di FRANCESCO GRECO - “Dei barbari afferrano questo cane, che in amicizia supera l'uomo in modo prodigioso, lo inchiodano su un tavolo, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene meseraiche. Scopri in lui tutti gli stessi organi della sensibilità che sono in te”.
L'Illuminismo sviluppò una componente animalista, demolendo l'antropocentrismo in chiave anticartesiana e anticlericale. Raccolse la sfida - e la rinnovò nella sua ampia epistemologia - dal mondo classico (Pitagora, “Fintanto che l'uomo continuerà a distruggere gli esseri viventi inferiori, non conoscerà mai né la salute né la pace”). Era stato il Cattolicesimo a negare al mondo animale sentimenti, emozioni, passioni: in definitiva un'anima. Ma i Lumi ristabilirono l'equilibrio fra uomini e bestie speculando e dilatando il principio di tolleranza, di umanesimo, di energia universale.
“Pensieri vegetariani” (Cosa c'è di più abominevole che nutrirsi continuamente di cadaveri?), Piano B Edizioni, Prato 2016, pp. 110, euro 12 (traduzione e cura di Anna Faro), si riprendono una serie di riflessioni dall'opera enciclopedica di Voltaire (Jean-Marie Arouet), mettendo fra l'altro in discussione l'antropocentrismo di derivazione cristiana (e non ci vuole molto...).
L'idea di empatia col mondo animale è così estesa alla convivenza dell'uomo con le bestie intorno, all'equilibrio interiore di cui può godere chi abbraccia questa “fede”, rinnegando ogni crudeltà gratuita, relativizzando “il cristianesimo della gola”. E indicando la via della responsabilità dell'uomo per il fatto di essere venuto al mondo, verso la terra generosa in cui vive e che lo nutre senza alcuna discriminazione con una varietà di erbe (biodiversità oggi minacciata dai cartelli delle multinazionali che vorrebbero sfamare il mondo con pochi semi, vendendo kit completi).
“Possiedono gli stessi organi grazie ai quali voi avete sensazioni (…) o attribuite un'anima spirituale a una pulce, a un verme, a un acaro...”. Un messaggio più che mai attuale oggi che abbiamo trasfigurato l'aggressione e il saccheggio della natura un modello di sviluppo che si sta rivelando suicida. Voltaire dunque - influenzato dai viaggi in India, sua “sponda ideale”, oltre che, come abbiamo visto, da Pitagora citato da Ovidio nelle “Metamorfosi” - antesignano del pensiero “verde” e da Porfirio.
E questi piccoli saggi lo svelano senza remore. Datandolo, però dal 1762, e quindi il filosofo razionalista ebbe una sorta di “folgorazione” (un po' come Tolstoj), fino a diventare del tutto vegetariano, a inorridire per la violenza sulle bestie ridotte ad “automata” (privi di sensazioni).
Più va avanti negli anni, più radicalizza la sua visione, la estremizza, la arricchisce di nuovi contenuti, la alimenta con un furore escatologico trovando addentellati dialettici e teorici nel passato. Deliziosa l'introduzione di Anna Faro, abilissima nel darci un Voltaire di sconcertante attualità, e facendoci sentire in colpa per qualche bistecca rosicchiata nella nostra vita vegetariana (ma aliena dal parossismo vegano): una conquista per chi è stato svezzato a pane e mortadella, la carne dei poveri.
L'Illuminismo sviluppò una componente animalista, demolendo l'antropocentrismo in chiave anticartesiana e anticlericale. Raccolse la sfida - e la rinnovò nella sua ampia epistemologia - dal mondo classico (Pitagora, “Fintanto che l'uomo continuerà a distruggere gli esseri viventi inferiori, non conoscerà mai né la salute né la pace”). Era stato il Cattolicesimo a negare al mondo animale sentimenti, emozioni, passioni: in definitiva un'anima. Ma i Lumi ristabilirono l'equilibrio fra uomini e bestie speculando e dilatando il principio di tolleranza, di umanesimo, di energia universale.
“Pensieri vegetariani” (Cosa c'è di più abominevole che nutrirsi continuamente di cadaveri?), Piano B Edizioni, Prato 2016, pp. 110, euro 12 (traduzione e cura di Anna Faro), si riprendono una serie di riflessioni dall'opera enciclopedica di Voltaire (Jean-Marie Arouet), mettendo fra l'altro in discussione l'antropocentrismo di derivazione cristiana (e non ci vuole molto...).
L'idea di empatia col mondo animale è così estesa alla convivenza dell'uomo con le bestie intorno, all'equilibrio interiore di cui può godere chi abbraccia questa “fede”, rinnegando ogni crudeltà gratuita, relativizzando “il cristianesimo della gola”. E indicando la via della responsabilità dell'uomo per il fatto di essere venuto al mondo, verso la terra generosa in cui vive e che lo nutre senza alcuna discriminazione con una varietà di erbe (biodiversità oggi minacciata dai cartelli delle multinazionali che vorrebbero sfamare il mondo con pochi semi, vendendo kit completi).
“Possiedono gli stessi organi grazie ai quali voi avete sensazioni (…) o attribuite un'anima spirituale a una pulce, a un verme, a un acaro...”. Un messaggio più che mai attuale oggi che abbiamo trasfigurato l'aggressione e il saccheggio della natura un modello di sviluppo che si sta rivelando suicida. Voltaire dunque - influenzato dai viaggi in India, sua “sponda ideale”, oltre che, come abbiamo visto, da Pitagora citato da Ovidio nelle “Metamorfosi” - antesignano del pensiero “verde” e da Porfirio.
E questi piccoli saggi lo svelano senza remore. Datandolo, però dal 1762, e quindi il filosofo razionalista ebbe una sorta di “folgorazione” (un po' come Tolstoj), fino a diventare del tutto vegetariano, a inorridire per la violenza sulle bestie ridotte ad “automata” (privi di sensazioni).
Più va avanti negli anni, più radicalizza la sua visione, la estremizza, la arricchisce di nuovi contenuti, la alimenta con un furore escatologico trovando addentellati dialettici e teorici nel passato. Deliziosa l'introduzione di Anna Faro, abilissima nel darci un Voltaire di sconcertante attualità, e facendoci sentire in colpa per qualche bistecca rosicchiata nella nostra vita vegetariana (ma aliena dal parossismo vegano): una conquista per chi è stato svezzato a pane e mortadella, la carne dei poveri.