarda questa versione di Rigoletto, firmata De Lucia.
Ottima prova anche per Giovanna, il mezzosoprano Marinella Rizzo, a dispetto di un ruolo che appare nell’equilibrio complessivo dell’opera, marginale, la Rizzo ha tenuto la scena con fermezza, professionalità e una caratterizzazione personale anch’essa. Pregevole.
Incerto il Monterone di Carlo Provenzano, buone capacità vocali, ma anch’egli si è fermato sulla “ soglia” del personaggio, come Rigoletto, duole dinanzi a delle qualità evidentissime questo riserbo, non si coglie pienamente l’ira funesta d’un padre a cui si stata dissacrata una figlia, una maledizione accettabile ma non convincente pienamente, una sorta di timidezza scenica che può essere superata da un abbandono più totale che l’artista può regalare al personaggio, se lo permette.
Graziosa Lidia Ballo nei panni della contessa di Ceprano, una vocalità interessante, sicuramente ancora acerba ma dotata di un fascino e di una seduttività in fieri , che rendono questa giovane artista una possibile promessa. Anche qui, un maggiore abbandono al ruolo dell’innamorata costretta a seguire lo sposo rinunziando alla passione, avrebbe reso ancora più incisiva la sua prova che nel complesso possiamo definire buona, considerando la giovane età .
Buono anche il coro e nello specifico Emily de Salve, che abbiamo avuto modo di apprezzare nel ruolo del Gran sacerdote di Belo lo scorso anno in "Nabucco". La de Salve, anche se per evidente volontà registica, pur nella staticità impostale, è comunicativa e possiede una buona presenza scenica,nonostante qualche piccola e impercettibile sbavatura, ha dato una prova nel complesso più che buona.
Il coro, diretto dal maestro Francesco Costa, non ha reso la sua interpretazione migliore, impacciato, impreciso, in certi momenti sottotono, dopo un primo atto da dimenticare ha saputo riprendersi con brillantezza nel secondo, regalando una discreta interpretazione. La staticità , ritorno a dire, a tratti eccessiva, appare una precisa scelta registica, de Lucia ha inteso giocare con i fermo immagine, creando un’atmosfera quasi da album fotografico e da galleria d’arte con l’intenzione di creare nello spettatore un impatto psicologico da memoria fotografica.
In linea con questo taglio, preciso ed evidente nella sua finalità , una scelta dei costumi tradizionali molto accurata e una scenografia che ha esaltato le ambientazioni tipiche del dramma.
Ottima la prova dell’orchestra, guidata dal maestro Francesco Ledda, già maestro concertatore in “ Nabucco” e in “ Orfeo e Euridice” nelle precedenti stagioni, il maestro si riconferma, così come ribattezzato dal pubblico in sala il “ vero coreografo” della serata. Una concertazione ben sviluppata nelle dinamiche e nella scelta dei colori. Il direttore siciliano è bravo a fa suonar bene l'orchestra, grazie all’ esperienza che lo caratterizza. Particolarmente intenso il preludio, apprezzabile l'impeto ordinato del finale dell'opera, appropriato alla drammaticità della maledizione evocata da Rigoletto. Una direzione appassionata, coinvolgente, estremamente fisica, un trait d’union tra orchestra e palcoscenico. La bacchetta, o meglio, le mani nude usate in guisa del tradizionale oggetto utilizzato dai direttori, del maestro, hanno scandito esemplarmente tutti i quadri dell’opera, rendendo fluido e mai compassato il discorso musicale verdiano.
Una valutazione nel complesso positiva per la prima di questo lavoro d’apertura di cartellone, per una stagione “coraggiosa” che invita a guardare più in alto, che vuole convincere ma soprattutto “svegliare” enti e istituzioni chiamati a investire su quello che è un patrimonio comune. Si replica oggi, alle 19:00.