BARI – Sono ben 13.147 le imprese artigiane in Puglia che operano nei settori della riparazione, manutenzione, riciclo e recupero dei materiali. Rappresentano il 18,6 del totale delle aziende artigiane.
E’ quanto rileva il Centro studi di Confartigianato Imprese Puglia che ha condotto un’indagine sull’economia cosiddetta «circolare».
In particolare, la logica dell’economia circolare prevede che i prodotti siano progettati, realizzati e gestiti in modo da trasformare i rifiuti in risorse, grazie ad una serie di accorgimenti lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. Tra gli interventi figurano la sostituzione delle materie pericolose o difficili da riciclare nei processi di produzione; la progettazione eco-compatibile di prodotti facili da mantenere in buono stato, da riparare, ammodernare o rifabbricare; lo sviluppo di servizi di manutenzione e riparazione rivolti ai consumatori; la riduzione della quantità di materie prime necessarie; la diminuzione del consumo di energia nelle fasi di produzione; gli incentivi per l’adozione di sistemi di raccolta differenziata che possano contenere, al minimo, i costi di riciclaggio e riutilizzo; la simbiosi industriale che favorisce il raggruppamento di attività per evitare che i sottoprodotti diventino rifiuti.
Dallo studio risulta che la provincia di Bari con le sue 5.600 aziende è quella che esprime il tasso più elevato di economia circolare tra le province pugliesi; seguono Lecce (3.352), Foggia (1.714), Taranto (1.248) e Brindisi (1.233).
In Italia, nel settore manifatturiero e nei servizi un’azienda artigiana con dipendenti su quattro effettua investimenti in prodotti e tecnologie green a maggior risparmio energetico o minor impatto ambientale. In Puglia, nel manifatturiero si contano 2.104 imprese green, pari al 31,4 per cento del totale delle aziende manifatturiere, mentre nei servizi ce ne sono 2.422, ovvero il 22,8 per cento del totale di quelle che erogano servizi. Su base provinciale, si conferma Bari con 1.479 imprese green, seguita da Lecce (1.044), Foggia (499), Taranto (467) e Brindisi (419).
«La crescita delle attività riconducibili all’economia circolare – commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia – racconta di una rinnovata coscienza imprenditoriale, specie nel mondo della piccola impresa. Impostare il ciclo produttivo in modo da minimizzare gli scarti e valorizzarne il riutilizzo è divenuto un imperativo non solo per questioni di carattere ambientale e di sostenibilità delle produzioni, ma anche per ragioni di carattere squisitamente economico. Gli imprenditori – specie gli artigiani, per i quali l’economia del “riuso” rappresenta da sempre un valore caratterizzante – hanno perfettamente capito la convenienza di questo modus operandi e lo stanno applicando su larga scala.
In questo – spiega Sgherza – giocano un ruolo fondamentale le nuove tecnologie. In Puglia stiamo assistendo ad un fiorire di giovani startup che applicano in maniera scientifica i principi dell’economia circolare, conferendo valore aggiunto anche a settori c.d. “maturi” come quelli dell’agroalimentare, del tessile, o del lapideo. Processi produttivi che consentono di ricavare proteine nobili dal siero scartato dai caseifici o di riutilizzare le polveri di risulta di una marmeria per creare nuovi materiali sono solo un esempio di come si possa trasformare un problema ecologico in una nuova fonte di business.
Come Confartigianato – conclude Sgherza – siamo impegnati sul campo per fornire a queste aziende innovative un supporto pratico e fattivo. Allo stesso modo, stimoliamo la Regione Puglia affinché metta a loro disposizione gli strumenti necessari per crescere, nella consapevolezza del ruolo strategico che queste nuove realtà ricoprono per lo sviluppo del nostro tessuto produttivo».
Va detto che, in Italia, la metà circa delle imprese con meno di 250 addetti, ha minimizzato gli sprechi riciclando o riutilizzando rifiuti o vendendoli ad un’altra impresa. Un terzo ha ricalibrato l’uso dell’energia per minimizzare i consumi, il 29 per cento ha rinnovato prodotti e servizi per contenere l’uso dei materiali o utilizzando materiali riciclati, il 15 per cento ha ridotto l’utilizzo di acqua e il 14 per cento ricorre in via esclusiva alle energie rinnovabili. Il 40 per cento delle micro e piccole imprese, fino a 20 addetti, si occupa di riparazione dei prodotti ed il 15,8 per cento di rigenerazione dei prodotti.
Anche grazie a questi accorgimenti, l’Italia si posiziona al penultimo posto nell’Unione europea per quantità di rifiuti pro-capite generati da imprese e famiglie con 2.734 chili per abitante contro la media europea di 4.982 chili per abitante. Inoltre le emissioni di anidride carbonica sono inferiori del 22 per cento rispetto alla media europea.
E’ quanto rileva il Centro studi di Confartigianato Imprese Puglia che ha condotto un’indagine sull’economia cosiddetta «circolare».
In particolare, la logica dell’economia circolare prevede che i prodotti siano progettati, realizzati e gestiti in modo da trasformare i rifiuti in risorse, grazie ad una serie di accorgimenti lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. Tra gli interventi figurano la sostituzione delle materie pericolose o difficili da riciclare nei processi di produzione; la progettazione eco-compatibile di prodotti facili da mantenere in buono stato, da riparare, ammodernare o rifabbricare; lo sviluppo di servizi di manutenzione e riparazione rivolti ai consumatori; la riduzione della quantità di materie prime necessarie; la diminuzione del consumo di energia nelle fasi di produzione; gli incentivi per l’adozione di sistemi di raccolta differenziata che possano contenere, al minimo, i costi di riciclaggio e riutilizzo; la simbiosi industriale che favorisce il raggruppamento di attività per evitare che i sottoprodotti diventino rifiuti.
Dallo studio risulta che la provincia di Bari con le sue 5.600 aziende è quella che esprime il tasso più elevato di economia circolare tra le province pugliesi; seguono Lecce (3.352), Foggia (1.714), Taranto (1.248) e Brindisi (1.233).
In Italia, nel settore manifatturiero e nei servizi un’azienda artigiana con dipendenti su quattro effettua investimenti in prodotti e tecnologie green a maggior risparmio energetico o minor impatto ambientale. In Puglia, nel manifatturiero si contano 2.104 imprese green, pari al 31,4 per cento del totale delle aziende manifatturiere, mentre nei servizi ce ne sono 2.422, ovvero il 22,8 per cento del totale di quelle che erogano servizi. Su base provinciale, si conferma Bari con 1.479 imprese green, seguita da Lecce (1.044), Foggia (499), Taranto (467) e Brindisi (419).
«La crescita delle attività riconducibili all’economia circolare – commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia – racconta di una rinnovata coscienza imprenditoriale, specie nel mondo della piccola impresa. Impostare il ciclo produttivo in modo da minimizzare gli scarti e valorizzarne il riutilizzo è divenuto un imperativo non solo per questioni di carattere ambientale e di sostenibilità delle produzioni, ma anche per ragioni di carattere squisitamente economico. Gli imprenditori – specie gli artigiani, per i quali l’economia del “riuso” rappresenta da sempre un valore caratterizzante – hanno perfettamente capito la convenienza di questo modus operandi e lo stanno applicando su larga scala.
In questo – spiega Sgherza – giocano un ruolo fondamentale le nuove tecnologie. In Puglia stiamo assistendo ad un fiorire di giovani startup che applicano in maniera scientifica i principi dell’economia circolare, conferendo valore aggiunto anche a settori c.d. “maturi” come quelli dell’agroalimentare, del tessile, o del lapideo. Processi produttivi che consentono di ricavare proteine nobili dal siero scartato dai caseifici o di riutilizzare le polveri di risulta di una marmeria per creare nuovi materiali sono solo un esempio di come si possa trasformare un problema ecologico in una nuova fonte di business.
Come Confartigianato – conclude Sgherza – siamo impegnati sul campo per fornire a queste aziende innovative un supporto pratico e fattivo. Allo stesso modo, stimoliamo la Regione Puglia affinché metta a loro disposizione gli strumenti necessari per crescere, nella consapevolezza del ruolo strategico che queste nuove realtà ricoprono per lo sviluppo del nostro tessuto produttivo».
Va detto che, in Italia, la metà circa delle imprese con meno di 250 addetti, ha minimizzato gli sprechi riciclando o riutilizzando rifiuti o vendendoli ad un’altra impresa. Un terzo ha ricalibrato l’uso dell’energia per minimizzare i consumi, il 29 per cento ha rinnovato prodotti e servizi per contenere l’uso dei materiali o utilizzando materiali riciclati, il 15 per cento ha ridotto l’utilizzo di acqua e il 14 per cento ricorre in via esclusiva alle energie rinnovabili. Il 40 per cento delle micro e piccole imprese, fino a 20 addetti, si occupa di riparazione dei prodotti ed il 15,8 per cento di rigenerazione dei prodotti.
Anche grazie a questi accorgimenti, l’Italia si posiziona al penultimo posto nell’Unione europea per quantità di rifiuti pro-capite generati da imprese e famiglie con 2.734 chili per abitante contro la media europea di 4.982 chili per abitante. Inoltre le emissioni di anidride carbonica sono inferiori del 22 per cento rispetto alla media europea.