Natuzzi, M5S: "Il festival dell'ipocrisia a danno della collettività"

BARI - E’ proseguito anche questo weekend il presidio, presso lo stabilimento di Jesce, organizzato dagli ormai ex dipendenti della Natuzzi, licenziati ufficialmente dal 16 ottobre 2016. A far visita ai lavoratori, padri e madri di famiglia che a 40 e 50 anni vedono all'orizzonte il baratro della disoccupazione e della disperazione, il consigliere regionale M5S Mario Conca che si esprime così: “Mentre loro lottano anche di domenica, perché il posto di lavoro va difeso e non rimpianto, i sindacati confederali continuano ad invitare i lavoratori a prendere l'incentivo offerto dall'azienda dicendosi disponibili ad offrire maggiori informazioni a chiunque volesse contattarli. La sensazione è che siano diventati quasi un ente di servizi per la Natuzzi, altro che loro difensori. Forse perché avvertono la responsabilità degli accordi capestro al Mise che hanno sottoscritto? Oppure perché è prevista una fee anche per loro? Una mancia di 60 mila euro lorde che consentirà ai lavoratori che cederanno, o questo o niente, di vivere senza  preoccupazioni economiche per un paio d'anni scarsi.”

Alla domanda che di questi tempi si pongono in tanti, ovvero le motivazioni che abbiano spinto la Natuzzi a rifiutare gli ulteriori 12 mesi di cassa in deroga proposti dal tavolo di concertazione al Ministero, il consigliere pentastellato prova a dare una risposta: “La risposta a mio parere è molto semplice, la società santermana vuole, evidentemente, continuare a ridimensionare anche la forza lavoro con contratto di solidarietà, all'incirca 1918 unità, e vuole allocare quelli a zero ore, che ha già licenziato qualche giorno fa, in una Newco nello stabilimento chiuso di Ginosa. Sulle teste dei 104 dipendenti di questa nuova ragione sociale, tanti ne ha annunciati Natuzzi, penderà la spada di Damocle del Jobs Act e nessuna garanzia per il futuro”.

L’Italia si confermerebbe insomma essere sempre più una nazione per furbi nella quale, nel corso degli anni, sono state erogate ingenti risorse alle aziende spesso e volentieri finalizzate alla realizzazioni di operazioni tra loro contrastanti. Nel caso di specie, che vale per tutti: primo insediamento, ampliamento delle strutture, assunzioni agevolate, fondi e reti per l'internazionalizzazione. “Poi le aziende hanno delocalizzato - commenta Conca - ed abbiamo continuato ad erogare mobilità, cassa in deroga, contratti di solidarietà, fondi per la reindustrializzazione delle aree e ricollocamento della forza lavoro, formazione professionale e riqualificazione, il tutto con i soldi dei cittadini. Così alla fine - conclude - succede spesso che, dopo aver munto la mammella del pubblico per decenni, le aziende vanno a fare il loro business in altre zone del mondo e a noi lasciano le tragedie umane”.

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