di FRANCESCO GRECO - “Lecce gentile e beddha, ogghiu cu cantu/ quiddhu ca me sentu intr'a lu core./ 'Nu paradisu 'n terra sì pè mie./ Tuttu me pare beddhu a nturnu a tie/”.
Al cimitero monumentale i turisti rubano il pentagramma e l'usignolo sulla sua tomba, e al fabbro tocca mettere mano agli arnesi per l'ennesima copia.
Letta psicanaliticamente è il desiderio degli ammiratori di ieri e oggi di far risentire “l'usignolo”, la sua voce dalle componenti “marine, solari, collinose”, di sottrarre “un buon diavolo” (autodefinizione) agli altri mondi per farlo rivivere “in una nuvola di applausi”, immortale.
E' passato mezzo secolo dalla morte del tenore Tito Schipa (1965, New York). E mentre si attende un museo dei suoi cimeli sparsi qua e là, sperando una buona volta in un minimo di intesa fra le istituzioni, a sottrarlo dall'oblio in un tempo in cui esiste solo il presente e la memoria è disidratata, giunge preziosa una pubblicazione a più mani e voci: “Canto per te” (Omaggio a Tito Schipa), a cura di Elsa Martinelli, Edizioni Grifo, Lecce 2016, pp. 304, s.i.p. (presentazione in Conservatorio venerdì 30 settembre, alle ore 19).
Formula indovinata: articoli, piccoli saggi, testi di canzoni, lettere, cartoline (Schipa era alla mano, rispondeva a tutti di suo pugno, niente uffici-stampa), con una ricca sezione fotografica di cui è in possesso l'ing, Gianni Carluccio, in chiave divulgativa, propongono la parabola dell'uomo, l'artista, il personaggio vanto di Lecce (e della “leccesità”) e dell'Italia anche a chi ne ha sentito vagamente parlare.
Documenti e foto diventano così le icone iperrealistiche di un mondo, un'epoca, un tempo convulso e maieutico, il Novecento, di cui Schipa, sfaccettato, polisemico, sono una solare metafora ricca di innervature d'ogni sorta.
La scansione della sua vita, da ragazzino che scalzo vaga per i vicoli della città vecchia e che corre dietro alla banda del Santo Patrono, cantando, a star continentale, può essere letta dunque anche con una password storica oltre che umana e artistica.
A Lecce il tenore ha dato molto, non l'ha mai dimenticata (un modo di onorare il padre Luigi, classe 1839), anche quando la carriera lo portava in altri continenti e “incantò platee sterminate di spettatori osannanti in ogni angolo del mondo”, ammaliate dal fraseggio, la grazia, il sentimento, l'emozione, la poesia che una voce unica evocavano.
Il liceo musicale – rammenta la prof. Martinelli, musicologa e docente al Conservatorio salentino di ben 15 corsi - nacque da una sua elargizione, perché Schipa fu anche un mecenate e un filantropo (nel saggio di Beatrice Malorgio è spiegato con ricchezza di dettagli). E la sua città lo ha ripagato: il Conservatorio (mutazione del Liceo Musicale) porta il suo nome, come la piazza davanti al Castello Carlo V e varie testimonianze architettoniche-culturali.
Schipa è dunque un affollamento semantico: amori e avventure galanti (una vita sentimentale disordinata), testimonial involontario del fascismo (lo feceto commendatore), accuse di simpatia per Mussolini prima e di filocomunismo dopo.
Normale gramigna italica che si avviluppa a ogni grande, spesso nutrita dal pregiudizio, se non dall'invidia. Che però non sfiorano non solo un grande artista, ma anche un uomo con la “u” maiuscola, la cui leggenda sopravvive al tempo, e questo saggio ben fatto rinnova in tutta le sue infinite interfacce rendendogli giustizia.
Altri contributors: Tito Schipa jr., Michael Aspinall, Gigliola Bianchini, Maria Giovanna Brindisino, Gianni Carluccio, Luciana D'Ambrosio Marri, Mariacarla De Giorgi, Giovanni Invitto, Alessandro Laporta, Piero Menarini, Adriana Poli Bortone, Dario Salvatori. Traduzioni: “English Centre Spoleto” di Giuseppe Marcocchi.
Al cimitero monumentale i turisti rubano il pentagramma e l'usignolo sulla sua tomba, e al fabbro tocca mettere mano agli arnesi per l'ennesima copia.
Letta psicanaliticamente è il desiderio degli ammiratori di ieri e oggi di far risentire “l'usignolo”, la sua voce dalle componenti “marine, solari, collinose”, di sottrarre “un buon diavolo” (autodefinizione) agli altri mondi per farlo rivivere “in una nuvola di applausi”, immortale.
E' passato mezzo secolo dalla morte del tenore Tito Schipa (1965, New York). E mentre si attende un museo dei suoi cimeli sparsi qua e là, sperando una buona volta in un minimo di intesa fra le istituzioni, a sottrarlo dall'oblio in un tempo in cui esiste solo il presente e la memoria è disidratata, giunge preziosa una pubblicazione a più mani e voci: “Canto per te” (Omaggio a Tito Schipa), a cura di Elsa Martinelli, Edizioni Grifo, Lecce 2016, pp. 304, s.i.p. (presentazione in Conservatorio venerdì 30 settembre, alle ore 19).
Formula indovinata: articoli, piccoli saggi, testi di canzoni, lettere, cartoline (Schipa era alla mano, rispondeva a tutti di suo pugno, niente uffici-stampa), con una ricca sezione fotografica di cui è in possesso l'ing, Gianni Carluccio, in chiave divulgativa, propongono la parabola dell'uomo, l'artista, il personaggio vanto di Lecce (e della “leccesità”) e dell'Italia anche a chi ne ha sentito vagamente parlare.
Documenti e foto diventano così le icone iperrealistiche di un mondo, un'epoca, un tempo convulso e maieutico, il Novecento, di cui Schipa, sfaccettato, polisemico, sono una solare metafora ricca di innervature d'ogni sorta.
La scansione della sua vita, da ragazzino che scalzo vaga per i vicoli della città vecchia e che corre dietro alla banda del Santo Patrono, cantando, a star continentale, può essere letta dunque anche con una password storica oltre che umana e artistica.
A Lecce il tenore ha dato molto, non l'ha mai dimenticata (un modo di onorare il padre Luigi, classe 1839), anche quando la carriera lo portava in altri continenti e “incantò platee sterminate di spettatori osannanti in ogni angolo del mondo”, ammaliate dal fraseggio, la grazia, il sentimento, l'emozione, la poesia che una voce unica evocavano.
Il liceo musicale – rammenta la prof. Martinelli, musicologa e docente al Conservatorio salentino di ben 15 corsi - nacque da una sua elargizione, perché Schipa fu anche un mecenate e un filantropo (nel saggio di Beatrice Malorgio è spiegato con ricchezza di dettagli). E la sua città lo ha ripagato: il Conservatorio (mutazione del Liceo Musicale) porta il suo nome, come la piazza davanti al Castello Carlo V e varie testimonianze architettoniche-culturali.
Schipa è dunque un affollamento semantico: amori e avventure galanti (una vita sentimentale disordinata), testimonial involontario del fascismo (lo feceto commendatore), accuse di simpatia per Mussolini prima e di filocomunismo dopo.
Normale gramigna italica che si avviluppa a ogni grande, spesso nutrita dal pregiudizio, se non dall'invidia. Che però non sfiorano non solo un grande artista, ma anche un uomo con la “u” maiuscola, la cui leggenda sopravvive al tempo, e questo saggio ben fatto rinnova in tutta le sue infinite interfacce rendendogli giustizia.
Altri contributors: Tito Schipa jr., Michael Aspinall, Gigliola Bianchini, Maria Giovanna Brindisino, Gianni Carluccio, Luciana D'Ambrosio Marri, Mariacarla De Giorgi, Giovanni Invitto, Alessandro Laporta, Piero Menarini, Adriana Poli Bortone, Dario Salvatori. Traduzioni: “English Centre Spoleto” di Giuseppe Marcocchi.