di PIERPAOLO DE NATALE - Roma, giovedì 12 gennaio: la polizia rende noto che la targa posta sul lungotevere Arnaldo da Brescia, in memoria di Giacomo Matteotti, è stata distrutta. Sulla vicenda è al lavoro la squadra del commissario Villa Glori e i responsabili, prima o poi, pagheranno le conseguenze di questo vile gesto. Opera di teppisti? O gesto firmato da quei giovani romani che, con un pizzico di orgoglio, si battezzano neofascisti?
Se la violenza avesse una matrice politica, bisognerebbe rifarsi a quei gruppi che, a turno, fomentano odio e violenza per le strade della Capitale, nei confronti dello straniero o del "diverso". Si tratterebbe di individui magari provenienti dagli stessi ambienti dei sette adolescenti del Fronte della Gioventù, ieri arrestati da Carabinieri e Digos. Il gruppo è finito in manette per aver compiuto "atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di un minore, colpendolo ripetutamente al capo e al volto con calci, pugni, colpi di casco, di cintura e di catena, nonchè facendolo più volte bersaglio della loro ira e colpendolo con due fendenti con un'arma da taglio".
Ben più grave sarebbe, invece, se il gesto fosse la spacconata di qualche branco di balordi, ignari dell'origine di quella targa e del ruolo storico ricoperto dall'uomo nel cui ricordo fu eretta. Era il 10 giugno del 1924 quando Giacomo Matteotti fu rapito mentre stava camminando sul lungotevere. L'onorevole era diretto a Montecitorio, per tenere il discorso che avrebbe rivelato uno scandalo finanziario avente per protagonisti il duce e suo fratello Arnaldo. Solo pochi giorni prima, il 30 maggio, Matteotti balzò agli onori della cronaca politica per aver accusato di brogli elettorali il nascente governo/dittatura di Benito Mussolini.
Ebbene, distruggere senza alcun ritegno questa targa in foto, significa mandare in frantumi la memoria di un uomo rapito e ucciso dal braccio armato del totalitarismo italiano. Ridurre il tutto ad una semplice bravata, vuol dire cancellare il sacrificio di un uomo assassinato per aver difeso e propugnato la democrazia, insieme alle libertà di parola e di pensiero.
Chi è il vero responsabile del gesto? Gli autori materiali della violenza o una società che, invece di tener vivi i valori costituzionali, cancella e non tramanda eventi cruciali della nostra storia? Simili azioni non vanno sottovalutate, nè giustificate. Certe azioni andrebbero stigmatizzate.
«Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai» (G. Matteotti)