di FRANCESCO GRECO - Mio Dio! E' come entrare nella macchina del tempo. Un perfido déjà-vu formato Novecento. Per quanto ancora dovremo leggere che il Sud è una “risorsa”, “luogo delle vacanze” (Renzi, inaugurazione Fiera del Levante 2016)? Dobbiamo ancora soffocarlo con la gramigna del paternalismo (“obbligo di solidarietà”), il folklore, l'oleografia, la sociologia (“comunità locali coese e integrate”), summa di una visione datata di un universo invece assai complesso, difficile da decodificare?
E' un modo come tanti di eludere il dna della Questione Meridionale (infatti non ne parla nessuno se non strumentalmente e cinicamente per ramazzare voti sotto elezioni), di rubare l'anima più antica e profonda del Mezzogiorno. E di far rimpiangere magari il Sud-Nazione dei Borboni quando, pur con le tante contraddizioni, era davvero “coeso”.
“Scusate il ritardo” (Una proposta per il Mezzogiorno d'Europa), di Gianni Pittella e Amedeo Lepore, Donzelli editore Roma 2015, pp. 283, euro 19.50 (Con undici progetti strategici coordinati da Claudio Cipollini) è un'occasione mancata per dotarsi di nuove password. Non si tratta di contrapporre il vecchio al nuovo meridionalismo, ma qui si affastellano alla rinfusa banalità e luoghi comuni, seppellendoci sotto epitaffi come questo: “Se il Sud ha bisogno di nuove politiche, non è meno vero che l'Italia e l'Europa hanno bisogno del Sud”. Viva la mamma!
“Sangue e passione”, ma anche genio i meridionali ce li mettono da sempre, ma le assatanate caste politiche, le lobby, le logge, il credito, l'imprenditoria di rapina e quant'altro vanificano ogni sforzo. Bastasse la “coesione sociale” in un universo atomizzato, segnato da solitudine, disperazione, afasia, ridotto a mercato per consumi straccioni, eppure di enormi potenzialità inespresse.
Viene alla mente la frase di un tiranno un secolo fa: “Il Perù ha due tipi di problemi: quelli che si risolvono da soli e quelli che non si risolvono mai”. E anche il Sud.
Pittella e Lepore dipingono un'entità astratta, metafisica, un Eden di frutti dolci e succosi che esiste solo nella loro visione provinciale, nel loro meridionalismo infimo che piace alle classi dirigenti perché non muta i rapporti di forza. Nessun cenno all'emigrazione dal 1861 a oggi. La fuga dei “cervelli” è ormai sistemica, oltre i numeri di questi giorni (non tutti sono iscritti all'AIRE). E' crollato l'indice di natalità. Le mafie tengono in ostaggio gran parte del territorio, politica e boss convivono in un rapporto di commensalismo, culturalmente sinergici, si scambiano favori, voti, appalti in una zona densa di chiaroscuri. Si tace della desertificazione intellettuale e materiale.
Negli ultimi 10 anni in 4 milioni se ne sono andati. Poverini, non avevano letto la presentazione di Renzi, pappa riscaldata: “Il Sud ha una capacità di riscatto senza pari... il luogo dove l'Europa trova la sua dimensione più vera... Cominciano a vedersi i primi segnali di ripresa...”. In verità qui si vedono treni fermi, industrie che portano morte, cosche padrone del territorio (ora chiudono anche Nanotecnologie a Lecce).
Così il saggio scivola nella propaganda, la melassa autoreferenziale, l'accademia da libro stampato buona per i talk-show e alla fine ci si convince che gli ostacoli sono proprio i meridionalisti da salotto o talk show con le loro trovate bucoliche (“turismo diffuso”, “territori intelligenti”): ricadute sul territorio: zero. Mentre le “energie rinnovabili” li hanno devastati arricchendo avventurieri d'ogni sorta.
I Pittella peraltro sul territorio sono letti come quelli che Carlo Puca chiama “dittatorelli” (non i soli, c'è la versione al femminile guidata dalle tante Picierno), un carrozzone clientelare feudale, baronale. Si mette in mezzo la Fondazione con il Sud, ma non si dice a fronte degli investimenti quanto sviluppo e lavoro hanno portato: il vecchio finanziamento a pioggia per asportare consenso elettorale (voto di scambio) e costruire nuove baronie.
Non si specula per dire su un concetto elementare: ci han tolto l'assistenzialismo parlando di incentivi per i segmenti vitali dell'economia. Risultato? Non abbiamo più né il primo né niente, solo soldi a pioggia spesso intercettati dalle mafie. Mentre lo stato sociale è svaporato, il rigore lo ha formattato e il meridionale prega Dio di non ammalarsi, sennò è condannato a morte.
Le analisi di Pittella e Lepore portano conservazione, perpetuano il dominio e il saccheggio, l'umiliazione, la desertificazione. Elargiscono qualche mancia al loro convivio elettorale. Gli undici progetti “strategici” (i beni confiscati alle mafie, la “una nuova policy industriale”, quale?) sono poesia, grezzo populismo. Se bastasse “accrescere le competenze digitali” avremmo fatto da tempo la rivoluzione nel Sud di Salvemini, Vittore Fiore, Di Vittorio.
Non sono le “ricette” di “Scusate il ritardo”, né queste classi dirigenti che potranno far uscire il Sud dall'isolamento, portare pane e dignità ai popoli. Sono anzi funzionali allo status quo.
Occorre un'altra grammatica, uomini con background culturali differenti, economisti 2.0, nuovi soggetti sociali, protagonismi, portatori di “visioni” escatologiche che come Prometeo hanno rubato il fuoco agli déi. Tocca a loro responsabilizzarsi, i Pittella sono il passato remoto peggiore.
E' un modo come tanti di eludere il dna della Questione Meridionale (infatti non ne parla nessuno se non strumentalmente e cinicamente per ramazzare voti sotto elezioni), di rubare l'anima più antica e profonda del Mezzogiorno. E di far rimpiangere magari il Sud-Nazione dei Borboni quando, pur con le tante contraddizioni, era davvero “coeso”.
“Scusate il ritardo” (Una proposta per il Mezzogiorno d'Europa), di Gianni Pittella e Amedeo Lepore, Donzelli editore Roma 2015, pp. 283, euro 19.50 (Con undici progetti strategici coordinati da Claudio Cipollini) è un'occasione mancata per dotarsi di nuove password. Non si tratta di contrapporre il vecchio al nuovo meridionalismo, ma qui si affastellano alla rinfusa banalità e luoghi comuni, seppellendoci sotto epitaffi come questo: “Se il Sud ha bisogno di nuove politiche, non è meno vero che l'Italia e l'Europa hanno bisogno del Sud”. Viva la mamma!
“Sangue e passione”, ma anche genio i meridionali ce li mettono da sempre, ma le assatanate caste politiche, le lobby, le logge, il credito, l'imprenditoria di rapina e quant'altro vanificano ogni sforzo. Bastasse la “coesione sociale” in un universo atomizzato, segnato da solitudine, disperazione, afasia, ridotto a mercato per consumi straccioni, eppure di enormi potenzialità inespresse.
Viene alla mente la frase di un tiranno un secolo fa: “Il Perù ha due tipi di problemi: quelli che si risolvono da soli e quelli che non si risolvono mai”. E anche il Sud.
Pittella e Lepore dipingono un'entità astratta, metafisica, un Eden di frutti dolci e succosi che esiste solo nella loro visione provinciale, nel loro meridionalismo infimo che piace alle classi dirigenti perché non muta i rapporti di forza. Nessun cenno all'emigrazione dal 1861 a oggi. La fuga dei “cervelli” è ormai sistemica, oltre i numeri di questi giorni (non tutti sono iscritti all'AIRE). E' crollato l'indice di natalità. Le mafie tengono in ostaggio gran parte del territorio, politica e boss convivono in un rapporto di commensalismo, culturalmente sinergici, si scambiano favori, voti, appalti in una zona densa di chiaroscuri. Si tace della desertificazione intellettuale e materiale.
Negli ultimi 10 anni in 4 milioni se ne sono andati. Poverini, non avevano letto la presentazione di Renzi, pappa riscaldata: “Il Sud ha una capacità di riscatto senza pari... il luogo dove l'Europa trova la sua dimensione più vera... Cominciano a vedersi i primi segnali di ripresa...”. In verità qui si vedono treni fermi, industrie che portano morte, cosche padrone del territorio (ora chiudono anche Nanotecnologie a Lecce).
Così il saggio scivola nella propaganda, la melassa autoreferenziale, l'accademia da libro stampato buona per i talk-show e alla fine ci si convince che gli ostacoli sono proprio i meridionalisti da salotto o talk show con le loro trovate bucoliche (“turismo diffuso”, “territori intelligenti”): ricadute sul territorio: zero. Mentre le “energie rinnovabili” li hanno devastati arricchendo avventurieri d'ogni sorta.
I Pittella peraltro sul territorio sono letti come quelli che Carlo Puca chiama “dittatorelli” (non i soli, c'è la versione al femminile guidata dalle tante Picierno), un carrozzone clientelare feudale, baronale. Si mette in mezzo la Fondazione con il Sud, ma non si dice a fronte degli investimenti quanto sviluppo e lavoro hanno portato: il vecchio finanziamento a pioggia per asportare consenso elettorale (voto di scambio) e costruire nuove baronie.
Non si specula per dire su un concetto elementare: ci han tolto l'assistenzialismo parlando di incentivi per i segmenti vitali dell'economia. Risultato? Non abbiamo più né il primo né niente, solo soldi a pioggia spesso intercettati dalle mafie. Mentre lo stato sociale è svaporato, il rigore lo ha formattato e il meridionale prega Dio di non ammalarsi, sennò è condannato a morte.
Le analisi di Pittella e Lepore portano conservazione, perpetuano il dominio e il saccheggio, l'umiliazione, la desertificazione. Elargiscono qualche mancia al loro convivio elettorale. Gli undici progetti “strategici” (i beni confiscati alle mafie, la “una nuova policy industriale”, quale?) sono poesia, grezzo populismo. Se bastasse “accrescere le competenze digitali” avremmo fatto da tempo la rivoluzione nel Sud di Salvemini, Vittore Fiore, Di Vittorio.
Non sono le “ricette” di “Scusate il ritardo”, né queste classi dirigenti che potranno far uscire il Sud dall'isolamento, portare pane e dignità ai popoli. Sono anzi funzionali allo status quo.
Occorre un'altra grammatica, uomini con background culturali differenti, economisti 2.0, nuovi soggetti sociali, protagonismi, portatori di “visioni” escatologiche che come Prometeo hanno rubato il fuoco agli déi. Tocca a loro responsabilizzarsi, i Pittella sono il passato remoto peggiore.