San Nicola tra mito, realtà e curiosità
di VITTORIO POLITO - San Nicola è uno dei Santi più popolari del calendario liturgico. La sua personalità storica, ben conosciuta, non spiega interamente il culto che gli fu reso in tutta l’Europa. Vescovo di Myra in Licia nel IV secolo fu uno dei grandi artefici del Concilio di Nicea che fissò i punti della fede cristiana nel Credo. Ma proviamo a vedere il significato del nome Nicola che l’etimologia lo fa provenire dal greco nikān (vincere) e laos (popolo).
Se questo nome, sin dall’antichità, ha conosciuto un tale successo in così tanti paesi è senza dubbio perché porta fortuna. È come una pioggia di doni, un capitale d’inestimabile valore. Volitivo fino alla testardaggine, assai poco preoccupato dell’opinione altrui, non è sicuro che il successo professionale lo attira. Si sente certo di vivere a modo suo, l’originalità non lo spaventa, mentre le sue risorse personali sono sufficienti ad affrontare le situazioni. Sottile, eloquente, abile a sbrogliare i problemi più complessi, si sente a suo agio nel campo delle scienze astratte o della metafisica, così come nella politica e negli affari.
Cronache e leggende intorno a San Nicola sono numerose, per la maggior parte conosciute, ma quella del piccolo Adeodato, forse, è la meno nota e viene ricordata da padre Gerardo Cioffari nel libro “Vicoli e Santi” (Levante Editori), nel capitolo dedicato agli “Elementi narrativi dell’iconografia nicolaiana”. Il bellissimo Adeodato, che in certe iconografie lo vediamo in piedi con una coppa in mano, fu rapito dai crudeli saraceni, divenendo coppiere di un ricco principe e che Carlo Rosa, pittore del XVII secolo, fastosamente affrescò sul soffitto della Basilica di Bari. Ma, un giorno, il giovane, mentre ricordava con nostalgia la festa nicolaiana, si levò un vento furioso, si spalancò il tetto e San Nicola irruppe dal cielo nel covo del principe, afferrò Adeodato e volando per mari, terre e monti, lo riportò nel giardino della sua casa riconsegnandolo alla madre. L’episodio di Adeodato fu anche messo in scena nel XII secolo. La più antica drammatizzazione dell’episodio che è giunta a noi è quella contenuta nel libro “Fleury play-book”.
Una curiosità è rappresentata dal “Tesoro di San Nicola”, che i baresi hanno costituito a partire dall’arrivo dei suoi resti a Bari, ma istituito ufficialmente nel 1296. Esso è nato grazie soprattutto ai numerosi e ricchi doni che re e principi offrivano al Santo, per riverenza pia e religiosa ed anche per ingraziarsi il popolo. Come tutti i tesori anche quello di San Nicola è stato cercato e sottratto nel 1480 dai Turchi e nel 1494 da Carlo III di Francia.
Ancora oggi si possono ammirare pregevoli paramenti sacri, tovaglie d’altare, vetri della manna, croci d’argento, corone, gioielli, libri sacri antichissimi, reliquari particolari nei quali sono conservati i pezzetti di cera delle candele che prodigiosamente si accesero il Sabato Santo nel Sacro Sepolcro col fuoco del cielo, le pietre del Calvario e quelle con cui è stato lapidato Santo Stefano.
Uno dei più importanti regali che Carlo D’Angiò fece alla città di Bari fu una grande campana, che installata dapprima su una delle torri della Basilica, fu successivamente rimossa per il grande frastuono che arrecava ai cittadini e, rifusa, se ne fecero due più piccole che attualmente si odono sul campanile della Basilica.
Del Tesoro fa parte anche il pastorale vescovile dell’Abate Elia, fatto di avorio intagliato e lungo circa 112 cm. La peculiarità è che l’avorio non proviene, come si potrebbe pensare dall’elefante, dal momento che non potrebbe fornire una simile lunghezza, ma da un dente di tricheco.
Per concludere, una riflessione di Michele Campione che si domanda: “Che cosa si può chiedere al Santo Taumaturgo che può operare miracoli e prodigi, sospendere le leggi della natura, domare i venti ed il mare, placare gli abissi senza fine delle tempeste e sconfiggere per sempre il Male che corrompe il cuore degli uomini? Si può chiedere la Fede. Si può sollecitare la Carità che, come dice San Paolo, tutto può. Si può impetrare la Misericordia. Ed alla Santità, alleata della salvezza, ci si può affidare totalmente con serena gioia”.
Se questo nome, sin dall’antichità, ha conosciuto un tale successo in così tanti paesi è senza dubbio perché porta fortuna. È come una pioggia di doni, un capitale d’inestimabile valore. Volitivo fino alla testardaggine, assai poco preoccupato dell’opinione altrui, non è sicuro che il successo professionale lo attira. Si sente certo di vivere a modo suo, l’originalità non lo spaventa, mentre le sue risorse personali sono sufficienti ad affrontare le situazioni. Sottile, eloquente, abile a sbrogliare i problemi più complessi, si sente a suo agio nel campo delle scienze astratte o della metafisica, così come nella politica e negli affari.
Cronache e leggende intorno a San Nicola sono numerose, per la maggior parte conosciute, ma quella del piccolo Adeodato, forse, è la meno nota e viene ricordata da padre Gerardo Cioffari nel libro “Vicoli e Santi” (Levante Editori), nel capitolo dedicato agli “Elementi narrativi dell’iconografia nicolaiana”. Il bellissimo Adeodato, che in certe iconografie lo vediamo in piedi con una coppa in mano, fu rapito dai crudeli saraceni, divenendo coppiere di un ricco principe e che Carlo Rosa, pittore del XVII secolo, fastosamente affrescò sul soffitto della Basilica di Bari. Ma, un giorno, il giovane, mentre ricordava con nostalgia la festa nicolaiana, si levò un vento furioso, si spalancò il tetto e San Nicola irruppe dal cielo nel covo del principe, afferrò Adeodato e volando per mari, terre e monti, lo riportò nel giardino della sua casa riconsegnandolo alla madre. L’episodio di Adeodato fu anche messo in scena nel XII secolo. La più antica drammatizzazione dell’episodio che è giunta a noi è quella contenuta nel libro “Fleury play-book”.
Una curiosità è rappresentata dal “Tesoro di San Nicola”, che i baresi hanno costituito a partire dall’arrivo dei suoi resti a Bari, ma istituito ufficialmente nel 1296. Esso è nato grazie soprattutto ai numerosi e ricchi doni che re e principi offrivano al Santo, per riverenza pia e religiosa ed anche per ingraziarsi il popolo. Come tutti i tesori anche quello di San Nicola è stato cercato e sottratto nel 1480 dai Turchi e nel 1494 da Carlo III di Francia.
Ancora oggi si possono ammirare pregevoli paramenti sacri, tovaglie d’altare, vetri della manna, croci d’argento, corone, gioielli, libri sacri antichissimi, reliquari particolari nei quali sono conservati i pezzetti di cera delle candele che prodigiosamente si accesero il Sabato Santo nel Sacro Sepolcro col fuoco del cielo, le pietre del Calvario e quelle con cui è stato lapidato Santo Stefano.
Uno dei più importanti regali che Carlo D’Angiò fece alla città di Bari fu una grande campana, che installata dapprima su una delle torri della Basilica, fu successivamente rimossa per il grande frastuono che arrecava ai cittadini e, rifusa, se ne fecero due più piccole che attualmente si odono sul campanile della Basilica.
Del Tesoro fa parte anche il pastorale vescovile dell’Abate Elia, fatto di avorio intagliato e lungo circa 112 cm. La peculiarità è che l’avorio non proviene, come si potrebbe pensare dall’elefante, dal momento che non potrebbe fornire una simile lunghezza, ma da un dente di tricheco.
Per concludere, una riflessione di Michele Campione che si domanda: “Che cosa si può chiedere al Santo Taumaturgo che può operare miracoli e prodigi, sospendere le leggi della natura, domare i venti ed il mare, placare gli abissi senza fine delle tempeste e sconfiggere per sempre il Male che corrompe il cuore degli uomini? Si può chiedere la Fede. Si può sollecitare la Carità che, come dice San Paolo, tutto può. Si può impetrare la Misericordia. Ed alla Santità, alleata della salvezza, ci si può affidare totalmente con serena gioia”.