BARI - Continua il lavoro della Commissione Agricoltura di Montecitorio per il comparto cerealicolo, mentre il M5S punta anche sulla differenziazione qualitativa dei grani e sui residui chimici, oltre che su Cun, Piano proteico e organizzazione della filiera
Mentre si assiste a timidi segnali di ripresa nelle contrattazioni, il dibattito sulle misure da attuare per risollevare le sorti future del comparto cerealicolo nazionale alla Camera dei Deputati prosegue. Oggi, martedì 27 settembre, con l’audizione di Giuseppe De Mastro, professore associato in Coltivazioni erbacee presso la Facoltà di Agraria di Bari, il quale ha sottolineato le tre criticità del comparto: aspetto quantitativo tra importazioni e capacità produttiva nazionale, qualitativo in riferimento ai livelli proteici dei grani nazionali e l’innovazione organizzativa, tra accordi di filiera e contratti di coltivazione che finalmente iniziano a diffondersi. Ma la caratteristica più preoccupante dell’ultimo periodo, secondo il docente dell’Università di Bari, è l’abbandono di queste colture (anche in vista dell’imminente semina) a causa dell’instabilità del mercato e dei costi che superano troppo spesso i ricavi. “Per questo – ha proposto De Mastro – sarebbe opportuno prendere spunto dall’esempio virtuoso della Francia che intende raddoppiare la superficie coltivabile a frumento per soddisfare l’industria pastaia d’Oltralpe. Serve impostare a livello nazionale un studio di zonizzazione della vocazionalità alle coltivazioni cerealicole come abbiamo già realizzato in Puglia dove si potrebbero aumentare gli ettari da 350 a 400 mila, raggiungendo potenzialmente il 60% della superficie agricola pugliese”.
Intanto, proprio a seguito delle diverse audizioni tenutesi in Commissione Agricoltura alla Camera, il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate, capogruppo 5 Stelle, ha implementato la propria risoluzione inserendo nuovi impegni per il ministro Maurizio Martina. Viene chiesto così di “destinare specifiche risorse finalizzate alla realizzazione o al miglioramento di impianti di stoccaggio; a predisporre adeguati interventi per garantire lo stoccaggio differenziato di grano duro nonché una griglia di valutazione volta a definire le classi di qualità anche sulla base delle caratteristiche chimiche e microbiologiche intese come contenuto di micotossine, residui di erbicidi quali il glifosato, pesticidi, metalli pesanti e radioattività”. E poi di “realizzare un adeguato monitoraggio fitosanitario anche attraverso il campionamento organizzato nelle aree cerealicole”. Ciò oltre a “rivedere il meccanismo di formazione del prezzo, sostituendo l’anacronistico sistema delle Borse merci con le Commissioni Uniche Nazionali in grado di garantire maggiore trasparenza ed equità nei rapporti di forza tra produttori e industriali; a sostenere l’aggregazione dei produttori agricoli e ad applicare il Piano proteico nazionale basato sulla rotazione delle colture di grano con le leguminose così da potenziare la quantità e la qualità del grano italiano”. Il voto finale sulle risoluzioni in discussione è previsto entro fine mese.
Mentre si assiste a timidi segnali di ripresa nelle contrattazioni, il dibattito sulle misure da attuare per risollevare le sorti future del comparto cerealicolo nazionale alla Camera dei Deputati prosegue. Oggi, martedì 27 settembre, con l’audizione di Giuseppe De Mastro, professore associato in Coltivazioni erbacee presso la Facoltà di Agraria di Bari, il quale ha sottolineato le tre criticità del comparto: aspetto quantitativo tra importazioni e capacità produttiva nazionale, qualitativo in riferimento ai livelli proteici dei grani nazionali e l’innovazione organizzativa, tra accordi di filiera e contratti di coltivazione che finalmente iniziano a diffondersi. Ma la caratteristica più preoccupante dell’ultimo periodo, secondo il docente dell’Università di Bari, è l’abbandono di queste colture (anche in vista dell’imminente semina) a causa dell’instabilità del mercato e dei costi che superano troppo spesso i ricavi. “Per questo – ha proposto De Mastro – sarebbe opportuno prendere spunto dall’esempio virtuoso della Francia che intende raddoppiare la superficie coltivabile a frumento per soddisfare l’industria pastaia d’Oltralpe. Serve impostare a livello nazionale un studio di zonizzazione della vocazionalità alle coltivazioni cerealicole come abbiamo già realizzato in Puglia dove si potrebbero aumentare gli ettari da 350 a 400 mila, raggiungendo potenzialmente il 60% della superficie agricola pugliese”.
Intanto, proprio a seguito delle diverse audizioni tenutesi in Commissione Agricoltura alla Camera, il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate, capogruppo 5 Stelle, ha implementato la propria risoluzione inserendo nuovi impegni per il ministro Maurizio Martina. Viene chiesto così di “destinare specifiche risorse finalizzate alla realizzazione o al miglioramento di impianti di stoccaggio; a predisporre adeguati interventi per garantire lo stoccaggio differenziato di grano duro nonché una griglia di valutazione volta a definire le classi di qualità anche sulla base delle caratteristiche chimiche e microbiologiche intese come contenuto di micotossine, residui di erbicidi quali il glifosato, pesticidi, metalli pesanti e radioattività”. E poi di “realizzare un adeguato monitoraggio fitosanitario anche attraverso il campionamento organizzato nelle aree cerealicole”. Ciò oltre a “rivedere il meccanismo di formazione del prezzo, sostituendo l’anacronistico sistema delle Borse merci con le Commissioni Uniche Nazionali in grado di garantire maggiore trasparenza ed equità nei rapporti di forza tra produttori e industriali; a sostenere l’aggregazione dei produttori agricoli e ad applicare il Piano proteico nazionale basato sulla rotazione delle colture di grano con le leguminose così da potenziare la quantità e la qualità del grano italiano”. Il voto finale sulle risoluzioni in discussione è previsto entro fine mese.