Fiume sempre in piena la poesia di Santa Fizzarotti Selvaggi con 'L’ultimo AMORE... ilcerbiattolalunailmare'

di GRAZIA STELLA ELIA — È fresca di stampa la nuova silloge di poesie, pubblicata con Levante editori di Bari, di Santa Fizzarotti Selvaggi ‘L’ultimo AMORE’. Molto intrigante appare il sottotitolo …ilcerbiattolalunailmare… che proverei ad analizzare o, meglio, ad ipotizzare. L’enigma si pone sin dai primi punti sospensivi. Certamente c’è qualcosa che la poetessa non ha detto, volendo creare appunto una sorta di sospensione. Il cerbiatto porta il pensiero agli intrichi boscosi e montani. È un animale dal molteplice simbolismo ed è quant’altri mai mitologico. Visto che ad esempio, in Grecia era consacrato agli dei della purezza e della luce, mentre in India rappresenta la cavalcata di Vayu, un valore simbolico avrà avuto per l’Autrice.

La luna è parte integrante del romanticismo profondo della Fizzarotti Selvaggi e il mare la sua passione, l’elemento a lei indispensabile.

Con ancora nel cuore la benefica traccia lasciata dalla lettura della precedente silloge ‘Verso Oriente, Verso Occidente’, mi immergo nella lettura di questo nuovo libro, in cui, come Saffo, la poetessa intende trovare un varco tra i meandri del passato, illuminare il fosco dei ricordi per farne luce di pensieri poetici.

Le composizioni non hanno titolo; si susseguono pertanto come rivoli di parole: versi snelli, brevissimi, sempre pregnanti.

Leggo la prima poesia e vi ritrovo, panoramica, la tematica cara all’Autrice. Con un susseguirsi di anafore ecco riapparire la sua “bella Creta”, il Nilo e “le rose del deserto di Giuda”, “il fior di nespolo del giardino materno”, per finire con il desiderio di un Natale in cui “il Cielo / sfiorerà la Terra / e nascerà / una Nuova Umanità”.

Vi è poi un susseguirsi di ricordi, memorie emergenti nella notte, descrizioni naturalistiche suggestive, voci dell’anima in parole lapidarie che richiamano alla mente i lirici greci. Notti, notti e ancora notti: di magia, di San Valentino, di primavera e di equinozio; notte di vento, notte oscura, notte d’oscuro dolore, notte dei sogni, notte di rose, notte di silenzio…

Si va avanti nella lettura imbattendosi in temi sempre diversi e in sempre diverse descrizioni particolari, ammirando l’andamento lirico costantemente incisivo e fantasioso. Da segnalare i versi per la mamma, a pagina 56:
Nei tuoi occhi
la mia immagine
madre
e le speranze
i desideri
ogni briciola
di vento e di pane
e storie e  fiabe
di canti
e vincotto di fico
e melocotogno
e il profumo
della mia adolescenza
racconti
scritti su pagine
di sangue
madre mia.

Non mancano momenti di profonda religiosità, in cui sorge spontanea l’invocazione dell’intervento divino ad aprire “sprazzi di cielo” che le facciano “vedere / le stelle lontane”.

Una cultura immensa è nel bagaglio spirituale di Santa Fizzarotti Selvaggi: miti, musica, pittura, archeologia, psicologia e filosofia emergono continuamente dal suo dire poetico. Emblematica pietra miliare la poesia di pagina 69, in cui, ciascuno in uno speciale luogo, il proprio canto intonano Omero, Saffo, Euripide, Teseo, mentre lei, la poetessa Fizzarotti, “lungo la via del nardo / canta notti di rose”.

Novità assoluta l’immagine della “cicala canterina” che canta alla luna “gonfia nel cielo / di maternità eterna”.

Come nella silloge precedente la punteggiatura non opprime, quasi che la lava vulcanica dirompente delle parole non consenta pause.

Potrei paragonare questa lettura ad una sorta di sciabordio che giunge gradevole all’orecchio: una musicalità ritmica, dolce e forte ad un tempo. Sono temporali e bonacce dell’anima, che una penna ricca e suadente affida alla pagina.

Una musicalità frequente fa da base ai testi poetici: una musicalità molto spesso assecondata dal congeniale uso delle anafore. Ecco la composizione Mia terra (pp. 75 – 76) dove la propria terra è con cinque anafore invocata, cantata ed esaltata; persino vista sognare “prati di viole” ed “inquieta” nel desiderio del ”falco in volo” e di “caste colombe”.

L’occhio da profonda osservatrice si fa input di poesia e la poetessa rende visibili al lettore gli straordinari abitatori della natura, come le “piccole chiocciole / silenziose creature delle zolle” che (oh, prodigio!) “scrivono / storie lontane / della terra / ignoti mondi / perduti / nel fondo / dell’abisso / nella dimora / sacra / dell’usignolo / in compagnia / del pettirosso / e della capinera” (pag. 78).

Come in altre opere precedenti, emerge anche qui l’importanza attribuita alla numerologia. Le poesie sono 90 più una “fuori registro dell’intero volume”.

Il 90 si riduce al 9 e il 9 è il risultato del 3 X 3 e il 3 è il simbolo della Santissima Trinità. Un discorso logico che non fa una grinza, come il sillogismo aristotelico: il viaggio sentimentale dal primo all’ultimo Amore. “La Madre che ci ha cullato e nutrito […] e nei cui occhi ci siamo specchiati e ‘visti’ per la prima volta” (come vuole che sia l’etimologia della parola ‘pupilla’) e poi rispecchiati nell’Amore universale del Cristo ai piedi della Croce: l’Alfa e l’Omega” (pag. 133).

Per realizzare il 3 + 1 cioè i quattro elementi Acqua, Aria, Terra e Fuoco, ecco il canto Umile figlia della terra a chiudere la silloge”.

Molto vi sarebbe ancora da dire, se più ampio spazio si potesse dare ad una recensione. L’augurio è che la poesia, quella vera, venga letta e possibilmente riletta e meditata.

Un inno di lode si levi a questa incredibile donna così ricca di saperi, così poliedrica, così incline a tutte le forme dell’ARTE e così meravigliosamente assistita dalla Musa, da scrivere versi a ruscelli, anzi a mo’ di ondate odorose di mare, luminose di luna, nel vento dell’anima.