SAN VITO DEI NORMANNI - Venerdì 15 aprile, 46 alunni delle classi 1a B e 1a C della scuola secondaria di primo grado “Don Vincenzo Meo” di San Vito dei Normanni, accompagnati dal Dirigente scolastico, prof. Antonio Santoro, dalla prof.ssa Silvana Errico, che ha guidato la ricerca, e dalle docenti, Patrizia Caforio, Ivana Longo, Antonella Arseni e Lucia Chiarelli, verranno premiati a Roma, nell’Aula del Senato, a Palazzo Madama, dal Presidente Pietro Grasso, come vincitori del progetto “Vorrei una legge che…”.
Si tratta di un’iniziativa didattico-educativa promossa dal Senato della Repubblica, e in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, rivolta al mondo della scuola.
La Commissione mista, composta da rappresentanti del Senato della Repubblica e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha scelto 5 progetti nella sezione dedicata alle scuole secondarie di primo grado, tra i quali, unico di una scuola del sud, quello presentato dai ragazzi della scuola “Don Vincenzo Meo” di San Vito dei Normanni.
Il progetto, realizzato in orario curricolare da novembre 2015 a gennaio 2016, si propone di far riflettere i bambini e i ragazzi su temi a loro vicini e di far cogliere l’importanza delle leggi nella vita di tutti i giorni, incentivando il senso civico e di partecipazione democratica.
La “proposta di legge” degli alunni sanvitesi, che reca il titolo: “Niente attese, niente barriere”, richiama l’attenzione delle Istituzioni sui diritti delle bambine e dei bambini figli di detenuti, per vincere l’indifferenza e difendere l’innocenza.
L’iniziativa rientra nel percorso di “Educazione alla cittadinanza attiva” che l’intero Primo istituto comprensivo di San Vito dei Normanni attua da diversi anni, come “Una scuola amica dei bambini e dei ragazzi” (progetto “Miur–Unicef”).
Obiettivo fondamentale del percorso formativo è la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica della responsabilità promuovendo nei ragazzi la capacità di scegliere e agire in modo consapevole nel contesto classe e nella vita quotidiana. Si è partiti dalle esperienze più significative, personali e di gruppo, senza trascurare eventi della contemporaneità , allo scopo di consolidare la conoscenza di se stessi, degli altri e dell’ambiente, e di sviluppare forme di collaborazione e di solidarietà .
Dal punto di vista didattico gli allievi hanno analizzato, anche attraverso l’uso della Lim (la lavagna interattiva multimediale), i principi fondamentali della Costituzione italiana, l’organizzazione della Repubblica e la funzione delle varie istituzioni, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo e la Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia.
Il progetto presentato è stato la sintesi di un percorso di confronto sulle varie tematiche proposte nei lavori di gruppo, ma soprattutto di ascolto di due testimonianze “forti” di due alunne, che hanno vissuto l’esperienza di “figlie di padri detenuti”. Il racconto, sofferto ma anche liberatorio, della cruda realtà , delle domande rivolte alle mamme per sapere la verità di quelle assenze: “Quando torna a casa?; delle bugie: “Ho un lavoro importante e non posso lasciare”; della vergogna, delle discriminazioni. Ma soprattutto del racconto di quelle attese per poterli incontrare.
L’attesa del colloquio con la persona alla quale vuoi tanto bene, nonostante tutto, diventa l’unico momento per poter tenere in vita quella relazione genitore–figlio, così importante per la crescita dei bambini.
Alzarsi prestissimo la mattina, una volta la settimana, sopportando l’attesa sul marciapiede sotto la pioggia o sotto il sole, colpiti dallo sguardo dei passanti curiosi e comunque nell’indifferenza generale. L’attesa prima di entrare nella sala destinata ai controlli; l’attesa del turno per incontrare per un’ora o due il papà . E una volta dentro il colloquio che avviene in uno spazio comune, non in uno privato, dove sarebbe almeno possibile esprimere liberamente le proprie emozioni (rabbia, paura, gioia). A ciò si aggiunga, nel caso in cui il detenuto debba scontare una pena più importante, la barriera del vetro, destinata tristemente a separare, anche fisicamente, le emozioni.
Impressionante il racconto: “La prima volta che sono andata in carcere ero piccola e mia madre mi passava oltre il vetro per abbracciare papà …”. E ancora: “Quando mio padre è entrato per la seconda volta ero già grande e ci salutavamo poggiando la mano sul vetro”.
Parole pesanti come pietre, che hanno fatto riflettere i ragazzi ma soprattutto gli insegnanti colpevoli di non aver compreso la tristezza di quell’assenza puntuale del giovedì, giustificata come “motivi di famiglia”.
Così è nata la proposta di legge “Niente attese, niente barriere”, strutturata in 6 articoli, per far sì, che la rieducazione del condannato sia agevolata, da una parte, dalla relazione affettiva all’interno della famiglia, in modo tale da produrre, una volta scontata la pena, un “rientro sicuro” e, dall’altra, dalla necessità che i figli dei detenuti non paghino una pena che non appartiene loro. Che purtroppo sono spesso costretti a scontare in silenzio e alla costante ricerca di un perché. (V. Milone)
Si tratta di un’iniziativa didattico-educativa promossa dal Senato della Repubblica, e in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, rivolta al mondo della scuola.
La Commissione mista, composta da rappresentanti del Senato della Repubblica e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha scelto 5 progetti nella sezione dedicata alle scuole secondarie di primo grado, tra i quali, unico di una scuola del sud, quello presentato dai ragazzi della scuola “Don Vincenzo Meo” di San Vito dei Normanni.
Il progetto, realizzato in orario curricolare da novembre 2015 a gennaio 2016, si propone di far riflettere i bambini e i ragazzi su temi a loro vicini e di far cogliere l’importanza delle leggi nella vita di tutti i giorni, incentivando il senso civico e di partecipazione democratica.
La “proposta di legge” degli alunni sanvitesi, che reca il titolo: “Niente attese, niente barriere”, richiama l’attenzione delle Istituzioni sui diritti delle bambine e dei bambini figli di detenuti, per vincere l’indifferenza e difendere l’innocenza.
L’iniziativa rientra nel percorso di “Educazione alla cittadinanza attiva” che l’intero Primo istituto comprensivo di San Vito dei Normanni attua da diversi anni, come “Una scuola amica dei bambini e dei ragazzi” (progetto “Miur–Unicef”).
Obiettivo fondamentale del percorso formativo è la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica della responsabilità promuovendo nei ragazzi la capacità di scegliere e agire in modo consapevole nel contesto classe e nella vita quotidiana. Si è partiti dalle esperienze più significative, personali e di gruppo, senza trascurare eventi della contemporaneità , allo scopo di consolidare la conoscenza di se stessi, degli altri e dell’ambiente, e di sviluppare forme di collaborazione e di solidarietà .
Dal punto di vista didattico gli allievi hanno analizzato, anche attraverso l’uso della Lim (la lavagna interattiva multimediale), i principi fondamentali della Costituzione italiana, l’organizzazione della Repubblica e la funzione delle varie istituzioni, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo e la Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia.
Il progetto presentato è stato la sintesi di un percorso di confronto sulle varie tematiche proposte nei lavori di gruppo, ma soprattutto di ascolto di due testimonianze “forti” di due alunne, che hanno vissuto l’esperienza di “figlie di padri detenuti”. Il racconto, sofferto ma anche liberatorio, della cruda realtà , delle domande rivolte alle mamme per sapere la verità di quelle assenze: “Quando torna a casa?; delle bugie: “Ho un lavoro importante e non posso lasciare”; della vergogna, delle discriminazioni. Ma soprattutto del racconto di quelle attese per poterli incontrare.
L’attesa del colloquio con la persona alla quale vuoi tanto bene, nonostante tutto, diventa l’unico momento per poter tenere in vita quella relazione genitore–figlio, così importante per la crescita dei bambini.
Alzarsi prestissimo la mattina, una volta la settimana, sopportando l’attesa sul marciapiede sotto la pioggia o sotto il sole, colpiti dallo sguardo dei passanti curiosi e comunque nell’indifferenza generale. L’attesa prima di entrare nella sala destinata ai controlli; l’attesa del turno per incontrare per un’ora o due il papà . E una volta dentro il colloquio che avviene in uno spazio comune, non in uno privato, dove sarebbe almeno possibile esprimere liberamente le proprie emozioni (rabbia, paura, gioia). A ciò si aggiunga, nel caso in cui il detenuto debba scontare una pena più importante, la barriera del vetro, destinata tristemente a separare, anche fisicamente, le emozioni.
Impressionante il racconto: “La prima volta che sono andata in carcere ero piccola e mia madre mi passava oltre il vetro per abbracciare papà …”. E ancora: “Quando mio padre è entrato per la seconda volta ero già grande e ci salutavamo poggiando la mano sul vetro”.
Parole pesanti come pietre, che hanno fatto riflettere i ragazzi ma soprattutto gli insegnanti colpevoli di non aver compreso la tristezza di quell’assenza puntuale del giovedì, giustificata come “motivi di famiglia”.
Così è nata la proposta di legge “Niente attese, niente barriere”, strutturata in 6 articoli, per far sì, che la rieducazione del condannato sia agevolata, da una parte, dalla relazione affettiva all’interno della famiglia, in modo tale da produrre, una volta scontata la pena, un “rientro sicuro” e, dall’altra, dalla necessità che i figli dei detenuti non paghino una pena che non appartiene loro. Che purtroppo sono spesso costretti a scontare in silenzio e alla costante ricerca di un perché. (V. Milone)