“Ti amo da morire”. Femminicidi in aumento. Parla la psicologa

di FRANCESCO GRECO — Ti amo da morire. Lo stalker prima e spesso l'assassino poi hanno quasi sempre la faccia del fidanzato, il marito, l'amante, l'amico di famiglia, il vicino di casa. E' a due passi, spesso annidato fra le mura domestiche.
 
Aumentano esponenzialmente i femminicidi (una sessantina dall'inizio dell'anno), poco e niente possono le leggi e per la prevenzione ci pensa la spending review (ieri il governo-Letta oggi Renzi) a ridurre i fondi.

Troppo spesso i sentimenti hanno una grammatica perversa, malata, corrotta, possesso delirante, ossessione. Non si sa accettare la fine di un rapporto, rassegnarsi, prendere atto che le cose a volte non durano. Che fare?
Ne parliamo con la dottoressa Anna Colavita Psicoterapeuta Analista Transazionale (Presicce – Le – 339 1424153)

Domanda: Ti amo da morire, ma si può arrivare ad uccidere per il troppo amore?
Risposta: I dati sul femminicidio lo dimostrano, in media, ogni tre giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno, marito, fidanzato. Ma la causa non è l’amore o il troppo amore.

D. Se non è l’amore a muovere la mano dell’assassino, allora cos’è?   
R. Quando si approfondisce il profilo dell’assassino, quello che non manca mai è la sofferenza psicologica. I tratti che più spesso si colgono sono l’incapacità a gestire la rabbia, a sopportare la frustrazione della fine del rapporto, problemi legati all’alcool. La  sofferenza psicologica è una concausa  presente in percentuali molto alta.

D. Se la sofferenza psicologica ha un peso così importante, come va gestita?
R. Dopo la denuncia, alle misure restrittive che impediscono al soggetto violento di avvicinarsi alla donna, dovrebbero essere accostati dei percorsi di diagnosi e relativo sostegno psicologico o psichiatrico. In parte questo già avviene, sono nati infatti i primi gruppi di aiuto rivolti agli uomini violenti.

D. Quali sono i segni manifesti o sottintesi che il partner potrebbe ricorrere alla violenza, armarsi e far male fino all'omicidio?
R. La prima manifestazione di violenza è quella psicologica. Il partner umilia e sminuisce la compagna, ne controlla le relazioni sociali spingendola all’isolamento. Molto spesso alla violenza psicologica segue quella fisica. All’atto di violenza seguono pentimento e attenzioni amorevoli. L’uomo vergognandosi e sentendosi impotente chiede perdono, dice che vorrebbe poter tornare indietro, promette di cambiare il proprio comportamento. In questa fase la donna è vulnerabile e confusa e spesso sono proprio i familiari, gli amici a esercitare una grande pressione sulla donna affinché perdoni il partner e gli conceda un'altra possibilità. Il periodo di pentimento e apparente redenzione può durare dai due giorni ai sei mesi e poi tutto ricomincia. L’esperienza dei Centri Antiviolenza mostra che con il passare del tempo i maltrattamenti tendono a diventare più frequenti e più gravi fino ad arrivare all’omicidio.

D. C'è chi consiglia di denunciare, ma quando poi lo si fa spesso non succede nulla: c'è bisogno di normative più rigorose? 
R. La normativa sta facendo dei passi, lo stalking è diventato un reato, ma il punto forte dovrebbe essere la prevenzione fatta attraverso la divulgazione di informazioni. Nelle scuole, nelle università, in qualsiasi luogo di aggregazione, è bene che si introduca il tema della violenza sulle donne, dando gli elementi necessari per distinguerla e differenziarla dall’amore. Se ne parliamo, il problema vissuto in silenzio tra le mura domestiche, diventa socialmente condiviso, riconosciuto. Un fatto reale di cui si può parlare senza vergognarsi o sentirsi in colpa e  impotenti.

D. Da madre cosa consiglia a una ragazza del III Millennio?
R. Di non stare in silenzio, di non farsi sola nella propria sofferenza. Sul nostro territorio è presente  il progetto  di "Rete Nazionale Antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza". Prevede un servizio di "call center" mediante un numero telefonico di pubblica utilità 1522, per fornire alle vittime un sostegno psicologico e giuridico nonché indirizzarle verso le strutture pubbliche e private presenti sul territorio.
Il servizio, multilingue e attivo 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno, fornisce una prima risposta alle vittime e sostiene, altresì, l'emersione della domanda di aiuto, consentendo alle stesse un graduale avvicinamento ai servizi con l'assoluta garanzia dell'anonimato. Da soli si è fragili e impotenti, ma insieme si diventa più forti della violenza.

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