di VITTORIO POLITO - La “Gazzetta del Mezzogiorno” del 30 agosto 2016 ha pubblicato nella prima pagina de “La Gazzetta di Bari”, un editoriale di Ettore Chiurazzi, direttore dell’Agenzia “CaruccieChiurazzi”, a proposito della mancata assegnazione di una procedura di gara per la realizzazione dello stemma/marchio (brutto questo termine riferito a qualcosa riguardante le Istituzioni) della Città Metropolitana. Ho riflettuto sul fatto che il tempo non cambia il carattere sanguigno dei baresi. Mi sono precipitato nella mia biblioteca e sono andato velocemente a cercare il volume dello storico Melchiorre “Storie baresi” (Levante Editori) alla voce stemma (pagina 43).
I miei ricordi erano precisi: per lo stemma della città di Bari, nonostante molte commissioni insediate, non si giunse ad una conclusione e ci volle un decreto d’ufficio... Ritengo utile riproporre interamente, facilitato dal fatto che è breve, il testo nella consapevolezza che sia un dono a tanti giovani e meno giovani.
La soluzione che seppero trovare i nostri antenati, che poi è quella che in ogni famiglia prendeva il cosiddetto capo-famiglia, non sempre è da ritenersi autoritaria, altrimenti come dice un giornalista contemporaneo di cui non ricordo il nome “la democrazia può anche morire di retorica”.
Ho avuto la fortuna di conoscere presso casa Levante il dr. Melchiorre, un galantuomo, e posso dire che i suoi scritti, insieme a quelli di tanti altri, compreso il sottoscritto, potranno essere utili a chi verrà dopo di noi. Nella speranza di aver reso un doveroso omaggio al dr. Melchiorre e di aver contribuito ad evitare una contesa, di cui la città può benissimo farne a meno.
Riporto quanto scrive Melchiorre:
«Scrisse Antonio Beatillo che nel IX secolo, quando la città fu sede di emirato arabo, i Baresi, per dimostrare quanto salda fosse la loro fede in Cristo, assunsero come insegna uno scudo diviso dall’alto in basso in due parti, l’una di colore bianco e l’altra di colore rosso, simboleggianti il puro e candido zelo religioso ed il sangue ch’essi erano pronti a spargerlo per difenderlo. In seguito, fu aggiunta, sopra lo scudo, l’effigie di S. Nicola. Due esemplari in pietra di tale stemma esistono ancora nel cortile ovest del castello e sulla facciata posteriore della cattedrale, alla base del campanile; il rosso, raffigurato da linee verticali, è però riportato sulla banda destra dello scudo e non, come oggi si suole, su quella sinistra. L’arma di Bari è così riprodotta pure nelle carte del cosiddetto ‘Libro Rosso’ della Università , accompagnata dalle lettere puntate S.N.PP. (due a sinistra e due a destra), che stanno a significare Sanctus Nicolaus Pater Patriae o Sanctus Nicolaus Princeps Patronus. Non è stato sempre questo il nostro stemma perché, nei registri delle conclusioni decurionali del primo Ottocento, si vede impresso su ogni pagina uno scudo ovale col campo interamente occupato dalla immagine di S. Nicola. Verso la fine del XIX secolo poi, le carte comunali riportano come stemma il marchio del cosiddetto ‘Barinon’, un’antica moneta barese, recante incisi un amorino nell’atto di scoccare un dardo verso una stella della prua di un’imbarcazione e un delfino. La confusione ingenerata dai diversi emblemi suscitò spesso discussioni nel consiglio comunale, come nelle sedute del 4 maggio 1873 e del 23 gennaio 1920; furono anche nominate commissioni di studio con riserva di chiarimenti, ma non si giunse mai ad una conclusione. Un decreto dell’8 giugno 1935 pose termine ad ogni incertezza, disponendo l’iscrizione dello stemma nel Libro Araldico degli Enti Morali, con le seguenti caratteristiche: lato destro dello scudo di colore argento; lato sinistro di colore rosso, ornamenti esteriori di città , e cioè una corona di mura merlate con cinque torri sopra lo scudo, oltre una fronda di alloro a destra e una di quercia a sinistra, annodate in basso con nastro. Per breve periodo di tempo, durante il ventennio fascista, il capo dello scudo, ossia la fascia superiore, fu occupata da un fascio littorio, abolito dopo la seconda guerra mondiale, in seguito al mutamento dell’ordinamento politico.»
Le conclusioni? Ai lettori.
I miei ricordi erano precisi: per lo stemma della città di Bari, nonostante molte commissioni insediate, non si giunse ad una conclusione e ci volle un decreto d’ufficio... Ritengo utile riproporre interamente, facilitato dal fatto che è breve, il testo nella consapevolezza che sia un dono a tanti giovani e meno giovani.
La soluzione che seppero trovare i nostri antenati, che poi è quella che in ogni famiglia prendeva il cosiddetto capo-famiglia, non sempre è da ritenersi autoritaria, altrimenti come dice un giornalista contemporaneo di cui non ricordo il nome “la democrazia può anche morire di retorica”.
Ho avuto la fortuna di conoscere presso casa Levante il dr. Melchiorre, un galantuomo, e posso dire che i suoi scritti, insieme a quelli di tanti altri, compreso il sottoscritto, potranno essere utili a chi verrà dopo di noi. Nella speranza di aver reso un doveroso omaggio al dr. Melchiorre e di aver contribuito ad evitare una contesa, di cui la città può benissimo farne a meno.
Riporto quanto scrive Melchiorre:
«Scrisse Antonio Beatillo che nel IX secolo, quando la città fu sede di emirato arabo, i Baresi, per dimostrare quanto salda fosse la loro fede in Cristo, assunsero come insegna uno scudo diviso dall’alto in basso in due parti, l’una di colore bianco e l’altra di colore rosso, simboleggianti il puro e candido zelo religioso ed il sangue ch’essi erano pronti a spargerlo per difenderlo. In seguito, fu aggiunta, sopra lo scudo, l’effigie di S. Nicola. Due esemplari in pietra di tale stemma esistono ancora nel cortile ovest del castello e sulla facciata posteriore della cattedrale, alla base del campanile; il rosso, raffigurato da linee verticali, è però riportato sulla banda destra dello scudo e non, come oggi si suole, su quella sinistra. L’arma di Bari è così riprodotta pure nelle carte del cosiddetto ‘Libro Rosso’ della Università , accompagnata dalle lettere puntate S.N.PP. (due a sinistra e due a destra), che stanno a significare Sanctus Nicolaus Pater Patriae o Sanctus Nicolaus Princeps Patronus. Non è stato sempre questo il nostro stemma perché, nei registri delle conclusioni decurionali del primo Ottocento, si vede impresso su ogni pagina uno scudo ovale col campo interamente occupato dalla immagine di S. Nicola. Verso la fine del XIX secolo poi, le carte comunali riportano come stemma il marchio del cosiddetto ‘Barinon’, un’antica moneta barese, recante incisi un amorino nell’atto di scoccare un dardo verso una stella della prua di un’imbarcazione e un delfino. La confusione ingenerata dai diversi emblemi suscitò spesso discussioni nel consiglio comunale, come nelle sedute del 4 maggio 1873 e del 23 gennaio 1920; furono anche nominate commissioni di studio con riserva di chiarimenti, ma non si giunse mai ad una conclusione. Un decreto dell’8 giugno 1935 pose termine ad ogni incertezza, disponendo l’iscrizione dello stemma nel Libro Araldico degli Enti Morali, con le seguenti caratteristiche: lato destro dello scudo di colore argento; lato sinistro di colore rosso, ornamenti esteriori di città , e cioè una corona di mura merlate con cinque torri sopra lo scudo, oltre una fronda di alloro a destra e una di quercia a sinistra, annodate in basso con nastro. Per breve periodo di tempo, durante il ventennio fascista, il capo dello scudo, ossia la fascia superiore, fu occupata da un fascio littorio, abolito dopo la seconda guerra mondiale, in seguito al mutamento dell’ordinamento politico.»
Le conclusioni? Ai lettori.