di VITTORIO POLITO - Mi capita fra le mani un libro di poesie in dialetto barese di Arturo Santoro (1902-1988), un poeta con all’attivo diverse centinaia di poesie in dialetto barese dagli argomenti più disparati. Ha pubblicato diverse antologie, alcune recenti a cura del figlio Armando, ove ci si delizia per i numerosi argomenti trattati. Don Arturo era un operatore economico affermatosi nel settore delle drapperie (tessuti per uomo), ed a causa delle notti tragiche del 1943, si rifugiò con la famiglia in un ricovero antiaereo. Rendendosi conto dell’immane disastro che la guerra stava provocando al nostro Paese, preso dallo sconforto, trovò lo sfogo nei versi suggeriti dalla sua lingua madre: il dialetto barese.
Le sue innumerevoli poesie trattano gli argomenti più vari: dalla guerra, alle campagne elettorali, agli animali inutili, ai mestieri della strada, all’artigianato che scompare, agli sfottò in famiglia, ecc. Insomma era considerato “Il Trilussa dei baresi”.
Maria Marcone (1931-2014), nota scrittrice foggiana, ma barese di adozione, la cui produzione letteraria è nota tutto il mondo, nella prefazione di uno dei suoi libri (Parlann sule sule” - Edizioni Interventi Culturali), scrive: «Grazie ai versi di Santoro io e i miei figli, che eravamo “forestieri” abbiamo preso confidenza con la lingua dei baresi, ma soprattutto col loro modo di vedere e di pensare, al positivo, al meglio, naturalmente, perché il poeta ce ne offriva un distillato, il più schietto e incorrotto possibile. Il dialetto è facile parlarlo per chi lo possiede, ma è tutt’altra cosa scriverlo e la grafia è arte complicata e difficile, cui si può dedicare solo chi sa coglierne tutta la ricchezza sulla bocca dei parlanti, ma soprattutto nel cuore antico della sua storia secolare. Santoro ha tale sensibilità linguistica che riesce a rappresentare anche l’italiano sporco di un barese che vuole parlare pulito, e i risultati sono tutti da gustare; come sono da gustare la musicalità , le assonanze, le metafore, i traslati, usati sempre a proposito”.
Il Comune di Bari con delibera n. 513 del 10 giugno 2006 attribuì all’unanimità ad Arturo Santoro, poeta dialettale barese, una strada a suo nome nel quartiere San Girolamo. Un meritato riconoscimento al dialetto e ad un figlio di Bari.
Tra le tantissime poesie di Arturo Santoro mi piace ricordare “Il giornale del padrone” (1957), pubblicata su “Le piaghe di Bari” (1978), con ogni probabilità riferita ad un quotidiano barese, forse il più diffuso, nel periodo in cui, gli anni ’50, furono quelli della guerra fredda, tra USA ed URSS, caratterizzati dalla corsa agli armamenti e dal Maccartismo in USA, e che lo stesso quotidiano, a cui si riferisce Santoro, fu uno dei pochi giornali a non prendere mai posizione.
Le sue innumerevoli poesie trattano gli argomenti più vari: dalla guerra, alle campagne elettorali, agli animali inutili, ai mestieri della strada, all’artigianato che scompare, agli sfottò in famiglia, ecc. Insomma era considerato “Il Trilussa dei baresi”.
Maria Marcone (1931-2014), nota scrittrice foggiana, ma barese di adozione, la cui produzione letteraria è nota tutto il mondo, nella prefazione di uno dei suoi libri (Parlann sule sule” - Edizioni Interventi Culturali), scrive: «Grazie ai versi di Santoro io e i miei figli, che eravamo “forestieri” abbiamo preso confidenza con la lingua dei baresi, ma soprattutto col loro modo di vedere e di pensare, al positivo, al meglio, naturalmente, perché il poeta ce ne offriva un distillato, il più schietto e incorrotto possibile. Il dialetto è facile parlarlo per chi lo possiede, ma è tutt’altra cosa scriverlo e la grafia è arte complicata e difficile, cui si può dedicare solo chi sa coglierne tutta la ricchezza sulla bocca dei parlanti, ma soprattutto nel cuore antico della sua storia secolare. Santoro ha tale sensibilità linguistica che riesce a rappresentare anche l’italiano sporco di un barese che vuole parlare pulito, e i risultati sono tutti da gustare; come sono da gustare la musicalità , le assonanze, le metafore, i traslati, usati sempre a proposito”.
Il Comune di Bari con delibera n. 513 del 10 giugno 2006 attribuì all’unanimità ad Arturo Santoro, poeta dialettale barese, una strada a suo nome nel quartiere San Girolamo. Un meritato riconoscimento al dialetto e ad un figlio di Bari.
Tra le tantissime poesie di Arturo Santoro mi piace ricordare “Il giornale del padrone” (1957), pubblicata su “Le piaghe di Bari” (1978), con ogni probabilità riferita ad un quotidiano barese, forse il più diffuso, nel periodo in cui, gli anni ’50, furono quelli della guerra fredda, tra USA ed URSS, caratterizzati dalla corsa agli armamenti e dal Maccartismo in USA, e che lo stesso quotidiano, a cui si riferisce Santoro, fu uno dei pochi giornali a non prendere mai posizione.
IL GIORNALE DEL PADRONE
di Arturo Santoro
Tenìm’a Bà re nu giornà le,
nu giornà le spresedùte,
spresedùte, tà l’e quà le
o lemòne già spremùte.
Ce sapièss quà nd’è ‘nzùlze,
senza sùche, senza sjìnze,
malalèngue, velenùse
(e bescià rd) mà ngh’u pjìnze.
Non te dìsce na paròle,
na paròle pe la pà sce,
appìccia-fuèche, semb’amà re,
tùtt uà st, tùtt sfrà sce.
U sapìme stù giornà le,
ca se stà mb’a stu pajìse,
u sapìme da tand’à nn,
ca volèss jèss ‘mbìse!
Stu giornale jè nu sèrv,
sèrv scème de patrùne,
ca p’u rèst non ge pènz,
a ci sòffr’e stà desciùne!
Jère sèrv pur’apprìme,
prim’angòre d’u fascìst,
leccapià tt d’u patrùne,
u patrùne capetalìst!
E pe fà u servetòre,
sòne sèmb na cambà ne,
ma remane sèmb sèrv,
sèrv scème, vasa-mà ne!
Pure mò ca s’aspètt,
de petè parlà de pà sce,
stu giornale maledètt,
de ce còse jè capà sce.
Se destùrb a stà sperà nz,
e vòle fà u speretùse,
scètt fuèche de la pènn,
fà sce angòr’u velenùse:
invènd trùcch’e fà sce dà nn,
pe sterdèsce le crestià ne,
che la trùff e che le ‘ngà nn!
Ma sperià me ca la pà sce,
pà sce vèra vòle jèss,
e ca rèst stù giornale,
sverghegnà te com’o fèss!!