di VITTORIO POLITO – Il dialetto, parte integrante della nostra storia e della nostra cultura, è un patrimonio da apprezzare, salvaguardare e tramandare.
Secondo Roberta D’Alessandro, professoressa di linguistica e dialettologia, direttrice della stessa Cattedra dell’Università di Leiden, a proposito del dialetto barese, ha dichiarato, tra l’altro, in una intervista che «Si tratta di una lingua molto importante e molto interessante, che va assolutamente preservata, innanzitutto parlandola alle generazioni giovani. I genitori parlino il barese ai bambini. Questo, oltre a metterli a parte della loro cultura, li renderà di fatto bilingui (italiano e barese, due lingue diverse), portando loro notevoli vantaggi cognitivi, come la maggiore velocità nel prendere decisioni, l’agilità nel multitasking (multiprogrammazione), e una maggiore capacità di concentrazione.»
Un duo d’eccezione pubblicò nel 1972 una “Guida ai detti baresi e pugliesi” (Sugar Editore). Si tratta di Luigi Sada e Carlo Scorcia, autori di varie pubblicazioni sul dialetto barese, che si sono dilettati, tra l’altro, ad elencare alcuni detti o modi di dire che fanno parte delle tradizioni popolari. Una battuta scherzosa, arguta, piacevole, allusiva e, in alcuni casi, pungente.
Molti motti sono “inediti” e sono stati raccolti dai due autori durante un lungo periodo di pratica e di studi dialettali. Ogni motto è corredato della traduzione letterale in lingua, mentre è stata unificata la grafia dialettale secondo le norme del prof. Vincenzo Valente.
Il saggio di Sada e Scorcia è finalizzato a recuperare “…i dialetti di una regione, che assieme ad altri non sono un triste retaggio, «un cancro che attenta alla vita della lingua».
Non va dimenticato che “Scrivere e recitare in dialetto – secondo Nicola Gonnella (Ogon) – non è autorizzazione a ‘storpiare’ parole della lingua italiana per ottenere un certo effetto sugli ascoltatori, per rallegrare i loro visi. Il dialetto ha un lessico tutto proprio, che si evolve con i tempi onde non restare chiuso alle necessità quotidiane”.
Riporto dal testo di Sada e Scorcia alcuni simpatici ‘detti’ in dialetto barese, rimandando al testo citato per la lettura degli altri ed a quelli relativi ai dialetti delle altre province della Puglia.
FASCE FA LE SCHERZÈDDE NGANNE
«“Fa fare le escare in gola”. Scherzèdde, nei dialetti della provincia di Bari, sono, in genere, le crosterelle che si formano sulle piaghe. Il detto vuol significare che, quando si parla ad una persona testarda, si è costretti a ripetere tante volte la stessa cosa fino a sgolarsi»
LA BREGESSIÒNE SE VÈT-ACQUANNE SE RETÌRE
«“La processione si vede quando si ritira”. Nessuna opera può essere giudicata se non è portata a compimento; nessun calcolo di guadagno si può fare se non a vendita avvenuta della merce.
Il detto barese trova riscontro nell’usanza dei cittadini che fanno offerte al santo in processione per le vie. Quindi, dicono i confratelli: la processione è ben riuscita se, ritirandosi alla congrega, porta con sé un bel mucchio di denaro».
LE SCENÙCCHJE U-AVÒNNE ARRECHERDÀ
«“Le ginocchia lo dovranno ricordare”. Ginocchio è un termine scherzoso per indicare parentela lontana, discendenza, grado, generazione. Per cui dice nel barese “Parènde da tré, da quatte, ecc. scenùcchje” (= Parentela di tre, di quattro, ecc. generazioni). Parola pregnante, nel nostro motto, che vorrebbe dire “I discendenti serberanno buona memoria di lui e perché era un galantuomo e perché… ha lasciato una buona eredità”, la metafora è presa dalla considerazione che le ginocchia sono il sostegno del corpo e lo articolano, e quindi sono come il tronco genealogico».
PARE LA PUPE SOP-O TTAMMERRÌEDDE
«“Pare la bambola sul tamburello”. Il popolino barese ha ben di essere così caustico con le bacucche che hanno la velleità d’essere giovanette ancora: si abbigliano, si imbellettano e paiono tante ballerine che danzano sul carillon. Oggi più che mai il motto è di moda; serve a canzonare le vecchie signore in minigonna o pantaloni, dalle rughe e capelli grigi mascherati da ceroni, rimmel e tinture, tanto da far credere che si sono vestite a maschera e sono “nu scavamènde de Pombè” (= uno scavo di Pompei), come la designa pure il popolino».
SÈNZA SCIAMMÉRGHE
«“Senza giamberga”. La sciammèrghe, voce limitata, nell’uso popolare, all’Italia borbonica, è la finanziera, la redingote. Indicava al plurale il ceto borghese e dei funzionari. Il termine è adattamento dello spagnolo “chamberga”, una specie di casacca introdotta nel sec. XVI in Spagna dal generale tedesco Schomberg. La voce fu usata nel Risorgimento a Benevento per indicare gli aderenti del partito borbonico contro il partito della “giacchetta”, che era quello dei rivoluzionari, dei cafoni, degli analfabeti; si diffuse in tutta la Puglia con lo stesso significato. Il motto barese serve a colpire gl’ignorantelli, che si piccano di qualunque cosa».
Secondo Roberta D’Alessandro, professoressa di linguistica e dialettologia, direttrice della stessa Cattedra dell’Università di Leiden, a proposito del dialetto barese, ha dichiarato, tra l’altro, in una intervista che «Si tratta di una lingua molto importante e molto interessante, che va assolutamente preservata, innanzitutto parlandola alle generazioni giovani. I genitori parlino il barese ai bambini. Questo, oltre a metterli a parte della loro cultura, li renderà di fatto bilingui (italiano e barese, due lingue diverse), portando loro notevoli vantaggi cognitivi, come la maggiore velocità nel prendere decisioni, l’agilità nel multitasking (multiprogrammazione), e una maggiore capacità di concentrazione.»
Un duo d’eccezione pubblicò nel 1972 una “Guida ai detti baresi e pugliesi” (Sugar Editore). Si tratta di Luigi Sada e Carlo Scorcia, autori di varie pubblicazioni sul dialetto barese, che si sono dilettati, tra l’altro, ad elencare alcuni detti o modi di dire che fanno parte delle tradizioni popolari. Una battuta scherzosa, arguta, piacevole, allusiva e, in alcuni casi, pungente.
Molti motti sono “inediti” e sono stati raccolti dai due autori durante un lungo periodo di pratica e di studi dialettali. Ogni motto è corredato della traduzione letterale in lingua, mentre è stata unificata la grafia dialettale secondo le norme del prof. Vincenzo Valente.
Il saggio di Sada e Scorcia è finalizzato a recuperare “…i dialetti di una regione, che assieme ad altri non sono un triste retaggio, «un cancro che attenta alla vita della lingua».
Non va dimenticato che “Scrivere e recitare in dialetto – secondo Nicola Gonnella (Ogon) – non è autorizzazione a ‘storpiare’ parole della lingua italiana per ottenere un certo effetto sugli ascoltatori, per rallegrare i loro visi. Il dialetto ha un lessico tutto proprio, che si evolve con i tempi onde non restare chiuso alle necessità quotidiane”.
Riporto dal testo di Sada e Scorcia alcuni simpatici ‘detti’ in dialetto barese, rimandando al testo citato per la lettura degli altri ed a quelli relativi ai dialetti delle altre province della Puglia.
FASCE FA LE SCHERZÈDDE NGANNE
«“Fa fare le escare in gola”. Scherzèdde, nei dialetti della provincia di Bari, sono, in genere, le crosterelle che si formano sulle piaghe. Il detto vuol significare che, quando si parla ad una persona testarda, si è costretti a ripetere tante volte la stessa cosa fino a sgolarsi»
LA BREGESSIÒNE SE VÈT-ACQUANNE SE RETÌRE
«“La processione si vede quando si ritira”. Nessuna opera può essere giudicata se non è portata a compimento; nessun calcolo di guadagno si può fare se non a vendita avvenuta della merce.
Il detto barese trova riscontro nell’usanza dei cittadini che fanno offerte al santo in processione per le vie. Quindi, dicono i confratelli: la processione è ben riuscita se, ritirandosi alla congrega, porta con sé un bel mucchio di denaro».
LE SCENÙCCHJE U-AVÒNNE ARRECHERDÀ
«“Le ginocchia lo dovranno ricordare”. Ginocchio è un termine scherzoso per indicare parentela lontana, discendenza, grado, generazione. Per cui dice nel barese “Parènde da tré, da quatte, ecc. scenùcchje” (= Parentela di tre, di quattro, ecc. generazioni). Parola pregnante, nel nostro motto, che vorrebbe dire “I discendenti serberanno buona memoria di lui e perché era un galantuomo e perché… ha lasciato una buona eredità”, la metafora è presa dalla considerazione che le ginocchia sono il sostegno del corpo e lo articolano, e quindi sono come il tronco genealogico».
PARE LA PUPE SOP-O TTAMMERRÌEDDE
«“Pare la bambola sul tamburello”. Il popolino barese ha ben di essere così caustico con le bacucche che hanno la velleità d’essere giovanette ancora: si abbigliano, si imbellettano e paiono tante ballerine che danzano sul carillon. Oggi più che mai il motto è di moda; serve a canzonare le vecchie signore in minigonna o pantaloni, dalle rughe e capelli grigi mascherati da ceroni, rimmel e tinture, tanto da far credere che si sono vestite a maschera e sono “nu scavamènde de Pombè” (= uno scavo di Pompei), come la designa pure il popolino».
SÈNZA SCIAMMÉRGHE
«“Senza giamberga”. La sciammèrghe, voce limitata, nell’uso popolare, all’Italia borbonica, è la finanziera, la redingote. Indicava al plurale il ceto borghese e dei funzionari. Il termine è adattamento dello spagnolo “chamberga”, una specie di casacca introdotta nel sec. XVI in Spagna dal generale tedesco Schomberg. La voce fu usata nel Risorgimento a Benevento per indicare gli aderenti del partito borbonico contro il partito della “giacchetta”, che era quello dei rivoluzionari, dei cafoni, degli analfabeti; si diffuse in tutta la Puglia con lo stesso significato. Il motto barese serve a colpire gl’ignorantelli, che si piccano di qualunque cosa».