di FRANCESCO GRECO — Chissà perché in crociera si pensa alla morte. Almeno, così accade sulla “Nadir”, la nave dove s'è imbarcato lo scrittore americano David Foster Wallace (1962-2008) per il reportage commissionatogli dalla rivista Harper's.
Il che si rivela un espediente letterario efficacissimo per un affresco del mondo al tempo dei social, dove prevale il vuoto, la depressione, la noia volgare, senza quella cifra esistenzialista che quasi la nobilita.
“Una cosa divertente che non farò mai più”, Emons Audiolibri, Roma 2016, euro 14,90, durata 4 ore e 13 minuti, letto dall'attore Giuseppe Battiston (ha letto anche “Diario di scuola” di Daniel Pennac), progetto grafico di Leonardo Magrelli, regia Flavia Gentili, tecnico del suono Giuseppe Sergi, traduzione in italiano di Gabriella D'Angelo e Francesco Piccolo, è una secchiata di vetriolo sulla modernità e le sue icone massificanti e spersonalizzanti, su di noi consumatori di emozioni clonate immersi in una commedia umana delirante come una sit-com o una cartolina ritoccata di “spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo”, “tramonti disegnati al computer”.
Lo sguardo di DFW è micidiale, coglie la polvere sotto al tappeto della nostra vita inutile, delle sublimazioni quotidiane, dello spam, il rubbish. La crociera “7 notti ai Caraibi” (“una tregua dalle cose sgradevoli”) diviene così un oblò da cui osservare, nella maniera più cinica e spietata possibile.
La leggerezza e il sottile sarcasmo della prosa sono solo una password per affondare meglio il coltello nelle piaghe della contemporaneità, la banalità, l'afasia dei sentimenti di marionette che frullano movimenti schizofrenici, circondati da benefit che finiscono con l'accentuare il vuoto in cui galleggiamo, distratti come siamo da “1500 sorrisi professionali”, asfissiati da “temperature uterine” e dalle “flatulenze degli dei”, in attesa del dies natalis come fosse una liberazione da quello che Wallace chiama “Jurassic Park”.
Fra tanto trush crepuscolare, dev'essere stato bello e poetico giocare con i 145 gatti di Hemingway a Key West, e magari parlare col suo fantasma.
Il che si rivela un espediente letterario efficacissimo per un affresco del mondo al tempo dei social, dove prevale il vuoto, la depressione, la noia volgare, senza quella cifra esistenzialista che quasi la nobilita.
“Una cosa divertente che non farò mai più”, Emons Audiolibri, Roma 2016, euro 14,90, durata 4 ore e 13 minuti, letto dall'attore Giuseppe Battiston (ha letto anche “Diario di scuola” di Daniel Pennac), progetto grafico di Leonardo Magrelli, regia Flavia Gentili, tecnico del suono Giuseppe Sergi, traduzione in italiano di Gabriella D'Angelo e Francesco Piccolo, è una secchiata di vetriolo sulla modernità e le sue icone massificanti e spersonalizzanti, su di noi consumatori di emozioni clonate immersi in una commedia umana delirante come una sit-com o una cartolina ritoccata di “spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo”, “tramonti disegnati al computer”.
Lo sguardo di DFW è micidiale, coglie la polvere sotto al tappeto della nostra vita inutile, delle sublimazioni quotidiane, dello spam, il rubbish. La crociera “7 notti ai Caraibi” (“una tregua dalle cose sgradevoli”) diviene così un oblò da cui osservare, nella maniera più cinica e spietata possibile.
La leggerezza e il sottile sarcasmo della prosa sono solo una password per affondare meglio il coltello nelle piaghe della contemporaneità, la banalità, l'afasia dei sentimenti di marionette che frullano movimenti schizofrenici, circondati da benefit che finiscono con l'accentuare il vuoto in cui galleggiamo, distratti come siamo da “1500 sorrisi professionali”, asfissiati da “temperature uterine” e dalle “flatulenze degli dei”, in attesa del dies natalis come fosse una liberazione da quello che Wallace chiama “Jurassic Park”.
Fra tanto trush crepuscolare, dev'essere stato bello e poetico giocare con i 145 gatti di Hemingway a Key West, e magari parlare col suo fantasma.