di FRANCESCO GRECO - Topos politico surreal demenziale quello restituito dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, data da tramandare agli sbigottiti posteri.
Al di là delle tante letture che ne dà l'opinionismo sino a ieri servile col conducator in disgrazia, che non ha fatto notare la gaffe delle dimissioni senza aver espletato la normale amministrazione e che sguaiatamente sta scendendo dal carro del vincitore di ieri, oggi “zavorra”, il 60 a 40 è un dato squisitamente politico.
Che è prevalente su ogni altra scansione. Dopo aver subìto tre governi non eletti, quello uscente ibrido col centro-sinistra sommato a Ncd più Verdini (plurinquisito), appena hanno potuto, gli italiani hanno detto che bastano e avanzano, riprendendosi la sovranità che nelle democrazie dove non fanno giochi e alchimie dovrebbe essere centrale.
E' stata una tornata elettorale politica un sacco originale, senza liste e con un solo candidato. Gli italiani non sono entrati nel merito delle riforme alla Costituzione. Ma hanno bocciato Renzi, il suo governo, la sua politica di slide, le riforme reazionarie che hanno devastato la società.
Hanno votato “No” i 500mila “occupati” col Jobs Act, i dipendenti pubblici gratificati di 80 euro, i giovani col bonus da 500 euro in tasca, le maestranze impegnate al Ponte sullo Stretto, le regioni inondate di denari con i vari “patti”, i tarantini a cui è stato scippato un assegno per curare i loro bambini malati, gli insegnanti della “buona scuola”, chi ha avuto il tfr in busta-paga, chi si appresta a uscirsene con l'Ape, social e no, facendo un mutuo con la banca, ecc.
Renzi ha cercato il plebiscito, è stato bocciato dal popolo sovrano, ma non ha capito il messaggio, reagisce con l'arroganza del naufrago e rilancia, minacciando vendette, epurazioni, elezioni subito per capitalizzare il 40%, i 13 milioni di voti, come se fosse tutto così semplice.
Voleva far uscire il paese dalla palude, lo sta spingendo nella melma, nell'immobilismo, in un vicolo cieco in cui resterà solo, perché fra poco non si troverà più un renziano a pagarlo oro.
A questo punto serve un congresso straordinario per metterlo a tacere, portarlo al museo delle cere, o riportarlo alla Chil Post. Solo dopo le acque si calmeranno e rinfrancato il paese potrà ripartire.
Piaccia o no, assortita quanto si vuole, dal 4 dicembre nel paese c'è una nuova maggioranza: il fronte del “No”. Legittimata dal consenso avuto, mente quella di Renzi è arbitraria.
La provocazione, come la celebre domanda di Lubrano, nasce spontanea: perché Mattarella non dà l'incarico a uno dei leader che hanno vinto? Forse non se ne farebbe niente, ma almeno si darebbe all'opinione pubblica la sensazione di contare qualcosa, e all'UE e i mercati che il paese è tornato nell'alveo istituzionale naturale delle democrazie. La deroga è durata anche troppo.
Al di là delle tante letture che ne dà l'opinionismo sino a ieri servile col conducator in disgrazia, che non ha fatto notare la gaffe delle dimissioni senza aver espletato la normale amministrazione e che sguaiatamente sta scendendo dal carro del vincitore di ieri, oggi “zavorra”, il 60 a 40 è un dato squisitamente politico.
Che è prevalente su ogni altra scansione. Dopo aver subìto tre governi non eletti, quello uscente ibrido col centro-sinistra sommato a Ncd più Verdini (plurinquisito), appena hanno potuto, gli italiani hanno detto che bastano e avanzano, riprendendosi la sovranità che nelle democrazie dove non fanno giochi e alchimie dovrebbe essere centrale.
E' stata una tornata elettorale politica un sacco originale, senza liste e con un solo candidato. Gli italiani non sono entrati nel merito delle riforme alla Costituzione. Ma hanno bocciato Renzi, il suo governo, la sua politica di slide, le riforme reazionarie che hanno devastato la società.
Hanno votato “No” i 500mila “occupati” col Jobs Act, i dipendenti pubblici gratificati di 80 euro, i giovani col bonus da 500 euro in tasca, le maestranze impegnate al Ponte sullo Stretto, le regioni inondate di denari con i vari “patti”, i tarantini a cui è stato scippato un assegno per curare i loro bambini malati, gli insegnanti della “buona scuola”, chi ha avuto il tfr in busta-paga, chi si appresta a uscirsene con l'Ape, social e no, facendo un mutuo con la banca, ecc.
Renzi ha cercato il plebiscito, è stato bocciato dal popolo sovrano, ma non ha capito il messaggio, reagisce con l'arroganza del naufrago e rilancia, minacciando vendette, epurazioni, elezioni subito per capitalizzare il 40%, i 13 milioni di voti, come se fosse tutto così semplice.
Voleva far uscire il paese dalla palude, lo sta spingendo nella melma, nell'immobilismo, in un vicolo cieco in cui resterà solo, perché fra poco non si troverà più un renziano a pagarlo oro.
A questo punto serve un congresso straordinario per metterlo a tacere, portarlo al museo delle cere, o riportarlo alla Chil Post. Solo dopo le acque si calmeranno e rinfrancato il paese potrà ripartire.
Piaccia o no, assortita quanto si vuole, dal 4 dicembre nel paese c'è una nuova maggioranza: il fronte del “No”. Legittimata dal consenso avuto, mente quella di Renzi è arbitraria.
La provocazione, come la celebre domanda di Lubrano, nasce spontanea: perché Mattarella non dà l'incarico a uno dei leader che hanno vinto? Forse non se ne farebbe niente, ma almeno si darebbe all'opinione pubblica la sensazione di contare qualcosa, e all'UE e i mercati che il paese è tornato nell'alveo istituzionale naturale delle democrazie. La deroga è durata anche troppo.