OPINIONE. Presidenziali Usa: Assange e Putin 'grandi elettori'

di FRANCESCO GRECO - Julian Assange è un “grande elettore” del 45° presidente degli Stati Uniti nel “tuesday” in progress. Il mentore di WikiLeaks vive a Londra, nascosto nell'ambasciata ecuadoregna e sta centellinando le 50mila mail di Hillary Clinton copiate col suo micidiale algoritmo con cui, assetato di vendetta, denuda e scortica il Re.

Sospese fra sociologia e politica, frizzi, lazzi e sghiribizzi, sinora il mondo ha saputo che la candidata democratica accusa Qatar e Arabia Saudita (paesi amici degli USA, suoi “gendarmi” nell'area mediorientale) di aver creato e finanziato l'Isis e i suoi istinti sanguinari, escatologici, definisce “monella” la figlia Chelsea, pensa che la velleitaria vita erotica del marito Bill può danneggiare la sua campagna elettorale, ma bisogna occultarla e far finta di nulla, e altre amenità.

E' il doppio livello della politica, che tanto appassiona l'opinione pubblica, micidiale al tempo di Internet, una videocamera puntata sui potenti, o aspiranti tali, che li spoglia, scansiona il presente e il passato.

Gli analisti ritengono che un Assange al veleno terrà per gli ultimi giorni di campagna elettorale le mail più scabrose e compromettenti della signora Rodham.

Il prossimo inquilino della Casa Bianca non lo decideranno gli americani dell'Ohio e del Minnesota, ma extra moenia, considerato anche che l'avversario della Clinton, il repubblicano Donald Trump, per la serie “il nemico del mio nemico è mio amico”, è accusato di “intelligence” con Vladimir Putin (altro “grande elettore”), non estraneo allo sputtanamento planetario di Hillary via hackeraggio (che Obama ha deciso di contrastare) per i suoi giochi di geo-politica e di rinascente smania di protagonismo dell'ex superpotenza, che anche così nasconde la crisi economica (- 9 punti di pil all'anno).

In contemporanea, dal Pacifico all'Atlantico, è stagione di caccia alle donne che sarebbero state molestate dal tycoon e che finiscono nel link “Pussygate” dove è possibile spiare come al buco della serratura. In un sussulto di neo-puritanesimo che forse solo la genetica potrebbe decodificare, zelanti cronisti vagano di città per città, quartiere per quartiere, casa per casa in cerca delle donne attenzionate dall'esuberante Trump. Siamo a 9 ma ma qui all'8 novembre ne salteranno fuori a dozzine, centinaia, migliaia: qualcuna sincera, qualche altra meno: cosa non faremmo per un quarto d'ora di visibilità planetaria? E infatti Trump pensa che siano cercate dalla Clinton, schema usato anche da lui a caccia di quelle che sarebbero state “toccate” da Clinton. Ma lo psicologo più scalcagnato potrebbe dirci che l'americano medio si proietta nelle avventure erotiche di Trump, vorrebbe essere come lui e quindi il rischio è che aumenti il suo consenso (un po' come Berlusconi qui). Fra poco uscirà anche l'audio di eventuali incontri a luci rosse, forse in allegato al NYT o al Post e tutta la stampa accusata di essere “venduta”.

Ma a cosa servirà? Gli americani cercano un buon presidente, non un ectoplasma o una mummia rimasta chiusa nella teca di vetro per 50 anni. Manuel Scorza scrisse: “I fiumi si sporcano prima di arrivare al mare e ripulirsi”. E che uno si sia dato da fare con l'altro sesso è nella natura e non vuol dire che non può essere un buon presidente. Reagan fu un mediocre attore, ma chiuse la “guerra fredda” con l'URSS.

Non solo: qui nella vecchia Europa, culla del diritto che affiniamo da millenni, dal Codice Giustiniano al Beccaria, abbiamo un detto che forse negli USA ignorano: “Textis unus, textis nullus”. Cosa si vuol dire? Che Trump avrà gioco facile a smontare le accuse. C'è la sua parola contro quella delle ragazze molestate.

L'8 novembre quindi gli americani dovranno scegliere fra una donna che sventatamente spiffera i segreti di Stato ai quattro venti, ignorando che nell'epoca del pixel è un suicidio e mettendo a rischio la sua sicurezza e un miliardario a cui piacciono le donne, le cerca, le vuole e coi soldi che ha solo a posteriori esse possono dirsi “molestate”.

I sondaggi – anche dopo il terzo faccia a faccia di stanotte a Las Vegas - danno in vantaggio la Clinton, ma essi a volta riflettono l'idea del committente alla “Specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. Noi abbiamo imparato a diffidare dai tempi di Emilio Fede (Regionali 2005, bandierine azzurre ovunque) sino alla Brexit: fallimenti clamorosi.

E' bene che anche gli yankee li leggano come carta straccia. E poi la qualità dei candidati, che non emozionano i cuori nè folgorano le menti, alimenta il numero di indecisi. Il livello è quasi peggiore del nostro: Trump minaccia di far arrestare la Clinton se vincerà (per le mail distrutte) e parla di 9 milioni di persone iscritte al voto contro la loro volontà, l'altra di “apocalisse” se non vince lei. Risse così erano usuali ai tempi di Funari.

Per quanto un campione di “sondati” possa essere ben configurato, è sempre relativo e umorale e qualcosa resta fuori dall'algoritmo e la morte dell'ideologia ha provocato, anche nel paese di zio Paperone, un senso di libertà e quasi di vertigine degli elettori, molti dei quali decidono last minute.

Un elemento però non è stato considerato a sufficienza: le armi facili e l'attacco terroristico e di civiltà permanente all'Occidente (dalle Twin Towers ai giorni nostri), oltre a impegnare risorse ingenti per il contrasto, ha reso tutti più insicuri: per cui vincerà il candidato che riuscirà a trasmettere un senso di protezione.

Il resto, le giarrettiere di pizzo e i wonderbra di seta e le chiacchiere in libertà sono sociologia, anzi, poesia. Cortine fumogene irrilevanti, usa e getta.