Capaci, Emiliano ricorda Antonio Montinaro nella sua Calimera

CALIMERA - Il Presidente Michele Emiliano ha partecipato questo pomeriggio, nel giorno dell’anniversario dell’attentato al giudice Giovanni Falcone e a sua moglie Francesca Morvillo, alla cerimonia a Calimera (Le), città di origine di uno dei tre agenti di scorta, Antonio Montinaro, scomparso nella strage di Capaci.

Una piazza gremita da migliaia di cittadini, con i gonfaloni di tutti i Comuni della Grecìa Salentina, alla presenza del viceministro degli Interni Filippo Bubbico ha fatto da cornice alla manifestazione, voluta dalla Regione Puglia, che ha organizzato il viaggio nelle province pugliesi della teca contenente la “Quarto Savona 15”, l’autovettura blindata della scorta distrutta dall’esplosione e conservata presso il museo della Polizia di Stato.

“Ho visto tante volte quell’auto in Tv – ha detto Emiliano dal palco – ma vederla dal vivo mi crea un gran senso di colpa, per il solo fatto di essere qui a guardarla e di essere sopravissuti. Perché ci si chiede: abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, sia nella vita che nel servizio?
Perché è successa a loro una cosa così? E cerchiamo di soffocare quel senso di colpa nel vedere la verità della Quarto Savona 15, affinchè diventi la forza di fare il nostro dovere ogni giorno”.

Emiliano ha anche ricordato alcuni momenti del suo rapporto con il giudice Giovanni Falcone. “La prima volta che incontrai  la scorta di Falcone – ha detto – fu a Palermo. Fui introdotto nel suo ufficio che per ovvie ragioni era al buio. Mi accorsi di quel nugolo di ragazzi – oggi se potessi chiederei a Antonio, Rocco e a Vito se quel giorno fossero stati lì – che mi osservavano e che cercavano di capire chi fossi”.

“Falcone – ha aggiunto - era, e lo è ancora, uno degli esempi della mia vita e che ha ispirato tutto il mio percorso.

E oggi, potendolo, chiederei ancora a quei ragazzi se fossero anche presenti al funerale di Rosario Livatino, a Canicattì, quando eravamo riuniti per stabilire come quel funerale dovesse svolgersi.

Ci chiamavano “giudici ragazzini”, e tra noi c’era il grande orgoglio di trovarsi lì, magistrati italiani in Sicilia, dove c’era più bisogno.

Stasera sono qui e se mai dovessimo incontrarci con quei ragazzi della scorta, ho già fatto la lista delle domande che vorrei rivolgere loro e che me li fanno sentire fratelli e sorelle”.

“Sono felice e orgoglioso – ha concluso – di aver incontrato queste persone e di aver  fatto con loro un breve tratto di strada”.

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