OPINIONI. Enigma-Gentiloni: avatar o protagonista?
di FRANCESCO GRECO - Avatar? Clone? Prestanome? E quando mai? Il neo primo ministro, conte Paolo Gentiloni Silveri, al contrario, a Palazzo Chigi ci resterà sino alla scadenza naturale della legislatura. Il programma illustrato alla Camera lo dice al di là di ogni ragionevole dubbio.
Non solo, ma si creerà un proprio profilo, approfittando della contingenza per fare il salto da comparsa – benché doc - a protagonista.
All'inizio del percorso sarà in continuità, ma quando la barca prenderà il largo lascerà la sua impronta. Perché ha del suo, ha filo per tessere la tela.
Innanzitutto è intellettualmente onesto, e poi è un vero progressista. Potrebbe essere il Tony Blair italiano, capace di rinnovare la sinistra e modernizzare il Paese. Potrebbe.
Renzi pensa di averlo messo là per tenergli calda la minestra ma, come dice un vecchio proverbio del Sud “I calcoli anticipati sono una perdita di tempo”.
E comunque è una lettura approssimativa, superficiale, da bar sport: la politica non è il presepe, che alla Befana ritrovi i pupi dove li hai messi all'Immacolata. E' soggetta a mille e più umori, decisa da strane coincidenze, intersezioni insospettate, contingenze improvvise, interessi palesi o carsici, nodi gordiani, e anche trappole.
Basti fare una semplice osservazione. Gentiloni è descritto come un Candido di Voltaire, ma è astuto come un serpente: non si è fatto imbrigliare dalle correnti del Pd, anche se questo può non voler dire nulla.
E comunque è un politico navigato, ma ancora tutto da decifrare, nonostante non abbia i denti da latte da un bel pò.
L'ex premier se n'è già accorto a dar retta ai retroscenisti, mestiere ormai meno credibile delle peripatetiche. Che gli metta alle calcagna Luca Lotti e la Boschi servirà a poco. Se in attesa del 24 gennaio (la Consulta sull'Italicum) non metterà subito all'odg la riforma elettorale ma ben altre emergenze (il Mezzogiorno, per dire, come ha fatto nel discorso a Montecitorio), avrà già marcato una prima distanza dal suo mèntore (che sta scrivendo un libro). E che intende metterci del suo lo ha già mostrato scaricando Ala di Verdini che voleva la Sanità.
Il presidente del Pd Matteo Orfini ha annusato la cosa e ha chiosato, acido: “E' inconcepibile che il nuovo esecutivo sia di legislatura”.
E invece proprio lì si andrà a parare, è nella logica delle cose.
Son più di 600 i deputati di prima nomina che matureranno la pensione (4 anni, 6 mesi e un giorno) a settembre 2017. Saranno così masochisti da andarsene qualche mese prima? I bookmaker accettano puntate.
Ovvio, si inventeranno un G8 in arrivo, un vertice alle porte, la visita di Trump o della Merkel, la legge di stabilità da acconciare o la finale di Champions pur di non schiodare dallo scranno e andare a lavorare. Chiamali scemi!
Anche perché col proporzionale nell'aria dovranno tacchinare per cercarsi i voti uno a uno, quelli che saranno ricandidati. Ma il ritorno al passato (fra aristocrazia e Dc della prima e seconda ora) serve anche a stanare Grillo, costringerlo a sporcarsi con qualche alleanza: non si può vivere eternamente nel limbo.
D'altronde, è la vendetta della dea Nèmesi: chi di spada ferisce, di spada perisce. Il governo Renzi, nel 2014, doveva solo approvare la riforma elettorale e portare il Paese al voto. Invece, appoggiandosi prima a Berlusconi (patto del Nazareno) e poi a Verdini (Ala), ha resistito ben 1000 giorni prima di essere scacciato dal popolo del “No” al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Il curriculum di Gentiloni è polisemico: dall'”eskimo innocente” (Guccini) al grigio blazer serioso. Parte giornalista (”Manifesto”), movimentista nel 1968 (extraparlamentare a Milano con Mario Capanna), poi ambientalista (direzione di “Nuova Ecologia”), quindi con Rutelli (2000) a gestire il Giubileo, tra i fondatori della Margherita, ministro della Comunicazione (2006 con Prodi), è anche tra i “padri” del Pd.
Il neo-premier è di origini marchigiane. Il più illustre è Leopardi, che siamo riusciti a banalizzare come filosofo riducendolo a un fidanzatino brufoloso che vuole la Silvia.
Un altro marchigiano è Arnaldo Forlani, detto “Coniglio Mannaro”, prima repubblica: finì umiliato, con le bave alla bocca davanti ai giudici di Mani Pulite: non ricordava dove la Dc prendeva i denari. Anche Bruno Vespa è di quelle parti: sommelier di tutti i pasti, commensale di tutte le cene, anche quella delle beffe, a ogni libro che scrive tracima da tutte le tv, libere, private, commissariate. Noi scrittori di provincia per i nostri libelli invochiamo un po' di par condicio. Vive in affitto in una casa del Vaticano, a equo canone: 10mila euro al mese: è grande quanto quella di del Cardinal Bertone.
Il M5S, la Lega e la Meloni dunque sbagliano (anche con l'Aventino, è sempre meglio confrontarsi nel merito): Gentiloni non è un avatar con la cuffia nelle orecchie a prendere desiderata, non sarà eterodiretto da chicchessia. Renzi si pentirà amaramente di non averlo intuito e averlo spinto da Mattarella sacrificando Franceschini spacciato per complottista.
Intanto porterà alla fine la legislatura, poi sà Dio a chi dare i guai e della serie “L'appetito vien mangiando”, si vedrà, ma noi consegnerà le chiavi a Renzi: il passato di Gentiloni parla per lui.
In tutte le scuole politiche, da Sun-Tzu a Cicerone, lo insegnano: la gratitudine non è una categoria della politica che, al contrario, è cosparsa di parricidi.
Vogliamo ricordarne qualcuno? Cominciamo dalle Idi di marzo: Cesare ha conquistato le Gallie, ma non basta a evitare i pugnali.
Giuliano Amato fu inventato da Bettino Craxi, ma al suo funerale (gennaio 2000) non ci andò: “Ho perso l'aereo”, disse ai giornali. Poteva prendere quello successivo. Claudio Martelli era il “delfino” dello statista socialista, e quando si accorse che il Psi stava franando, si mise a giocare in proprio invece di difenderlo da Guardasigilli.
Raffaele Fitto fu la “protesi” di Berlusconi. Oggi se n'è andato e si è incartato nel mantra “Primarie subito” nella folle illusione di vincerle. Ognuno è padrone dei propri deliri. Anche Alfano si faceva piedino era con l'ex Cavaliere: ciò non gli ha impedito di andarsene e fondare un nuovo partito-cespuglio, Ncd, che alle prossime elezioni metterà i candidati direttamente nel Pd.
Matteo Orfini si annoiava al circolo Pd di piazza Mazzini (Roma) quando D'Alema gli diede visibilità. Ma la gratitudine non è di questo mondo: è quello che scortica di più il lider maximo (“rosicone”).
L'elenco potrebbe continuare all'infinito. Gentiloni lavorerà pro domo sua, darà le carte col passo felpato ma efficace, non sarà il clone di nessuno e presto lo dimostrerà. Da oggi fino al 2018 molta acqua passerà sotto i ponti: la politica si scrive giorno per giorno e solo gli sciocchi fanno previsioni di lunga durata, da noi, poi, dove “le rivoluzioni iniziano in piazza e finiscono in trattoria” e dove “la rivoluzione è impossibile: ci conosciamo tutti” (Ennio Flaiano).
Un anno in politica è un secolo. Forse a febbraio 2018 di Renzi non si parlerà più e non se ne ricorderà nessuno, specie se non dovesse essere riconfermato alla segreteria Pd, parcellizzato da una decina di correnti e se non avrà fatto il Partito della Nazione. Non è facile avere a che fare con la maionese impazzita. I sondaggi che lo danno al 30%? Fasulli. Dal fattore-k al fattore r(enzi), la Storia a volte ripropone scenari bizzarri, pittoreschi direbbe Karl Kraus.
Sic transit gloria mundi! (E Grillo ringrazia, per grazia ricevuta...).
Non solo, ma si creerà un proprio profilo, approfittando della contingenza per fare il salto da comparsa – benché doc - a protagonista.
All'inizio del percorso sarà in continuità, ma quando la barca prenderà il largo lascerà la sua impronta. Perché ha del suo, ha filo per tessere la tela.
Innanzitutto è intellettualmente onesto, e poi è un vero progressista. Potrebbe essere il Tony Blair italiano, capace di rinnovare la sinistra e modernizzare il Paese. Potrebbe.
Renzi pensa di averlo messo là per tenergli calda la minestra ma, come dice un vecchio proverbio del Sud “I calcoli anticipati sono una perdita di tempo”.
E comunque è una lettura approssimativa, superficiale, da bar sport: la politica non è il presepe, che alla Befana ritrovi i pupi dove li hai messi all'Immacolata. E' soggetta a mille e più umori, decisa da strane coincidenze, intersezioni insospettate, contingenze improvvise, interessi palesi o carsici, nodi gordiani, e anche trappole.
Basti fare una semplice osservazione. Gentiloni è descritto come un Candido di Voltaire, ma è astuto come un serpente: non si è fatto imbrigliare dalle correnti del Pd, anche se questo può non voler dire nulla.
E comunque è un politico navigato, ma ancora tutto da decifrare, nonostante non abbia i denti da latte da un bel pò.
L'ex premier se n'è già accorto a dar retta ai retroscenisti, mestiere ormai meno credibile delle peripatetiche. Che gli metta alle calcagna Luca Lotti e la Boschi servirà a poco. Se in attesa del 24 gennaio (la Consulta sull'Italicum) non metterà subito all'odg la riforma elettorale ma ben altre emergenze (il Mezzogiorno, per dire, come ha fatto nel discorso a Montecitorio), avrà già marcato una prima distanza dal suo mèntore (che sta scrivendo un libro). E che intende metterci del suo lo ha già mostrato scaricando Ala di Verdini che voleva la Sanità.
Il presidente del Pd Matteo Orfini ha annusato la cosa e ha chiosato, acido: “E' inconcepibile che il nuovo esecutivo sia di legislatura”.
E invece proprio lì si andrà a parare, è nella logica delle cose.
Son più di 600 i deputati di prima nomina che matureranno la pensione (4 anni, 6 mesi e un giorno) a settembre 2017. Saranno così masochisti da andarsene qualche mese prima? I bookmaker accettano puntate.
Ovvio, si inventeranno un G8 in arrivo, un vertice alle porte, la visita di Trump o della Merkel, la legge di stabilità da acconciare o la finale di Champions pur di non schiodare dallo scranno e andare a lavorare. Chiamali scemi!
Anche perché col proporzionale nell'aria dovranno tacchinare per cercarsi i voti uno a uno, quelli che saranno ricandidati. Ma il ritorno al passato (fra aristocrazia e Dc della prima e seconda ora) serve anche a stanare Grillo, costringerlo a sporcarsi con qualche alleanza: non si può vivere eternamente nel limbo.
D'altronde, è la vendetta della dea Nèmesi: chi di spada ferisce, di spada perisce. Il governo Renzi, nel 2014, doveva solo approvare la riforma elettorale e portare il Paese al voto. Invece, appoggiandosi prima a Berlusconi (patto del Nazareno) e poi a Verdini (Ala), ha resistito ben 1000 giorni prima di essere scacciato dal popolo del “No” al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Il curriculum di Gentiloni è polisemico: dall'”eskimo innocente” (Guccini) al grigio blazer serioso. Parte giornalista (”Manifesto”), movimentista nel 1968 (extraparlamentare a Milano con Mario Capanna), poi ambientalista (direzione di “Nuova Ecologia”), quindi con Rutelli (2000) a gestire il Giubileo, tra i fondatori della Margherita, ministro della Comunicazione (2006 con Prodi), è anche tra i “padri” del Pd.
Il neo-premier è di origini marchigiane. Il più illustre è Leopardi, che siamo riusciti a banalizzare come filosofo riducendolo a un fidanzatino brufoloso che vuole la Silvia.
Un altro marchigiano è Arnaldo Forlani, detto “Coniglio Mannaro”, prima repubblica: finì umiliato, con le bave alla bocca davanti ai giudici di Mani Pulite: non ricordava dove la Dc prendeva i denari. Anche Bruno Vespa è di quelle parti: sommelier di tutti i pasti, commensale di tutte le cene, anche quella delle beffe, a ogni libro che scrive tracima da tutte le tv, libere, private, commissariate. Noi scrittori di provincia per i nostri libelli invochiamo un po' di par condicio. Vive in affitto in una casa del Vaticano, a equo canone: 10mila euro al mese: è grande quanto quella di del Cardinal Bertone.
Il M5S, la Lega e la Meloni dunque sbagliano (anche con l'Aventino, è sempre meglio confrontarsi nel merito): Gentiloni non è un avatar con la cuffia nelle orecchie a prendere desiderata, non sarà eterodiretto da chicchessia. Renzi si pentirà amaramente di non averlo intuito e averlo spinto da Mattarella sacrificando Franceschini spacciato per complottista.
Intanto porterà alla fine la legislatura, poi sà Dio a chi dare i guai e della serie “L'appetito vien mangiando”, si vedrà, ma noi consegnerà le chiavi a Renzi: il passato di Gentiloni parla per lui.
In tutte le scuole politiche, da Sun-Tzu a Cicerone, lo insegnano: la gratitudine non è una categoria della politica che, al contrario, è cosparsa di parricidi.
Vogliamo ricordarne qualcuno? Cominciamo dalle Idi di marzo: Cesare ha conquistato le Gallie, ma non basta a evitare i pugnali.
Giuliano Amato fu inventato da Bettino Craxi, ma al suo funerale (gennaio 2000) non ci andò: “Ho perso l'aereo”, disse ai giornali. Poteva prendere quello successivo. Claudio Martelli era il “delfino” dello statista socialista, e quando si accorse che il Psi stava franando, si mise a giocare in proprio invece di difenderlo da Guardasigilli.
Raffaele Fitto fu la “protesi” di Berlusconi. Oggi se n'è andato e si è incartato nel mantra “Primarie subito” nella folle illusione di vincerle. Ognuno è padrone dei propri deliri. Anche Alfano si faceva piedino era con l'ex Cavaliere: ciò non gli ha impedito di andarsene e fondare un nuovo partito-cespuglio, Ncd, che alle prossime elezioni metterà i candidati direttamente nel Pd.
Matteo Orfini si annoiava al circolo Pd di piazza Mazzini (Roma) quando D'Alema gli diede visibilità. Ma la gratitudine non è di questo mondo: è quello che scortica di più il lider maximo (“rosicone”).
L'elenco potrebbe continuare all'infinito. Gentiloni lavorerà pro domo sua, darà le carte col passo felpato ma efficace, non sarà il clone di nessuno e presto lo dimostrerà. Da oggi fino al 2018 molta acqua passerà sotto i ponti: la politica si scrive giorno per giorno e solo gli sciocchi fanno previsioni di lunga durata, da noi, poi, dove “le rivoluzioni iniziano in piazza e finiscono in trattoria” e dove “la rivoluzione è impossibile: ci conosciamo tutti” (Ennio Flaiano).
Un anno in politica è un secolo. Forse a febbraio 2018 di Renzi non si parlerà più e non se ne ricorderà nessuno, specie se non dovesse essere riconfermato alla segreteria Pd, parcellizzato da una decina di correnti e se non avrà fatto il Partito della Nazione. Non è facile avere a che fare con la maionese impazzita. I sondaggi che lo danno al 30%? Fasulli. Dal fattore-k al fattore r(enzi), la Storia a volte ripropone scenari bizzarri, pittoreschi direbbe Karl Kraus.
Sic transit gloria mundi! (E Grillo ringrazia, per grazia ricevuta...).