di VITTORIO POLITO — Ieri in una ‘produttiva’ riunione di lavoro l'editore Gianni Cavalli, in poco meno di venticinque minuti, ha deciso le sorti del progetto che si era ideato, pianificato, disegnato, programmato e che, probabilmente, realizzerà.
A tutti i partecipanti all’incontro ha dispensato una frase dell’amico Marcel, immagino sia Proust, che, dal momento che mi sono permesso di farmela ripetere, mi ha scritto a stampatello su un minuscolo libretto che mi aveva donato nel periodo in cui non sono stato bene e dove mi ha fatto annotare tutti i numeri di telefono delle persone da rintracciare in caso di necessità: mi ha segnato, non ho capito perché, anche quello di Francesco De Martino che è risaputo risponde a mesi alterni alle chiamate. Questa la frase che ha regalato agli eroi, a prescindere, della redazione, io ero ospite con il potere di ascoltare e non intervenire, che non mi sono parsi all’apice dell’entusiasmo: “Far sogni è utile: vederli cadere serve d'insegnamento”. Volevo precisare che non sogno mai e dormo tranquillo, ma dal momento che mi ha donato il testo poetico di Basilio Rodríguez Canada, dal titolo “C'è stato un tempo”, dicendomi di iniziare a consultarlo dall’epilogo, ho capito che non aveva tempo per nessun Vittorio si trovasse in zona.
Questo volume è il n. 57 della collana “I QUADERNI DI ABANICO”, diretta da Lucia e Emilio Coco, e le traduzioni sono quasi tutte del poeta asciutto e “allampanato” di San Marco in Lamis. Sono un discreto intenditore dei numeri della smorfia e so che il 57 è dedicato alle capacità, anzi recita testualmente: “Le vostre capacità sono più che sufficienti per raggiungere mete ambite”. Deduco che l’amico editore Cavalli questo voleva dirmi nella sua concezione filosofica-creativa-ideologica e attestarmi un oculato complimento. Spero almeno, mi auguro sia andata così.
Nell’epilogo del libro di Rodrìguez vi è una sola poesia dal titolo “Primi passi”, dedicata al figlio del poeta’, il cui primo verso così recita: “Aveva tredici mesi Giovanni quando si resse in piedi per la prima volta” e il lungo testo si conclude in questo modo: “… e scoprire un mondo appassionante che comincia ad essere più suo che nostro”. Un gigante Coco nella traduzione, anzi un poeta gigante.
Vi riporto un piccolo inciso che lo stesso Coco ha scritto in una chiara e affettuosa introduzione in cui parla di Rodrìguez: “C’è stato un tempo, che si pubblica per la prima volta in questa collana, è un libro complesso, con una ricca varietà di toni, dal romantico al feroce, dal malinconico al solare, duro come un pugno allo stomaco e insieme commovente e delicato. È raro trovare una partitura così ricca di registri stilistici sul leggio di un poeta”.
Io vi segnalo una poesia semplice che in tre versi ci regala forse un passato vissuto da molti: “All’ombra di un fico / che bei fichi mangiavo/ stretto stretto al tuo fianco”.
La sempre gentile e paziente dr.ssa Lopez, presenza discreta e insostituibile di Levante, su mia richiesta mi ha donato altri libri della collana e il mio sguardo si è posato su una copertina sensuale dal titolo “Sono ormai solo i versi che ti scrivo”, libro di José Alcalà-Zamora. Gianni Cavalli, sempre presente anche quando non è richiesta la sua persona, mi ha apostrofato: “Tu ed Emilio siete gli unici a non sapere che il nome di Zamora è sacro per il calcio spagnolo, trattandosi di uno dei più grandi portieri di tutti i tempi”. Dal momento che stavamo trattando di poesia io avevo capito poeti, invece di portieri, e non vi dico cosa è stato capace di dedicarmi l’editore Levante e ringrazio la signora Lopez che è riuscita a farlo chiamare al telefono e a permettermi una veloce uscita di scena.
Il libro si apre con una foto, che definirei ‘spagnoleggiante’, del poeta Zamora che, secondo i miei ricordi, assomiglia in maniera impressionante ad Emilio Coco, forse con qualche chilo in più.
Nella sua sincera nota dell’autore Zamora plaude alla poesia italiana con parole che non ammettono repliche: “Non posso fare a meno di manifestare la mia ammirazione e la mia gratitudine, e il mio plauso, ai grandi poeti dell’Italia che insegnarono alla Lettere rinascimentali spagnole una nuova forma ritmica di fare poesia”.
Zamora, a leggere le poesie contenute in questo libro, sembra un poeta viscerale, sensuale, a volte anche carnale, ed invece è soltanto un poeta-uomo innamorato dell’amore. Nella biografia ci fa sapere che in altri libri si è occupato di temi religiosi, spirituali, metalirici, paesaggistici, satirici ed esistenziali.
“Sono i miei versi ancora canto sincero/ emozione che vive e sente l’anima/ amore in carne viva, ieri presente/ che non diventa fiacco né lezioso” ed inoltre
“Da quando ti negasti agli occhi miei/ non c’è mai stato nessun altro sguardo/ che potesse sedurmi come il primo”, e per concludere “Come può non amarsi chi si ama/ come si può curare la follia/ d’un amor che non muore né guarisce?”.
Ho pensato a lungo come poter terminare questo articolo partito da un progetto che prevedeva anche un mio nuovo libro, al momento accantonato, ed ancora una volta è stata una geniale ‘invenzione’ del nostro editore che durante l’incidente del portiere Zamora, di cui sopra, mi ha dato del ‘Don Chisciotte’, ad illuminarmi: ho cercato le frasi celebri di Miguel de Cervantes Saavedra sull’amore. Ho scelto questa: “Non c’è amore sprecato, signore”.
A tutti i partecipanti all’incontro ha dispensato una frase dell’amico Marcel, immagino sia Proust, che, dal momento che mi sono permesso di farmela ripetere, mi ha scritto a stampatello su un minuscolo libretto che mi aveva donato nel periodo in cui non sono stato bene e dove mi ha fatto annotare tutti i numeri di telefono delle persone da rintracciare in caso di necessità: mi ha segnato, non ho capito perché, anche quello di Francesco De Martino che è risaputo risponde a mesi alterni alle chiamate. Questa la frase che ha regalato agli eroi, a prescindere, della redazione, io ero ospite con il potere di ascoltare e non intervenire, che non mi sono parsi all’apice dell’entusiasmo: “Far sogni è utile: vederli cadere serve d'insegnamento”. Volevo precisare che non sogno mai e dormo tranquillo, ma dal momento che mi ha donato il testo poetico di Basilio Rodríguez Canada, dal titolo “C'è stato un tempo”, dicendomi di iniziare a consultarlo dall’epilogo, ho capito che non aveva tempo per nessun Vittorio si trovasse in zona.
Questo volume è il n. 57 della collana “I QUADERNI DI ABANICO”, diretta da Lucia e Emilio Coco, e le traduzioni sono quasi tutte del poeta asciutto e “allampanato” di San Marco in Lamis. Sono un discreto intenditore dei numeri della smorfia e so che il 57 è dedicato alle capacità, anzi recita testualmente: “Le vostre capacità sono più che sufficienti per raggiungere mete ambite”. Deduco che l’amico editore Cavalli questo voleva dirmi nella sua concezione filosofica-creativa-ideologica e attestarmi un oculato complimento. Spero almeno, mi auguro sia andata così.
Nell’epilogo del libro di Rodrìguez vi è una sola poesia dal titolo “Primi passi”, dedicata al figlio del poeta’, il cui primo verso così recita: “Aveva tredici mesi Giovanni quando si resse in piedi per la prima volta” e il lungo testo si conclude in questo modo: “… e scoprire un mondo appassionante che comincia ad essere più suo che nostro”. Un gigante Coco nella traduzione, anzi un poeta gigante.
Vi riporto un piccolo inciso che lo stesso Coco ha scritto in una chiara e affettuosa introduzione in cui parla di Rodrìguez: “C’è stato un tempo, che si pubblica per la prima volta in questa collana, è un libro complesso, con una ricca varietà di toni, dal romantico al feroce, dal malinconico al solare, duro come un pugno allo stomaco e insieme commovente e delicato. È raro trovare una partitura così ricca di registri stilistici sul leggio di un poeta”.
Io vi segnalo una poesia semplice che in tre versi ci regala forse un passato vissuto da molti: “All’ombra di un fico / che bei fichi mangiavo/ stretto stretto al tuo fianco”.
La sempre gentile e paziente dr.ssa Lopez, presenza discreta e insostituibile di Levante, su mia richiesta mi ha donato altri libri della collana e il mio sguardo si è posato su una copertina sensuale dal titolo “Sono ormai solo i versi che ti scrivo”, libro di José Alcalà-Zamora. Gianni Cavalli, sempre presente anche quando non è richiesta la sua persona, mi ha apostrofato: “Tu ed Emilio siete gli unici a non sapere che il nome di Zamora è sacro per il calcio spagnolo, trattandosi di uno dei più grandi portieri di tutti i tempi”. Dal momento che stavamo trattando di poesia io avevo capito poeti, invece di portieri, e non vi dico cosa è stato capace di dedicarmi l’editore Levante e ringrazio la signora Lopez che è riuscita a farlo chiamare al telefono e a permettermi una veloce uscita di scena.
Il libro si apre con una foto, che definirei ‘spagnoleggiante’, del poeta Zamora che, secondo i miei ricordi, assomiglia in maniera impressionante ad Emilio Coco, forse con qualche chilo in più.
Nella sua sincera nota dell’autore Zamora plaude alla poesia italiana con parole che non ammettono repliche: “Non posso fare a meno di manifestare la mia ammirazione e la mia gratitudine, e il mio plauso, ai grandi poeti dell’Italia che insegnarono alla Lettere rinascimentali spagnole una nuova forma ritmica di fare poesia”.
Zamora, a leggere le poesie contenute in questo libro, sembra un poeta viscerale, sensuale, a volte anche carnale, ed invece è soltanto un poeta-uomo innamorato dell’amore. Nella biografia ci fa sapere che in altri libri si è occupato di temi religiosi, spirituali, metalirici, paesaggistici, satirici ed esistenziali.
“Sono i miei versi ancora canto sincero/ emozione che vive e sente l’anima/ amore in carne viva, ieri presente/ che non diventa fiacco né lezioso” ed inoltre
“Da quando ti negasti agli occhi miei/ non c’è mai stato nessun altro sguardo/ che potesse sedurmi come il primo”, e per concludere “Come può non amarsi chi si ama/ come si può curare la follia/ d’un amor che non muore né guarisce?”.
Ho pensato a lungo come poter terminare questo articolo partito da un progetto che prevedeva anche un mio nuovo libro, al momento accantonato, ed ancora una volta è stata una geniale ‘invenzione’ del nostro editore che durante l’incidente del portiere Zamora, di cui sopra, mi ha dato del ‘Don Chisciotte’, ad illuminarmi: ho cercato le frasi celebri di Miguel de Cervantes Saavedra sull’amore. Ho scelto questa: “Non c’è amore sprecato, signore”.