di FRANCESCO GRECO — ROMA. La Chiesa “apre” alle donne. Messa così, schematicamente, appare una “rivoluzione”, un fatto simbolico molto forte, quasi una svolta epocale. Di un Pontefice “visionario” che, su input degli ordini religiosi femminili (la loro élite) potrebbe lasciare un segno profondo nella Storia. E' così?
Lo chiediamo alla professoressa Cettina Militello, teologa e filosofa, insegna ecclesiologia, liturgia e mariologia presso alcune facoltà ecclesiastiche romane.
Domanda: Prosaicamente ci si potrebbe chiedere: è la risposta alla crisi di vocazioni?
Risposta: No. Non credo che l’attenzione alle donne risponda alla crisi delle vocazioni. In questione è una commissione di studio sul diaconato femminile e i compiti del diacono o della diaconessa non sostituiscono quelli del presbitero. Solo quest’ultimo presiede l’eucaristia e amministra il sacramento della riconciliazione. Una Chiesa senza eucaristia è “sospesa”.
Certo il problema c’è – addirittura è stato creato un rito domenicale in assenza di presbitero che può essere presieduto anche da un laico - ma non è il ripristino del diaconato a risolverlo. E lo si è visto al maschile.
D: Il ruolo della donna nella Chiesa sarà rimodulato? Avrà più visibilità esterna?
R: Posta così la domanda non funziona. Il vero problema, infatti, è il ministero. Nel NT ne troviamo solo uno: la diaconia. La impersona Gesù di Nazaret il quale sta tra i suoi come colui che serve (diacono, appunto) e chiede loro non di essere serviti ma di servire (si pensi alla lavanda dei piedi come specimen di ciò che devono fare gli uni per gli altri sul suo esempio).
Se la questione del diaconato fosse solo di visibilità e perciò di potere riprodurremo, magari al peggio, il modello maschile che ha snaturato l’essenza profonda del ministero. La domanda delle donne ed eventualmente la questione del diaconato femminile dovrebbe, se mai, aprire il cantiere del ministero e cambiarne il profilo, facendone, ma davvero, un servizio.
D: E' il primo passo verso il sacerdozio al femminile, di genere, dopo il diaconato? Ma Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano contrari...
R: Sinceramente non so se sia il primo passo. Dalla Inter Insigniores alla Ordinatio Sacerdotalis, passando per la Mulieris Dignitatem, l’atteggiamento del magistero pontificio è stato avverso alla ammissione delle donne al ministero ordinato. Si è lasciato sospeso il diaconato adducendo come pretesto il fatto che non si sa se le diaconesse ricevessero una benedizione o una vera e propria ordinazione sacramentale.
Il fatto è che questi dubbi bisognerebbe nutrirli anche al maschile. I sette sacramenti così come li conosciamo sono frutto della riflessione dei padri tridentini. Spostare all’indietro visioni teologiche proprie dell’età moderna non è corretto.
Bisognerebbe, almeno, prendere atto della configurazione “recente” del ministero ecclesiastico. Inoltre il Vaticano II ha sancito l’unità dell’ordine, ab antiquo distinto in diaconato presbiterato episcopato.
Il diaconato fa parte dell’ordine e ammettere le donne al diaconato vuol dire ammetterle al ministero ordinato.
Va da sé che, se ripristinato, il diaconato, e il ministero in genere, avrebbe flessioni di genere. Ma questo non toccherebbe la sua “sacramentalità”. Essa poi è supportata dalla tradizione liturgica, dai riti d’ordinazione che ci sono giunti, malgrado le diaconesse non ci fossero più…
D: Ma gli apostoli di Gesù non erano tutti maschi?
R: Questa è una bella domanda. Di certo Maria Maddalena dai medievali è indicata come apostola apostolorum, visto che è lei a portare loro l’annuncio della risurrezione del Signore. Lo ricordiamo nella sequenza pasquale.
Di certo è indicata come “apostolo insigne” Giunia, al capitolo 16 della Lettera ai Romani. E sappiamo che i copisti l’hanno fatta diventare Giunio, proprio perché risultava culturalmente intollerabile che una donna fosse indicata come “apostolo”.
In effetti il termine solo tardivamente indica i dodici (rappresentati delle tribù d’Israele). In un primo tempo ha una estensione più ampia, che Luca ridurrà, appunto, facendone tutt’uno con i dodici che Gesù ha chiamati alla sua sequela.
Va comunque ricordato che al seguito di Gesù ci sono uomini e donne e che le donne hanno spesso con lui un rapporto privilegiato.
D: Benedizione o consacrazione sacerdotale e quindi i sacramenti?
R: Né benedizione né consacrazione. Il termine proprio, se mai, è “ordinazione”, ossia imposizione delle mani, nel contesto di una celebrazione liturgica, per il conferimento di uno specifico ministero diretto alla crescita della comunità, previa l’idoneità del candidato e nella preghiera ardente diretta allo Spirito perché operi sull’eletto quanto la comunità per lui chiede.
Questo ministero “ordinato” costitutivamente è e deve esplicarsi come servizio. La sua forma indispensabile perché è tutt’uno con l’esistenza stessa della comunità è l’episcopato, ossia quel servizio di vigilanza che garantisce la continuità dottrinale e fattuale delle comunità nel tempo con la comunità delle origini. Il ministero del vescovo è reso presente dai presbiteri - che presiedono in suo nome l’eucaristia e sono responsabili delle comunità in cui si articola la Chiesa locale – e dai diaconi – che esprimono la sua carità verso il popolo a lui affidato e verso le Chiese con cui ogni Chiesa locale è nella comunione della Cattolica.
Chiamiamo benedizione l’istituzione di ministeri minori. Consacrazione, invece, è un termine sempre improprio perché rinvia al sacro. Ecco, i ministri ordinati non sono uomini del sacro. Non hanno il potere di creare ponti tra la divinità e gli uomini e le donne. Il Dio cristiano è un Dio santo e santificante che si fa prossimo alle sue creature sino a prendere la loro stessa carne e a istituire la Chiesa come corpo nel quale opera lo Spirito. La dove c’è santità non c’è sacralità, ma comunione!
D: Si parla di una eventuale commissione di studio: con quale mission?
R: Non saprei davvero. Sono fuori dal palazzo e del tutto. Vedremo…
D: Le opere di misericordia della Chiesa sono organizzate dalle donne, e donna è il rettore della Pontifica Università Antonina: il ruolo della donna oggi nella Chiesa la soddisfa o risulta sminuita nelle sue potenzialità?
R: La vera novità del post-concilio è l’accesso delle donne alla teologia. Questo ha consentito un rettore donna. Ma non basta. Occorre ascoltare le donne. Per quanto mi riguarda chiedo davvero l’aderenza al concilio. Il che vuol dire conversione da un modello di diseguaglianza e di potere a un modello di pari dignità e di reale comunione.
D: Avremo presto un Sinodo sul tema?
R: Non so. Comunque non mi aspetto a breve grandi cambiamenti. Certo lo Spirito è all’opera. E disturba, lo capisco. E’ veramente difficile cambiare registro e assumere come modello dell’esistenza ecclesiale tutta e del ministero ordinato Cristo servo – papa Francesco ci prova, ma quante critiche proprio dall’interno! Questa, però, è la sfida vera, la novità vera. Se le donne non dovessero lavorare in questa direzione, meglio che restino fuori. Le preferisco discriminate ma non colluse e complici di un modello lontano da quello impersonato da Cristo.
Lo chiediamo alla professoressa Cettina Militello, teologa e filosofa, insegna ecclesiologia, liturgia e mariologia presso alcune facoltà ecclesiastiche romane.
Domanda: Prosaicamente ci si potrebbe chiedere: è la risposta alla crisi di vocazioni?
Risposta: No. Non credo che l’attenzione alle donne risponda alla crisi delle vocazioni. In questione è una commissione di studio sul diaconato femminile e i compiti del diacono o della diaconessa non sostituiscono quelli del presbitero. Solo quest’ultimo presiede l’eucaristia e amministra il sacramento della riconciliazione. Una Chiesa senza eucaristia è “sospesa”.
Certo il problema c’è – addirittura è stato creato un rito domenicale in assenza di presbitero che può essere presieduto anche da un laico - ma non è il ripristino del diaconato a risolverlo. E lo si è visto al maschile.
D: Il ruolo della donna nella Chiesa sarà rimodulato? Avrà più visibilità esterna?
R: Posta così la domanda non funziona. Il vero problema, infatti, è il ministero. Nel NT ne troviamo solo uno: la diaconia. La impersona Gesù di Nazaret il quale sta tra i suoi come colui che serve (diacono, appunto) e chiede loro non di essere serviti ma di servire (si pensi alla lavanda dei piedi come specimen di ciò che devono fare gli uni per gli altri sul suo esempio).
Se la questione del diaconato fosse solo di visibilità e perciò di potere riprodurremo, magari al peggio, il modello maschile che ha snaturato l’essenza profonda del ministero. La domanda delle donne ed eventualmente la questione del diaconato femminile dovrebbe, se mai, aprire il cantiere del ministero e cambiarne il profilo, facendone, ma davvero, un servizio.
D: E' il primo passo verso il sacerdozio al femminile, di genere, dopo il diaconato? Ma Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano contrari...
R: Sinceramente non so se sia il primo passo. Dalla Inter Insigniores alla Ordinatio Sacerdotalis, passando per la Mulieris Dignitatem, l’atteggiamento del magistero pontificio è stato avverso alla ammissione delle donne al ministero ordinato. Si è lasciato sospeso il diaconato adducendo come pretesto il fatto che non si sa se le diaconesse ricevessero una benedizione o una vera e propria ordinazione sacramentale.
Il fatto è che questi dubbi bisognerebbe nutrirli anche al maschile. I sette sacramenti così come li conosciamo sono frutto della riflessione dei padri tridentini. Spostare all’indietro visioni teologiche proprie dell’età moderna non è corretto.
Bisognerebbe, almeno, prendere atto della configurazione “recente” del ministero ecclesiastico. Inoltre il Vaticano II ha sancito l’unità dell’ordine, ab antiquo distinto in diaconato presbiterato episcopato.
Il diaconato fa parte dell’ordine e ammettere le donne al diaconato vuol dire ammetterle al ministero ordinato.
Va da sé che, se ripristinato, il diaconato, e il ministero in genere, avrebbe flessioni di genere. Ma questo non toccherebbe la sua “sacramentalità”. Essa poi è supportata dalla tradizione liturgica, dai riti d’ordinazione che ci sono giunti, malgrado le diaconesse non ci fossero più…
Cettina Militello |
R: Questa è una bella domanda. Di certo Maria Maddalena dai medievali è indicata come apostola apostolorum, visto che è lei a portare loro l’annuncio della risurrezione del Signore. Lo ricordiamo nella sequenza pasquale.
Di certo è indicata come “apostolo insigne” Giunia, al capitolo 16 della Lettera ai Romani. E sappiamo che i copisti l’hanno fatta diventare Giunio, proprio perché risultava culturalmente intollerabile che una donna fosse indicata come “apostolo”.
In effetti il termine solo tardivamente indica i dodici (rappresentati delle tribù d’Israele). In un primo tempo ha una estensione più ampia, che Luca ridurrà, appunto, facendone tutt’uno con i dodici che Gesù ha chiamati alla sua sequela.
Va comunque ricordato che al seguito di Gesù ci sono uomini e donne e che le donne hanno spesso con lui un rapporto privilegiato.
D: Benedizione o consacrazione sacerdotale e quindi i sacramenti?
R: Né benedizione né consacrazione. Il termine proprio, se mai, è “ordinazione”, ossia imposizione delle mani, nel contesto di una celebrazione liturgica, per il conferimento di uno specifico ministero diretto alla crescita della comunità, previa l’idoneità del candidato e nella preghiera ardente diretta allo Spirito perché operi sull’eletto quanto la comunità per lui chiede.
Questo ministero “ordinato” costitutivamente è e deve esplicarsi come servizio. La sua forma indispensabile perché è tutt’uno con l’esistenza stessa della comunità è l’episcopato, ossia quel servizio di vigilanza che garantisce la continuità dottrinale e fattuale delle comunità nel tempo con la comunità delle origini. Il ministero del vescovo è reso presente dai presbiteri - che presiedono in suo nome l’eucaristia e sono responsabili delle comunità in cui si articola la Chiesa locale – e dai diaconi – che esprimono la sua carità verso il popolo a lui affidato e verso le Chiese con cui ogni Chiesa locale è nella comunione della Cattolica.
Chiamiamo benedizione l’istituzione di ministeri minori. Consacrazione, invece, è un termine sempre improprio perché rinvia al sacro. Ecco, i ministri ordinati non sono uomini del sacro. Non hanno il potere di creare ponti tra la divinità e gli uomini e le donne. Il Dio cristiano è un Dio santo e santificante che si fa prossimo alle sue creature sino a prendere la loro stessa carne e a istituire la Chiesa come corpo nel quale opera lo Spirito. La dove c’è santità non c’è sacralità, ma comunione!
D: Si parla di una eventuale commissione di studio: con quale mission?
R: Non saprei davvero. Sono fuori dal palazzo e del tutto. Vedremo…
D: Le opere di misericordia della Chiesa sono organizzate dalle donne, e donna è il rettore della Pontifica Università Antonina: il ruolo della donna oggi nella Chiesa la soddisfa o risulta sminuita nelle sue potenzialità?
R: La vera novità del post-concilio è l’accesso delle donne alla teologia. Questo ha consentito un rettore donna. Ma non basta. Occorre ascoltare le donne. Per quanto mi riguarda chiedo davvero l’aderenza al concilio. Il che vuol dire conversione da un modello di diseguaglianza e di potere a un modello di pari dignità e di reale comunione.
D: Avremo presto un Sinodo sul tema?
R: Non so. Comunque non mi aspetto a breve grandi cambiamenti. Certo lo Spirito è all’opera. E disturba, lo capisco. E’ veramente difficile cambiare registro e assumere come modello dell’esistenza ecclesiale tutta e del ministero ordinato Cristo servo – papa Francesco ci prova, ma quante critiche proprio dall’interno! Questa, però, è la sfida vera, la novità vera. Se le donne non dovessero lavorare in questa direzione, meglio che restino fuori. Le preferisco discriminate ma non colluse e complici di un modello lontano da quello impersonato da Cristo.