Ad un mese dalla tragedia sulla Bari-Nord il racconto dei volontari

BARI - «Era una mattinata come le altre, mi apprestavo dopo varie commissioni a preparare da mangiare per poi fare il mio turno pomeridiano al 118. Verso le 11.10 comincia un tam tam sui gruppi 118 nel quale informavano di un incidente ferroviario, cominciai a preoccuparmi ed ho subito informato la sala operativa della Misericordia che ero disponibile per qualsiasi cosa. Neanche il tempo di scrivere il messaggio e ci arriva il messaggio di emergenza: servivano volontari per la maxi emergenza due treni erano entrati in collissione». Racconta così i primi concitati momenti di quel maledetto 12 luglio, Francesco Liso, volontario della Misericordia di Andria ed autista del 118, che quella mattina si apprestava ad iniziare il suo turno nella postazione di emergenza. «Ho lasciato tutto, sono volato in associazione e ci siamo messi in marcia con tre ambulanze ed il Posto Medico Avanzato – racconta Francesco – Grazie alle coordinate trasmesse dai nostri colleghi già arrivati sul posto, in meno di 10 minuti siamo giunti in quel luogo. Già presente tanta gente e diversi soccorritori e poi quei treni accartocciati. Vedo i volti delle forze dell’ordine e dei civili sgomenti. Parcheggio l’ambulanza e comincio a correre nel terreno di ulivi, che generalmente portano tanta bellezza alla nostra Puglia, ma che in quel momento ci stavano portando solo verso una tragedia». Francesco assieme a diversi altri volontari, è stato tra le prime squadre di supporto giunte sul luogo dell’incidente assieme al Posto Medico Avanzato della Misericordia di Andria. Tanta apprensione, tanta fatica, tanto sgomento. Tutto affidato all’incedere di un racconto complesso da dimenticare: «Appena attraversai il campo mi sono trovato subito difronte due persone in piedi di cui una insanguinata – dice Francesco – le ho accompagnate in ambulanza per farle medicare da un altro nostro soccorritore volontario per tamponare qualche ferita. Nuovamente nel campo ho visto cose che solo nella fantasia dei film avevo visto prima. Diversi corpi sotto gli alberi  e sotto le lamiere contorte di quei treni, chi alla ricerca di aiuto, e chi alla ricerca di farmaci, barelle, spinali, insomma un inferno dantesco. Mi sono affiancato ad un infermiere e insieme abbiamo cominciato a girare ed a vedere paziente per paziente chi aveva più bisogno di aiuto. Dopo un sali scendi dai vagoni, valutazioni sanitarie, bendaggi e stabilizzazioni cominciammo anche a sentirci male per il caldo afoso e per la mancanza di acqua. Le nostre divise sono diventate sempre più pesanti ed infuocate ma come sempre la provvidenza di Dio è grande. Credo fossero alcuni agricoltori ci hanno portato acqua e ci hanno bagnato un po’ la testa. Con l’aiuto di alcuni Vigili del Fuoco e Forze dell’ordine siamo riusciti a trasportare in ambulanza ben quattro feriti. Due codici rossi e due gialli, tutti trasferiti d’urgenza al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Bisceglie assieme ad un infermiere ed una soccorritrice. Tanti feriti insieme trasportati poichè anche le ambulanze cominciarono ben presto a scarseggiare vista la necessità di trasferire così tanti feriti. Il pronto soccorso di Bisceglie – ricorda Francesco – ci ha atteso con grande professionalità e dopo aver preso in carico i pazienti, si è accertato anche delle nostre condizioni di salute, offrendoci acqua e anche qualche consiglio per riprenderci un po. Dopo una breve sosta per lo “sbarellamento” e rifornimento farmaci, siamo ripartiti per quel posto maledetto. Ritornati sul posto era già stato montato l’ospedale da campo, altre ambulanze con volontari ed infermieri, ma anche dottori. Con il nostro ospedale da campo – conclude Francesco – abbiamo provveduto anche a prestare cure a qualche poliziotto o vigile del fuoco che si era sentito poco bene. Alle 14 ho montato per il mio turno al 118 mentre attorno alle 15 la centrale ci ha chiesto di ritornare in postazione per coprire il territorio visto che oramai tutta la macchina della protezione civile era in moto. Tornati in postazione, esausti, un veloce cambio divisa, pulizia ambulanze e ripristino farmaci. Siamo partiti con un turno di ordinaria quotidianità».

Storia diversa ma tutta da raccontare quella di Alessandro Ronzullo, volontario della Misericordia di Andria ed autista del 118 ma residente nell’entroterra barese da alcuni anni. «Avete presente il film Final Destination? Quel gruppo di amici che prendono l’aereo mentre uno di loro non parte perchè preoccupato, e l’aereo appena in volo esplode? Ecco io mi sono rispecchiato in quel film – ha detto Alessandro – Per una pura casualità non ero su quel treno che prendo per raggiungere il posto di lavoro ad Andria. Il motivo è talmente banale: sono uscito di casa quella mattina e mi sono diretto al tabacchi per pagare un bollettino ma non ho potuto per questioni tecniche ed ho perso alcuni minuti. Sono corso alla stazione di Bitonto ma ho perso quel treno diretto verso Andria ma mai arrivato. Posso ritenermi probabilmente un miracolato. Ho solo un pensiero ed una preghiera costante per il personale della Ferrotramviaria e per tutte quelle povere vittime anche se ho un magone che non mi lascia ancora. Aggiungo anche – dice Alessandro – che il proprietario del tabacchi mi ha fatto recapitare un paio di giorni dopo un bigliettino con scritto: “Che Dio ti benedica”. Purtroppo, da quel maledetto 12 luglio, è subentrata paura in me, non è facile e credo che solo con il tempo sarà possibile superare tutto». Lo stesso Alessandro racconta come quel treno per lui sia una seconda casa da quando si è trasferito da Andria e ricorda perfettamente anche l’intervento operato come volontario appena arrivato sul luogo dell’incidente. «Per me il treno è come una seconda casa, si puo dire che viaggiando sempre ci vivo in quei treni – racconta Alessandro – vedere quegli sguardi persi quel giorno, pensare alle persone che mi si sono avviciante, io volontario in divisa, chiedendomi se avessi visto mariti o mogli mostrandomi le foto. Non dimenticherò niente. Non dimenticherò neanche la compostezza nella sofferenza: una donna mi si avvicinò con la foto del marito e pur essendo evidentemente preoccupata non mostrava una lacrima ma soffriva dentro. Poi quelle lamiere, sedili, effetti personali, e nella mia testa un unico pensiero: e se ci fossi stato io? E poi quei corpi arringati in una carrozza dentro quei sacchi. Carrozze sulle quali salgo quasi ogni giorno di mattina, di pomeriggio o di sera. Il mio sguardo era sempre li. E poi l’odore acre. Insomma da quel giorno ho un magone che non mi lascia. Evidentemente non era semplicemente il mio momento».

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