di VITTORIO POLITO - Stefano Imperio, nella premessa ad una sua pubblicazione (Alle origini del dialetto pugliese – Schena), sostiene che «La diffidenza verso i dialetti è che non tutti hanno la facoltà di intenderli, e ciò limita la diffusione di opere che andrebbero invece estesamente conosciute da un pubblico numeroso ed eterogeneo». Inoltre rammenta che «…al dialetto sia lasciata la dignità di lingua popolare… con la ricchezza di un’arguzia spontanea, impossibile a riprodurre con la lingua letteraria».
Il dialetto, spesso considerato varietà di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza o veicolo di svantaggio o esclusione sociale, soprattutto al sud, pare che stia avendo nuova vita soprattutto nelle giovani generazioni, in molti casi l’apprendimento non avviene a livello di lingua materna, ma l’acquisizione avviene, in modo frammentario, al di fuori del canale generazionale. Un ruolo importante in tal senso è rappresentato dai nonni o dall’ambiente circostante nel quale il dialetto è ancora diffuso.
Secondo l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), cresce l’uso dell’Italiano e diminuisce l’uso esclusivo del dialetto. Le persone che parlano prevalentemente italiano in famiglia rappresentavano nel 2006 il 45,5% della popolazione di sei anni e più. La quota aumenta nelle relazioni con gli amici (48,9%) e in maniera più consistente nei rapporti con gli estranei (72,8%). È significativo l’uso misto di italiano e dialetto nei tre contesti relazionali considerati: in famiglia parla sia italiano sia dialetto il 32,5% delle persone di 6 anni e più, con gli amici il 32,8% e con gli estranei il 19%.
Nel 2012, invece, sempre secondo l’ISTAT, in Italia, il 53,1% delle persone di 18-74 anni parla in prevalenza italiano in famiglia. La quota aumenta quando ci si intrattiene con gli amici (56,4%) e, in misura più consistente, quando si hanno relazioni con persone estranee (84,8%). L’uso prevalente del dialetto in famiglia riguarda il 9% della popolazione di 18-74 anni. Una percentuale del tutto analoga (9%) si registra nelle occasioni di relazione con gli amici, mentre scende all’1,8% con gli estranei.
Ovviamente l’uso del dialetto differisce in relazione alle principali variabili come l’età , l’istruzione, il sesso, i ceti sociali, ecc. Gli anziani sono i più portati a parlare in dialetto e fanno da veicolo trainante per i giovani. A parità di altre condizioni, il dialetto è usato soltanto raramente con gli estranei e in situazioni pubbliche, sostanzialmente non ricorre in situazioni molto formali, è adoperato di preferenza in famiglia e con amici. Il dialetto, infine, può ritenersi tendenzialmente più vitale in provincia e meno in ambiente urbano. Se questo è il quadro generale, occorre però sottolineare l’esistenza di forti diversità da regione a regione. Solo il Veneto si rivela la regione d’Italia in cui il dialetto si parla più diffusamente.
Rispetto a qualche decennio fa, l’atteggiamento nei confronti del dialetto è cambiato, senza dimenticare che nel periodo fascista era addirittura proibito parlarlo. Oggi, la situazione è variata notevolmente poiché l’atteggiamento nei confronti del dialetto, per l’aumentata diffusione dell’istruzione, è più favorevole.
Secondo Luigi Andriani, dottorando di ricerca dell’Università di Cambridge e studioso del dialetto barese in particolare, in una intervista pubblicata sul “Giornale di Puglia”, ha dichiarato che «Una situazione di bilinguismo ‘consapevole’ contribuirebbe al potenziamento delle capacità cerebrali dei parlanti; tra le più utili (al giorno d’oggi), si farebbe meno fatica ad apprendere un’altra lingua (internazionale), perché già se ne gestiscono ‘consapevolmente’ (almeno) due. Se riuscissimo a implementare i risultati della ricerca scientifica nella quotidianità , potremmo dotare le nuove generazioni di una coscienza linguistica meno ‘prevenuta’ verso la lingua locale (trasmessa oralmente e, quindi, acquisita senza sforzo durante l’infanzia e, successivamente, rafforzata e ‘coltivata’ con l’aiuto di qualsiasi altro mezzo che ne diffonda e ne promuova l’uso). In poche parole, finiremmo per arricchirci in tutti i sensi, al contrario di quanto si è pensato (e insegnato) finora. Da un punto di vista esclusivamente personale, per me il barese è sinonimo di amici, famiglia (nonni soprattutto, dato che alla generazione dei miei genitori fu proibito l’uso del dialetto e, di riflesso, anche alla mia) e di tutto ciò che si ricollega alla mia città natale; in sintesi, barese è sinonimo di intimità ».
Attualmente all’ampio panorama della produzione poetica, teatrale e letteraria del dialetto barese, si aggiunge anche quella religiosa attraverso le pubblicazioni più recenti sull’argomento, come “U Vangèle”, di Luigi Canonico (Stampa Pressup, Roma), “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese”, di Augusto Carbonara (Wip, Bari) o “Pregáme a la Barése”, del sottoscritto e Rosa Lettini Triggiani (Levante Bari).
Oggi pertanto il dialetto non è più sentito come la di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza e veicolo di svantaggio o esclusione sociale. Gli atteggiamenti nei suoi confronti, almeno in molte regioni, non sono più criticanti, come avveniva qualche decennio fa. Sapere e usare un dialetto, oggi, è spesso valutato positivamente, rappresenta, accanto all’italiano, una risorsa comunicativa in più di cui servirsi quando occorre e specie in virtù del suo potenziale espressivo. Insomma il dialetto è un arricchimento, non un impedimento.
Il dialetto, spesso considerato varietà di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza o veicolo di svantaggio o esclusione sociale, soprattutto al sud, pare che stia avendo nuova vita soprattutto nelle giovani generazioni, in molti casi l’apprendimento non avviene a livello di lingua materna, ma l’acquisizione avviene, in modo frammentario, al di fuori del canale generazionale. Un ruolo importante in tal senso è rappresentato dai nonni o dall’ambiente circostante nel quale il dialetto è ancora diffuso.
Secondo l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), cresce l’uso dell’Italiano e diminuisce l’uso esclusivo del dialetto. Le persone che parlano prevalentemente italiano in famiglia rappresentavano nel 2006 il 45,5% della popolazione di sei anni e più. La quota aumenta nelle relazioni con gli amici (48,9%) e in maniera più consistente nei rapporti con gli estranei (72,8%). È significativo l’uso misto di italiano e dialetto nei tre contesti relazionali considerati: in famiglia parla sia italiano sia dialetto il 32,5% delle persone di 6 anni e più, con gli amici il 32,8% e con gli estranei il 19%.
Nel 2012, invece, sempre secondo l’ISTAT, in Italia, il 53,1% delle persone di 18-74 anni parla in prevalenza italiano in famiglia. La quota aumenta quando ci si intrattiene con gli amici (56,4%) e, in misura più consistente, quando si hanno relazioni con persone estranee (84,8%). L’uso prevalente del dialetto in famiglia riguarda il 9% della popolazione di 18-74 anni. Una percentuale del tutto analoga (9%) si registra nelle occasioni di relazione con gli amici, mentre scende all’1,8% con gli estranei.
Ovviamente l’uso del dialetto differisce in relazione alle principali variabili come l’età , l’istruzione, il sesso, i ceti sociali, ecc. Gli anziani sono i più portati a parlare in dialetto e fanno da veicolo trainante per i giovani. A parità di altre condizioni, il dialetto è usato soltanto raramente con gli estranei e in situazioni pubbliche, sostanzialmente non ricorre in situazioni molto formali, è adoperato di preferenza in famiglia e con amici. Il dialetto, infine, può ritenersi tendenzialmente più vitale in provincia e meno in ambiente urbano. Se questo è il quadro generale, occorre però sottolineare l’esistenza di forti diversità da regione a regione. Solo il Veneto si rivela la regione d’Italia in cui il dialetto si parla più diffusamente.
Rispetto a qualche decennio fa, l’atteggiamento nei confronti del dialetto è cambiato, senza dimenticare che nel periodo fascista era addirittura proibito parlarlo. Oggi, la situazione è variata notevolmente poiché l’atteggiamento nei confronti del dialetto, per l’aumentata diffusione dell’istruzione, è più favorevole.
Secondo Luigi Andriani, dottorando di ricerca dell’Università di Cambridge e studioso del dialetto barese in particolare, in una intervista pubblicata sul “Giornale di Puglia”, ha dichiarato che «Una situazione di bilinguismo ‘consapevole’ contribuirebbe al potenziamento delle capacità cerebrali dei parlanti; tra le più utili (al giorno d’oggi), si farebbe meno fatica ad apprendere un’altra lingua (internazionale), perché già se ne gestiscono ‘consapevolmente’ (almeno) due. Se riuscissimo a implementare i risultati della ricerca scientifica nella quotidianità , potremmo dotare le nuove generazioni di una coscienza linguistica meno ‘prevenuta’ verso la lingua locale (trasmessa oralmente e, quindi, acquisita senza sforzo durante l’infanzia e, successivamente, rafforzata e ‘coltivata’ con l’aiuto di qualsiasi altro mezzo che ne diffonda e ne promuova l’uso). In poche parole, finiremmo per arricchirci in tutti i sensi, al contrario di quanto si è pensato (e insegnato) finora. Da un punto di vista esclusivamente personale, per me il barese è sinonimo di amici, famiglia (nonni soprattutto, dato che alla generazione dei miei genitori fu proibito l’uso del dialetto e, di riflesso, anche alla mia) e di tutto ciò che si ricollega alla mia città natale; in sintesi, barese è sinonimo di intimità ».
Attualmente all’ampio panorama della produzione poetica, teatrale e letteraria del dialetto barese, si aggiunge anche quella religiosa attraverso le pubblicazioni più recenti sull’argomento, come “U Vangèle”, di Luigi Canonico (Stampa Pressup, Roma), “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese”, di Augusto Carbonara (Wip, Bari) o “Pregáme a la Barése”, del sottoscritto e Rosa Lettini Triggiani (Levante Bari).
Oggi pertanto il dialetto non è più sentito come la di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza e veicolo di svantaggio o esclusione sociale. Gli atteggiamenti nei suoi confronti, almeno in molte regioni, non sono più criticanti, come avveniva qualche decennio fa. Sapere e usare un dialetto, oggi, è spesso valutato positivamente, rappresenta, accanto all’italiano, una risorsa comunicativa in più di cui servirsi quando occorre e specie in virtù del suo potenziale espressivo. Insomma il dialetto è un arricchimento, non un impedimento.