Crisi, ancora in calo i ricavi delle imprese pugliesi

BARI – Diminuiscono i ricavi delle imprese pugliesi. In particolare, le società di capitali registrano una flessione del 2 per cento e le società di persone del 3,5. I compensi delle persone fisiche (liberi professionisti e lavoratori autonomi) calano del 2,1 per cento.

Il Centro studi di Confartigianato Imprese Puglia ha realizzato un’indagine sugli incassi delle aziende soggette agli studi di settore (dichiarazioni del 2015, riferite all’anno d’imposta 2014). I contribuenti soggetti agli studi sono 213.411. (l’anno precedente erano 212.935). Il dato medio dei ricavi/compensi scende del 2,5 per cento (da 162mila a 158mila).

Più in dettaglio, i ricavi medi delle società di capitali della Puglia scendono di 11mila euro (da 533mila a 522mila).

Riguardo alle società di persone, i ricavi medi diminuiscono di 8mila euro (da 233mila a 225mila).
In merito alle persone fisiche (liberi professionisti e lavoratori autonomi), i compensi medi scendono di 2mila euro (da 82mila a 80mila).

Gli studi di settore sono uno strumento del Fisco al fine di rilevare i parametri per la determinazione dei redditi di lavoratori autonomi e imprese. Costituiscono la naturale evoluzione di precedenti meccanismi di determinazione dei ricavi ovvero del reddito dei contribuenti di minori dimensioni. Le finalità sono quelle di contrasto e lotta contro l’evasione fiscale.

A livello regionale, la flessione più marcata si registra nella provincia di Brindisi (-4,3 per cento, da 154mila a 147mila). Seguono Taranto (-3,2 per cento, da 155mila a 151mila), Barletta-Andria-Trani (-2,9 per cento, da 185mila a 179mila), Foggia (-2,4 per cento, da 150mila a 146mila), Lecce (-2,3 per cento, da 139mila a 136mila euro) e Bari (-2 per cento, da 180mila a 176).

«I dati elaborati dal nostro Centro studi regionale – commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia – dimostrano come il tessuto produttivo pugliese continui a risentire della crisi: le imprese sono costrette a fare i conti con ricavi ridotti e la pressione fiscale complessiva, ai limiti del tollerabile, ne assottiglia ulteriormente i margini.

Di fronte a questa situazione, è sempre più evidente l’inadeguatezza degli studi di settore nella loro attuale formulazione.

Proprio per questo Confartigianato e Rete Imprese Italia hanno già presentato al viceministro Casero una proposta indirizzata a valorizzare lo strumento in chiave premiale, per supportare il corretto rapporto con il fisco e l’efficienza produttiva delle imprese. Gli studi di settore potrebbero servire a definire una soglia minima di reddito di riferimento per ciascuna impresa e tutto ciò che supera questa soglia godrebbe di una tassazione agevolata. Se si seguisse questa strada – conclude Sgherza – gli studi di settore diventerebbero la chiave per ridurre la pressione fiscale sugli imprenditori ed incentivare la loro capacità produttiva».

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