Leuca, tutti i segreti dell'arte del “nassaro”

di FRANCESCO GRECO. SANTA MARIA DI LEUCA (Le) – Famiglia antica i Margarito di Leuca. Per le scarne notizie raccolte, tutte da verificare, pare vi giunsero per primi fra Quattrocento e Cinquecento e da allora hanno scritto la sua storia. Solo più tardi, nel Settecento, arrivarono i Galati, nell'Ottocento i Vallo e altri ceppi famigliari.
 
Il capostipite si chiamava Antonio e col mare ebbe subito un rapporto intenso, fin quasi a essere tutt'uno: un cordone ombelicale antico. Dal mare generoso stretto nell'abbraccio fra Punta Meliso e Punta Ristola dove si bagnavano i titani e si tuffavano le sirene ebbero di che campare pescando gamberi, aragoste, saraghi, zorbe, “pupiddi” (zeri), oggi quasi estinti. “Lo strascico ha rovinato il mondo...”, riflette con mestizia il “maestro”.
 
Pure lui si chiama Antonio (nella foto l'uomo col cappello) ed è uno degli ultimi discendenti, classe 1928, occhi azzurri, memoria di Leuca (dal greco leukòs, bianco), una vita spesa sulle onde, le barche, i remi, le sciabbiche, ma anche all'estero (negli anni Sessanta/Settanta emigrò in Svizzera, lavorò in una fabbrica di funghi in scatola). Ha il dono della parola, un Omero dei nostri giorni che ricorda tutto del mondo in b/n. Col cugino Mario Margarito (detto “Pistolero”, in foto con la maglietta rossa), più giovane, sono gli ultimi maestri “nassari” rimasti.
 
Intrecciare una nassa è un lavoro di silenzi, che chiede un'infinita pazienza e molto, molto tempo. E' come comporre un mosaico, un puzzle, intrecciare i mille fili del proprio destino.
 
Arte nobile e antica, grandi nassari furono i marinai egizi sul Nilo, quelli sul Tigri e l'Eufrate, i compagni d'avventura di Ulisse, i discepoli di Cristo. La pesca dava (dà) da vivere e le nasse (come le calòme, i tramacchiàti, le reti, ecc.) sono gli umili strumenti con cui ci si guadagna il pane.
 
Che, al pari di altri ereditati dagli avi, non possono estinguersi, nonostante lo Stato ignori la loro pregnanza culturale, sociale, economica, poiché innerva il dna stesso dell'uomo di Terra d'Otranto, compone la sua identità, supporta la memoria, incarna  le sue radici.
 
L'associazione SudSalento a Castrignano del Capo da anni si occupa del recupero di oggetti di interesse storico-culturale e di antiche tradizioni che scompaiono. Dopo aver restaurato e sistemato l'ultima barca con la vela latina esistente a Santa Maria di Leuca, ha capito che l'arte del fare le nasse non può perdersi nell'oblio e la superficialità del XXI secolo, e intercettando l'interesse del SAC-Porta d'Oriente, a ottobre 2015 ha organizzato un laboratorio di intreccio del giunco per imparare a costruire nasse ma anche cesti.
 
Il corso, iniziato nella suggestiva Torre di Salignano e poi trasferito nella sede della Protezione Civile, è giunto al termine. E, nel rispetto di una ritualità antica, la chiusura dei lavori di un cantiere avviene col ”capicanale”, la festa che vede invitati maestranze, operai, allievi, committenti dell'opera, ecc. (e anche il cronista).
 
Le nasse appena fabbricate (foto), vere e proprie opere d'arte, saranno collaudate in mare. “I segreti di un mestiere antico sono così stati trasmessi alle nuove generazioni - afferma Rosanna Schina, presidente dell’associazione – ma bisogna continuare, perché la magica arte di intrecciare il giunco non vada dimenticata”.
 
Un'operazione che andava fatta e dal sorriso soddisfatto dei “maestri” si capisce quanto ci tenessero affinché non si perdessero nell'indifferenza che purtroppo pare aver afferrato questa terra. Il materiale usato è il giunco che cresce spontaneo sulle spiagge di Lido Marini, Torre San Giovanni, Frigole, Torre Pali, Torre Mozza, nel Tarantino, ecc. “Ma ai miei tempi – ricorda Antonio Margarito – lo importavamo anche dall'Albania”.
 
I polloni degli ulivi invece servono per rafforzare l'intreccio. Il giunco va raccolto d'estate, intorno alla festa di San Luigi e va essiccato fra sole e penombra.
 
In questi mesi i partecipanti si sono impadroniti del gergo marinaresco, imparato il dizionario del “nassaru”: il significato di ruscia la zinna, campata, musu de la nassa, spuntune, buccare, capestrello, cusitura, subbracavàdda, ecc.
 
Le mani dei “maestri” sono veloci nel mostrare come si tesse la nassa stringendo il giunco con un filo di canapa che va di continuo bagnato nell'acqua. Ma si è imparato anche come va calata, a quante braccia di profondità, come posizionarla rispetto alla corrente, dove mettere i galleggianti (ieri di sughero, oggi di polistirolo) e tutto il rito della pesca di una volta.
 
Purtroppo il declino culturale in cui siamo immersi non ci fa capire la doppia importanza di questi mestieri del passato e l'affollamento semantico di cui sono portatori. Che potrebbero, in questa fase di depressione e di deflazione, di finte ripartenze, rappresentare una risorsa occupazionale (le nasse servono per la pesca ma anche come arredamento) e dare dignità alla storia dei popoli del Mediterraneo.
 
Dato l'enorme successo della prima edizione, a ottobre i corsi ripartiranno.

Iscrizioni e info: sud_salento@yahoo.it 

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