di FREDERIC PASCALI - La poesia modella la realtà con la sensibilità che aleggia nell’intimo più profondo di ognuno di noi. Accade ovunque, anche a Paterson, la città americana del New Jersey che segna il ritorno alla regia di Jim Jarmush. In Italia noto dai tempi del riuscitissimo “Down by law”, con Roberto Begnini tra gli interpreti principali, il regista americano ascrive a protagonista della sua nuova pellicola un uomo comune, un autista di autobus, e gli affibbia lo stesso nome del luogo in cui vive.
Trait d’union tra i due è la poesia di William Carlos Williams, protagonista della prima metà del Novecento e autore di un libro interamente dedicato alla città di Paterson. Al di là degli affetti e delle cose che ne costituiscono la realtà ,tutto defluisce nei versi e inevitabilmente avvolge la vita di ognuno. In questo solco dai contorni un po’ surreali si sviluppa egregiamente la sceneggiatura di Jarmush che rappresenta contemporaneamente sullo stesso palco l’uomo e il suo habitat.
La trama si dipana attraverso la narrazione di una settimana di vita del ménage familiare del giovane autista, della sua fidanzata Laura e del loro cane Marvin. Tutti e tre sono legati a una serie di rituali apparentemente imprescindibili: la sveglia del mattino, il tragitto per raggiungere il deposito degli autobus, il ritorno a casa, la cassetta della posta fuori asse, l’uscita con Marvin e il passaggio nel solito bar dei consueti avventori.
Ogni giornata è scandita dalla scrittura di un componimento e da un’interazione disincantata verso qualsiasi tipo di accadimento, come se la poesia avesse il potere catartico di veicolare drammi, gioie e delusioni in un’unica strada senza scossoni di sorta.
Eccellente interprete della pellicola di Jarmush è Adam Driver, “Paterson”, che fornisce una grande prova di maturità ben affiancato da Golshifteh Farahani, “Laura”, la protagonista femminile, e da caratteristi del calibro di Barry Shabaka Henley, “Doc” e Masatoshi Nagase, “asian man”.
La fotografia di Frederick Elmes e la musica di Carter Logan cadenzano ogni inquadratura regalando una suspense insolita per una pellicola che fa del placido scorrere delle cose la sua attrazione principale.
Trait d’union tra i due è la poesia di William Carlos Williams, protagonista della prima metà del Novecento e autore di un libro interamente dedicato alla città di Paterson. Al di là degli affetti e delle cose che ne costituiscono la realtà ,tutto defluisce nei versi e inevitabilmente avvolge la vita di ognuno. In questo solco dai contorni un po’ surreali si sviluppa egregiamente la sceneggiatura di Jarmush che rappresenta contemporaneamente sullo stesso palco l’uomo e il suo habitat.
La trama si dipana attraverso la narrazione di una settimana di vita del ménage familiare del giovane autista, della sua fidanzata Laura e del loro cane Marvin. Tutti e tre sono legati a una serie di rituali apparentemente imprescindibili: la sveglia del mattino, il tragitto per raggiungere il deposito degli autobus, il ritorno a casa, la cassetta della posta fuori asse, l’uscita con Marvin e il passaggio nel solito bar dei consueti avventori.
Ogni giornata è scandita dalla scrittura di un componimento e da un’interazione disincantata verso qualsiasi tipo di accadimento, come se la poesia avesse il potere catartico di veicolare drammi, gioie e delusioni in un’unica strada senza scossoni di sorta.
Eccellente interprete della pellicola di Jarmush è Adam Driver, “Paterson”, che fornisce una grande prova di maturità ben affiancato da Golshifteh Farahani, “Laura”, la protagonista femminile, e da caratteristi del calibro di Barry Shabaka Henley, “Doc” e Masatoshi Nagase, “asian man”.
La fotografia di Frederick Elmes e la musica di Carter Logan cadenzano ogni inquadratura regalando una suspense insolita per una pellicola che fa del placido scorrere delle cose la sua attrazione principale.