di FRANCESCO GRECO - Flavio Briatore è sceso un attimino dallo yacht pacchiano dove pasteggia a ostriche e champagne con la moglie bona e calabrese per vestire il candido peplo del Messia e dirci come si fa.
A Otranto aveva la stessa aria saccente e fastidiosa di quando su una tv satellitare conduceva un programma dove insegnava ai miliardari come si fanno i soldi senza porsi troppi scrupoli etici. Idea rispettabile, come tante altre, ma un po' distante dal nostro comune sentire e dalla nostra percezione del reale. Ma, come si dice, “de gustibus” e comunque sarebbe bello per noi pezzenti apprendere l'arte di arricchire alla svelta.
I pugliesi sono un popolo ospitale, da millenni sacrificano a Xenia (la dea dell'accoglienza), per cui ascoltano tutti con curiosità e interesse: siamo gente educata. Però poi facciamo di testa nostra. E' il dna.
Il geniale imprenditore deve aprire un altro “Billionaire”, clone di quello in Costa Smeralda, in Salento (il “Twiga”, nei dintorni di Otranto, dove già ci sono il Club Mediterranèe e Valtur, non la pizzeria take away gestita da egiziani) e gli serve visibilità (non è mai troppa al tempo dell'apparire), per non finire sepolto nella jungla delle cartacce e della burocrazia, da noi rischi quotidiani che ammazzerebbero un cavallo.
Solo che si è informato male e ha fatto la figura del milite giapponese che esce dalla foresta anni dopo la fine della guerra, Eppure bastava una scorsa al Bignami sulla realtà turistica della Puglia per evitare figuracce.
La mamma non gli ha detto che la Puglia (Capitanata, Salento e, sorpresa!, anche Bari) sono trendy ormai da qualche anno, che le presenze sono in crescita e tutti vengono a ballare da noi (come suggeriva l'amato Caparezza). Anche senza i suoi esclusivi seminari (ed eventuali investimenti), i suoi master e stage ex cathedra.
Gli dèi ci hanno aiutati: abbiamo trovato un algoritmo che il mondo ci invidia, contaminando bellezze naturali e cultura, storia e tarante, qualità dei cibi e dei vini, gechi e briganti, municeddi e pasticciotti, gelati e pietre. Ci va bene così, è un incantesimo, guai a toccarlo, i turisti tornano, li fidelizziamo, perciò ringraziamo e restituiamo al mittente il decalogo di Briatore, non certo disinteressato.
Già l'incipit: “Voglio farvi capire come ragiona un ricco”, ci ha irritati un pochino, scoprendo l'acqua calda. Vuoi che qui, terra di conti e baroni che ai nostri avi han tolto le ossa di dosso facendoli lavorare per una cipolla amara e una manciata di legumi, non lo sappiamo?
E infatti appena hanno potuto hanno emigrato. E così anche noi figli e nipoti – coi loro sacrifici disumani - abbiamo studiato, fatto qualche buona lettura, togliendoci la sveglia dal collo.
L'irritazione si è accentuata e ci è quasi venuta l'orticaria quando la lectio magistralis del grande ha esposto la sua idea di turismo: volgare, violenta, oltre che elitaria, mentre noi abbiamo il copyright di un turismo soft, di massa (ma in certe zone anche d'élite, con nicchie di forestieri che ci scelgono per vacanze “alte”).
Ibridando tutto, abbiamo costruito, facendoci venire i calli alle mani, un modello di successo diventato un'eccellenza, con molti tentativi di imitazione, falliti, mentre in altre parti d'Italia c'è la recessione e perdono pil.
Per il Briatore-pensiero “non bastano mare e alberghetti. I turisti disposti a spendere si aspettano servizi, hotel di lusso, ristoranti di un certo livello...”.
Ignoriamo le letture nel suo background culturale: il Corriere dello Sport? I periodici di tette e culi dove la moglie non manca mai?
Bastava navigare un po' sul web per sapere che gli “alberghetti” e i ristoranti proletari, famigliari, ricevono buone recensioni, che in alcuni il booking va di anno in anno (la trattoria “da Iolanda” di Lucugnano, per esempio).
Le ottime scuole alberghiere ci danno poi grandi professionalità , i nostri chef sono premiati in tutto il mondo, richiesti e ben pagati, alcuni sono nei programmi tv. Diciamolo: abbiamo così tanta autostima che se Briatore cerca un garzone per i bagagli forse non lo troverà , ci crediam tutti divinità .
E' vero, abbiamo poche infrastrutture (aeroporti) ma questo è il “dono” delle classi politiche dell'ultimo secolo fatte di nullità e cialtroni che si parlano addosso nei talk show e che presto cacceremo a calci in culo.
E comunque tutto è perfettibile, e noi per primi ne siam consapevoli.
L'idea di turismo di Briatore fa scattare qualche allarme in noi. Cosa vuole di preciso? Privatizzare spiagge e scogliere, che invece sono beni comuni? Fare del territorio “zone rosse” inaccessibili ai comuni mortali che lavorano e producono il pil? L'allarme si alza di tono a leggere ancora il trucido verbo di Briatore: “Nè prati, né musei, ma lusso, servizi impeccabili e tanta movida”. Forse le sfugge caro Dottore che la movida di Gallipoli compete con Ibiza? I musei ce l'abbiamo e ne siamo orgogliosi ma magari lei è della scuola di Tremonti: “La cultura non dà da mangiare”. Sottinteso: il cul si, cioè la spazzatura della tv da mane a sera.
I nostri imprenditori potrebbero darle lezioni, o Sommo, spiegando che il successo spesso è ottenuto coi fichi secchi, partendo da zero e senza manco contributi pubblici. Non è affatto vero poi che se agli americani fai vedere un prato verde e basta dopo due giorni se ne vanno: dove l'ha letto su “Chi”? Ci sono, al contrario inglesi, tedeschi, ungheresi che non solo tornano a vedere i castelli e le grotte e i musei ma spesso prendono casa da noi. Li trattiamo bene e spesso ripartono in lacrime.
Potremmo poi fornire una lista di vip che sono qui da anni: da Helen Mirren a Staffan de Mistura, dalla new entry Madonna a Luciano De Crescenzo e tanti altri.
L'outing di Briatore (per D'Agostino duce massimo del “cafonal”) ci mette a disagio e ci fa sospettare: annunci come i suoi di solito sono propedeutici agli espropri: un tempo proletari, oggi capitalisti.
I ricchi che lei vorrebbe far venire noi li conosciamo bene: hanno l'arroganza dei colonialisti, pensano di trovare in Terra d'Otranto le liane e i rovi ovunque e che devono civilizzarci. Si sorprendono di trovare l'acqua e la luce (così li ha eruditi Bossi). Nella Terra del poeta Ennio e Tommaso Fiore, Salvemini e Nino Rota, De Nittis e Carmelo Bene, Martinez e Pitardi.
Si rinchiudono nelle nostre masserie, che han comprato per un boccon di pane. Volgari nello sbatterci in faccia la loro ricchezza. Ci guardano dall'alto in basso come avessimo l'anello al naso.
Il format del nostro turismo, lo sappiamo, è da affinare, ma da qui a farcene imporre un altro, estraneo alla vocazione del territorio, la sua cultura e i valori, passano anni-luce.
Ecco perché lei a Otranto non è stato applaudito: cercava ascari, ha trovato uomini. La claque doveva portarsela da Montecarlo o dai paradisi fiscali che ospitano le sue immense fortune.
Standing-ovation invece per quella signora che sul muso gli ha gridato: “Lei sta facendo un discorso schifoso!”. Condiviso! E chi ha aggiunto: “Il nostro patrimonio è il mare, la bellezza paesaggistica, la cultura”. Cultura, non cul-tura da settimanale rosa. Bellezze che difendiamo coi denti (contro le quattro corsie della SS 275, per esempio).
Applausi anche da parte di chi non può spendere 20mila euro a sera, come noi che per le vacanze abbiamo un budget di 20 euro al giorno, e ce lo facciamo bastare.
Né ci è piaciuta la frase “Il Sud è indietro di trent'anni”. Sarà , ma il Sud è barocco, complesso, non un monolite e pare a noi che lei è rimasto ai padroni delle ferriere, quelli che spingevano i bambini nelle miniere a lavorare 24 ore al giorno, che ne uscivano ciechi, come i cavalli. Solo che da allora molte rivoluzioni sono state fatte...
Non è la prima volta che sentiamo fare questi discorsi e non sarà l'ultima: anni fa li ce li propinò un certo Colaninno senza trovare audience. Solo che non avendo le conoscenze giuste non possiamo andare a dirlo, come ha fatto lei alla “Vita in diretta”.
Per cui, caro Mr. Billionaire, raccolga le sue mappe, si riprenda l'assegno e vada a ficcare il suo resort extralusso per pochi eletti da un'altra parte. Continueremo a far bene anche da soli e a godere delle nostre bellezze senza divieti e zone rosse, perché sono nostre, la sola eredità che abbiamo. E, come direbbe il grande, sublime Totò: Ci faccia il piacere!
A Otranto aveva la stessa aria saccente e fastidiosa di quando su una tv satellitare conduceva un programma dove insegnava ai miliardari come si fanno i soldi senza porsi troppi scrupoli etici. Idea rispettabile, come tante altre, ma un po' distante dal nostro comune sentire e dalla nostra percezione del reale. Ma, come si dice, “de gustibus” e comunque sarebbe bello per noi pezzenti apprendere l'arte di arricchire alla svelta.
I pugliesi sono un popolo ospitale, da millenni sacrificano a Xenia (la dea dell'accoglienza), per cui ascoltano tutti con curiosità e interesse: siamo gente educata. Però poi facciamo di testa nostra. E' il dna.
Il geniale imprenditore deve aprire un altro “Billionaire”, clone di quello in Costa Smeralda, in Salento (il “Twiga”, nei dintorni di Otranto, dove già ci sono il Club Mediterranèe e Valtur, non la pizzeria take away gestita da egiziani) e gli serve visibilità (non è mai troppa al tempo dell'apparire), per non finire sepolto nella jungla delle cartacce e della burocrazia, da noi rischi quotidiani che ammazzerebbero un cavallo.
Solo che si è informato male e ha fatto la figura del milite giapponese che esce dalla foresta anni dopo la fine della guerra, Eppure bastava una scorsa al Bignami sulla realtà turistica della Puglia per evitare figuracce.
La mamma non gli ha detto che la Puglia (Capitanata, Salento e, sorpresa!, anche Bari) sono trendy ormai da qualche anno, che le presenze sono in crescita e tutti vengono a ballare da noi (come suggeriva l'amato Caparezza). Anche senza i suoi esclusivi seminari (ed eventuali investimenti), i suoi master e stage ex cathedra.
Gli dèi ci hanno aiutati: abbiamo trovato un algoritmo che il mondo ci invidia, contaminando bellezze naturali e cultura, storia e tarante, qualità dei cibi e dei vini, gechi e briganti, municeddi e pasticciotti, gelati e pietre. Ci va bene così, è un incantesimo, guai a toccarlo, i turisti tornano, li fidelizziamo, perciò ringraziamo e restituiamo al mittente il decalogo di Briatore, non certo disinteressato.
Già l'incipit: “Voglio farvi capire come ragiona un ricco”, ci ha irritati un pochino, scoprendo l'acqua calda. Vuoi che qui, terra di conti e baroni che ai nostri avi han tolto le ossa di dosso facendoli lavorare per una cipolla amara e una manciata di legumi, non lo sappiamo?
E infatti appena hanno potuto hanno emigrato. E così anche noi figli e nipoti – coi loro sacrifici disumani - abbiamo studiato, fatto qualche buona lettura, togliendoci la sveglia dal collo.
L'irritazione si è accentuata e ci è quasi venuta l'orticaria quando la lectio magistralis del grande ha esposto la sua idea di turismo: volgare, violenta, oltre che elitaria, mentre noi abbiamo il copyright di un turismo soft, di massa (ma in certe zone anche d'élite, con nicchie di forestieri che ci scelgono per vacanze “alte”).
Ibridando tutto, abbiamo costruito, facendoci venire i calli alle mani, un modello di successo diventato un'eccellenza, con molti tentativi di imitazione, falliti, mentre in altre parti d'Italia c'è la recessione e perdono pil.
Per il Briatore-pensiero “non bastano mare e alberghetti. I turisti disposti a spendere si aspettano servizi, hotel di lusso, ristoranti di un certo livello...”.
Ignoriamo le letture nel suo background culturale: il Corriere dello Sport? I periodici di tette e culi dove la moglie non manca mai?
Bastava navigare un po' sul web per sapere che gli “alberghetti” e i ristoranti proletari, famigliari, ricevono buone recensioni, che in alcuni il booking va di anno in anno (la trattoria “da Iolanda” di Lucugnano, per esempio).
Le ottime scuole alberghiere ci danno poi grandi professionalità , i nostri chef sono premiati in tutto il mondo, richiesti e ben pagati, alcuni sono nei programmi tv. Diciamolo: abbiamo così tanta autostima che se Briatore cerca un garzone per i bagagli forse non lo troverà , ci crediam tutti divinità .
E' vero, abbiamo poche infrastrutture (aeroporti) ma questo è il “dono” delle classi politiche dell'ultimo secolo fatte di nullità e cialtroni che si parlano addosso nei talk show e che presto cacceremo a calci in culo.
E comunque tutto è perfettibile, e noi per primi ne siam consapevoli.
L'idea di turismo di Briatore fa scattare qualche allarme in noi. Cosa vuole di preciso? Privatizzare spiagge e scogliere, che invece sono beni comuni? Fare del territorio “zone rosse” inaccessibili ai comuni mortali che lavorano e producono il pil? L'allarme si alza di tono a leggere ancora il trucido verbo di Briatore: “Nè prati, né musei, ma lusso, servizi impeccabili e tanta movida”. Forse le sfugge caro Dottore che la movida di Gallipoli compete con Ibiza? I musei ce l'abbiamo e ne siamo orgogliosi ma magari lei è della scuola di Tremonti: “La cultura non dà da mangiare”. Sottinteso: il cul si, cioè la spazzatura della tv da mane a sera.
I nostri imprenditori potrebbero darle lezioni, o Sommo, spiegando che il successo spesso è ottenuto coi fichi secchi, partendo da zero e senza manco contributi pubblici. Non è affatto vero poi che se agli americani fai vedere un prato verde e basta dopo due giorni se ne vanno: dove l'ha letto su “Chi”? Ci sono, al contrario inglesi, tedeschi, ungheresi che non solo tornano a vedere i castelli e le grotte e i musei ma spesso prendono casa da noi. Li trattiamo bene e spesso ripartono in lacrime.
Potremmo poi fornire una lista di vip che sono qui da anni: da Helen Mirren a Staffan de Mistura, dalla new entry Madonna a Luciano De Crescenzo e tanti altri.
L'outing di Briatore (per D'Agostino duce massimo del “cafonal”) ci mette a disagio e ci fa sospettare: annunci come i suoi di solito sono propedeutici agli espropri: un tempo proletari, oggi capitalisti.
I ricchi che lei vorrebbe far venire noi li conosciamo bene: hanno l'arroganza dei colonialisti, pensano di trovare in Terra d'Otranto le liane e i rovi ovunque e che devono civilizzarci. Si sorprendono di trovare l'acqua e la luce (così li ha eruditi Bossi). Nella Terra del poeta Ennio e Tommaso Fiore, Salvemini e Nino Rota, De Nittis e Carmelo Bene, Martinez e Pitardi.
Si rinchiudono nelle nostre masserie, che han comprato per un boccon di pane. Volgari nello sbatterci in faccia la loro ricchezza. Ci guardano dall'alto in basso come avessimo l'anello al naso.
Il format del nostro turismo, lo sappiamo, è da affinare, ma da qui a farcene imporre un altro, estraneo alla vocazione del territorio, la sua cultura e i valori, passano anni-luce.
Ecco perché lei a Otranto non è stato applaudito: cercava ascari, ha trovato uomini. La claque doveva portarsela da Montecarlo o dai paradisi fiscali che ospitano le sue immense fortune.
Standing-ovation invece per quella signora che sul muso gli ha gridato: “Lei sta facendo un discorso schifoso!”. Condiviso! E chi ha aggiunto: “Il nostro patrimonio è il mare, la bellezza paesaggistica, la cultura”. Cultura, non cul-tura da settimanale rosa. Bellezze che difendiamo coi denti (contro le quattro corsie della SS 275, per esempio).
Applausi anche da parte di chi non può spendere 20mila euro a sera, come noi che per le vacanze abbiamo un budget di 20 euro al giorno, e ce lo facciamo bastare.
Né ci è piaciuta la frase “Il Sud è indietro di trent'anni”. Sarà , ma il Sud è barocco, complesso, non un monolite e pare a noi che lei è rimasto ai padroni delle ferriere, quelli che spingevano i bambini nelle miniere a lavorare 24 ore al giorno, che ne uscivano ciechi, come i cavalli. Solo che da allora molte rivoluzioni sono state fatte...
Non è la prima volta che sentiamo fare questi discorsi e non sarà l'ultima: anni fa li ce li propinò un certo Colaninno senza trovare audience. Solo che non avendo le conoscenze giuste non possiamo andare a dirlo, come ha fatto lei alla “Vita in diretta”.
Per cui, caro Mr. Billionaire, raccolga le sue mappe, si riprenda l'assegno e vada a ficcare il suo resort extralusso per pochi eletti da un'altra parte. Continueremo a far bene anche da soli e a godere delle nostre bellezze senza divieti e zone rosse, perché sono nostre, la sola eredità che abbiamo. E, come direbbe il grande, sublime Totò: Ci faccia il piacere!