di TERESA GENTILE - Autori vernacolari di Martina Franca, Bari, Taranto, Lecce, Brindisi, San Vito dei Normanni e anche di Napoli, che amano conservare e utilizzare la parlata del popolo, sono oggi in contatto grazie a Internet, al “Salotto Recupero” ed alla “Cutizza” (Associazione per la salvaguardia e la diffusione del dialetto, patrimonio culturale dei martinesi), e stanno validamente dimostrando come ogni dialetto costituisca un autentico patrimonio di cultura e saggezza dei rispettivi territori e sia la sintesi dei valori umani e spirituali che si trasmettono da una generazione all’altra attraverso il linguaggio, forgiando e caratterizzando con precise rievocazioni storiche e culturali, l’identità vera e non fittizia di ogni gruppo sociale.
La poesia dialettale, è l’espressione immediata dei nostri sentimenti e ne utilizza varie possibilità: sonore, retoriche, sintattiche che sono diverse da quelle della lingua nazionale, non hanno nulla di freddo, convenzionale, burocratico, ma vibrano di umanità, saggezza, schegge preziose di conoscenza. Per questo essa risveglia sempre più l’interesse da parte degli studiosi e fornisce bellissimi e originali “modi di dire” insostituibili, attualissimi e nati dalla mente popolare. Ogni dialetto è “un bene immateriale”, non solo… Culturale tanto che in varie nazioni europee i giovani con tale ‘fil rouge’ danno vita a interessanti giri turistico-culturali, gastronomici ed etnografici, agevolando l’incontro con gruppi folk, con spettacoli teatrali in vernacolo, inventori, agricoltori a chilometro zero, degustazioni varie, declamazioni poetiche e poi si mangia lietamente in locande tradizionali profumate di polpette, carne arrosto, timballi, si cantano serenate e romanze al suono di chitarre, pianoforti e mandolini ma anche di tamburelli, nacchere, fisarmoniche, si ricreano lontane atmosfere, mentre su maxischermi scorrono le traduzioni dei vari testi ed è così che si dimenticano rumori meccanici, stridenti, robotici e laceranti ed è come se l’anima… tornasse a respirare. Poi si incontrano artigiani, ceramisti, parietari, contadini, artisti e tutto questo in una bella cordata che causa in ogni estate una fortissima ricaduta economica e l'estensione di reti d’amicizia. Il forestiero… è proprio questo che cerca!
A Martina Franca, grazie all’Accademia della Cutizza, diretta da Rosa Maria Vinci (imprenditrice, poetessa e cultrice di saggezza locale) ed al pregevole e certosino scrigno di martinesità custodito nel vocabolario “La parlata dei martinesi e altri ricordi” (Nuova Editrice Apulia), curato dal prof. Giuseppe Gaetano Marangi, si sta pervenendo a una non semplice ma fattibile scritturazione comune ed a registrazioni di testi su CD e tra loro gli autori vernacolari stanno creando interessanti ed amichevoli ponti di collaborazione e studio a cui si interessano sempre più scuole d’ogni ordine e grado... Bisogna però sempre… ricordare che essendosi susseguite molte dominazioni araba, greca, romana, francese, spagnola, occorrerebbe esser poliglotti per esser certi di scrivere senza errori… e poi sono inevitabili le contaminazioni fonetiche dovute alle ibridazioni di natura televisiva ed informatica ed alla vicinanza con zone in cui già da tempo ceppi dialettali abbiano avuto poeti, cantanti e stornellatori dotati di rima cantabile.
L’importante è far… ascoltare il dialetto, pensarlo, scriverlo, cantarlo e soprattutto… serbare tracce scritte delle proprie produzioni e questo l’hanno ben compreso autori come Cinzia Castellana, Rosa Maria Vinci, Giovanni Nardelli, Rosaria Brandi, Martino Fumarola, Raffaele Caforio, Margherita Martucci, Gabriella Pizzigallo, Margherita Martucci, Martino Carbotti, Benvenuto Messia, Francesco Locorotondo e tanti altri che dimostrano ampiamente, con le loro riflessioni poetiche o teatrali che il dialetto fornisca quella sicurezza e quella certezza della nostra provenienza, delle nostre radici, alle quali, nonostante tutto, siamo e saremo ancorati, malgrado i tentativi ingegnosi o maldestri che vengono messi in atto per tagliare questo importante e vitale cordone ombelicale che è segno distintivo di una cultura che ci appartiene e che nel suo assieme costituisce quella categoria dello spirito che si chiama martinesità ed è costituito da una sintesi mirabile di operosità, saggezza, competenza esperienza, ottimismo, capacità di essere eroi del quotidiano.
La lingua nazionale è fredda, burocratica, convenzionale, ma il dialetto è lingua vergine e istintiva ed è strumento adatto a dare voce al fondo autentico del nostro io, alla nostra umanità, alla vera tensione e armonia poetica. Il dialetto è il vero linguaggio della poesia perché è in grado di mutarsi in specchio delle vere emozioni.
Le nostre radici servono a farci capire chi siamo. Gli usi e le tradizioni del nostro territorio sarebbe un delitto dimenticarli perché sono parte della crescita umana e insegnano soprattutto il rispetto per genitori, i nonni e chi ha bisogno di aiuto perché è fragile; insegnano la necessità di non esser fragili ma di impegnarci per superare i marosi della vita e per apprendere un mestiere da far presto e bene; insegnano a non oltraggiare o ammazzare chi è debole. Ora invece tutto viene sostituito dalla TV e dai telefonini che allontanano spesso dalla realtà e dalla condivisione di emozioni e ci sono anche malefici cartoni animati caratterizzati da immagini e parole violente e, in più, in molti programmi serpeggia l’ossessione volta a ricercare notizie di guerre, disperazione che sollecitano al consumismo, alla perdita e banalizzazione del prezioso tempo della vita.
Il dialetto è vero tessuto connettivo fra passato e presente perché in esso ogni epoca o avvenimento ha lasciato dei segni che offrono testimonianze innumerevoli intorno all’antichità della storia locale, ai contatti avuti con gli stranieri e ai costumi del luogo. Lo stesso San Giovanni Paolo II, il Papa Grande, in occasione di un incontro con i parroci di Roma, accogliendo a volo la “provocazione” di un parroco romano, pronunciò tre frasi in romanesco «Dàmose da fa. Volèmose bbene! Semo romani» e questa è stata una tangibile prova della immediatezza e umanità presente in ogni comunicazione dialettale.
Dell’Accademia della Cutizza e del vivaio di poeti del Salotto Recupero, fanno parte persone che pensano e compongono poesie e scenette teatrali utilizzando il dialetto e alcuni anni orsono pensarono di bandire un concorso in lingua vernacolare. Esso attuò un autentica rivoluzione culturale e ci si accorse che... stavamo per perdere un preziosissimo giacimento culturale di stampo vernacolare, in altri termini, stavamo per smarrire la nostra vera identità.
Oggi siamo qui proprio per sottolineare come in ogni città e nazione ogni dialetto sia fortemente da salvaguardare per poter da esso trarre ancora un’importante linfa vitale di UMANITÀ. Noi non siamo robot programmati per uccidere ma siamo esseri molto fragili, inclini all’invidia, all’egoismo, al terrore e che per diffondere amore abbiamo bisogno d’amore. Nulla più di ogni dialetto può assolvere a questo delicatissimo compito di riedificazione di personalità umane poiché esso è sempre sinonimo di tenerezza intergenerazionale di saggezza, di esperienza, di dialogo, di ascolto, di sopravvivenza intergenerazionale di tradizioni e di una ricca storia di fede, di competenze lavorative, impegno, forza morale, retto esempio di vita che i nostri nonni erano perfettamente in grado di trasmetterci con il loro esempio e con quei “salotti di umanità” che spontaneamente si formavano accanto ai focolari d’inverno e nei pleniluni d’estate, ai piedi dei trulli inargentati dai pleniluni.
Grazie alla presidente Rosa Maria Vinci ed agli amici della Cutizza ed a tutti coloro che tanto si impegnano per garantire la “buona salute” delle nostre straordinarie radici identitarie avvalendosi di un’opera costante, certosina e meritoria.
La poesia dialettale, è l’espressione immediata dei nostri sentimenti e ne utilizza varie possibilità: sonore, retoriche, sintattiche che sono diverse da quelle della lingua nazionale, non hanno nulla di freddo, convenzionale, burocratico, ma vibrano di umanità, saggezza, schegge preziose di conoscenza. Per questo essa risveglia sempre più l’interesse da parte degli studiosi e fornisce bellissimi e originali “modi di dire” insostituibili, attualissimi e nati dalla mente popolare. Ogni dialetto è “un bene immateriale”, non solo… Culturale tanto che in varie nazioni europee i giovani con tale ‘fil rouge’ danno vita a interessanti giri turistico-culturali, gastronomici ed etnografici, agevolando l’incontro con gruppi folk, con spettacoli teatrali in vernacolo, inventori, agricoltori a chilometro zero, degustazioni varie, declamazioni poetiche e poi si mangia lietamente in locande tradizionali profumate di polpette, carne arrosto, timballi, si cantano serenate e romanze al suono di chitarre, pianoforti e mandolini ma anche di tamburelli, nacchere, fisarmoniche, si ricreano lontane atmosfere, mentre su maxischermi scorrono le traduzioni dei vari testi ed è così che si dimenticano rumori meccanici, stridenti, robotici e laceranti ed è come se l’anima… tornasse a respirare. Poi si incontrano artigiani, ceramisti, parietari, contadini, artisti e tutto questo in una bella cordata che causa in ogni estate una fortissima ricaduta economica e l'estensione di reti d’amicizia. Il forestiero… è proprio questo che cerca!
A Martina Franca, grazie all’Accademia della Cutizza, diretta da Rosa Maria Vinci (imprenditrice, poetessa e cultrice di saggezza locale) ed al pregevole e certosino scrigno di martinesità custodito nel vocabolario “La parlata dei martinesi e altri ricordi” (Nuova Editrice Apulia), curato dal prof. Giuseppe Gaetano Marangi, si sta pervenendo a una non semplice ma fattibile scritturazione comune ed a registrazioni di testi su CD e tra loro gli autori vernacolari stanno creando interessanti ed amichevoli ponti di collaborazione e studio a cui si interessano sempre più scuole d’ogni ordine e grado... Bisogna però sempre… ricordare che essendosi susseguite molte dominazioni araba, greca, romana, francese, spagnola, occorrerebbe esser poliglotti per esser certi di scrivere senza errori… e poi sono inevitabili le contaminazioni fonetiche dovute alle ibridazioni di natura televisiva ed informatica ed alla vicinanza con zone in cui già da tempo ceppi dialettali abbiano avuto poeti, cantanti e stornellatori dotati di rima cantabile.
L’importante è far… ascoltare il dialetto, pensarlo, scriverlo, cantarlo e soprattutto… serbare tracce scritte delle proprie produzioni e questo l’hanno ben compreso autori come Cinzia Castellana, Rosa Maria Vinci, Giovanni Nardelli, Rosaria Brandi, Martino Fumarola, Raffaele Caforio, Margherita Martucci, Gabriella Pizzigallo, Margherita Martucci, Martino Carbotti, Benvenuto Messia, Francesco Locorotondo e tanti altri che dimostrano ampiamente, con le loro riflessioni poetiche o teatrali che il dialetto fornisca quella sicurezza e quella certezza della nostra provenienza, delle nostre radici, alle quali, nonostante tutto, siamo e saremo ancorati, malgrado i tentativi ingegnosi o maldestri che vengono messi in atto per tagliare questo importante e vitale cordone ombelicale che è segno distintivo di una cultura che ci appartiene e che nel suo assieme costituisce quella categoria dello spirito che si chiama martinesità ed è costituito da una sintesi mirabile di operosità, saggezza, competenza esperienza, ottimismo, capacità di essere eroi del quotidiano.
La lingua nazionale è fredda, burocratica, convenzionale, ma il dialetto è lingua vergine e istintiva ed è strumento adatto a dare voce al fondo autentico del nostro io, alla nostra umanità, alla vera tensione e armonia poetica. Il dialetto è il vero linguaggio della poesia perché è in grado di mutarsi in specchio delle vere emozioni.
Le nostre radici servono a farci capire chi siamo. Gli usi e le tradizioni del nostro territorio sarebbe un delitto dimenticarli perché sono parte della crescita umana e insegnano soprattutto il rispetto per genitori, i nonni e chi ha bisogno di aiuto perché è fragile; insegnano la necessità di non esser fragili ma di impegnarci per superare i marosi della vita e per apprendere un mestiere da far presto e bene; insegnano a non oltraggiare o ammazzare chi è debole. Ora invece tutto viene sostituito dalla TV e dai telefonini che allontanano spesso dalla realtà e dalla condivisione di emozioni e ci sono anche malefici cartoni animati caratterizzati da immagini e parole violente e, in più, in molti programmi serpeggia l’ossessione volta a ricercare notizie di guerre, disperazione che sollecitano al consumismo, alla perdita e banalizzazione del prezioso tempo della vita.
Il dialetto è vero tessuto connettivo fra passato e presente perché in esso ogni epoca o avvenimento ha lasciato dei segni che offrono testimonianze innumerevoli intorno all’antichità della storia locale, ai contatti avuti con gli stranieri e ai costumi del luogo. Lo stesso San Giovanni Paolo II, il Papa Grande, in occasione di un incontro con i parroci di Roma, accogliendo a volo la “provocazione” di un parroco romano, pronunciò tre frasi in romanesco «Dàmose da fa. Volèmose bbene! Semo romani» e questa è stata una tangibile prova della immediatezza e umanità presente in ogni comunicazione dialettale.
Dell’Accademia della Cutizza e del vivaio di poeti del Salotto Recupero, fanno parte persone che pensano e compongono poesie e scenette teatrali utilizzando il dialetto e alcuni anni orsono pensarono di bandire un concorso in lingua vernacolare. Esso attuò un autentica rivoluzione culturale e ci si accorse che... stavamo per perdere un preziosissimo giacimento culturale di stampo vernacolare, in altri termini, stavamo per smarrire la nostra vera identità.
Oggi siamo qui proprio per sottolineare come in ogni città e nazione ogni dialetto sia fortemente da salvaguardare per poter da esso trarre ancora un’importante linfa vitale di UMANITÀ. Noi non siamo robot programmati per uccidere ma siamo esseri molto fragili, inclini all’invidia, all’egoismo, al terrore e che per diffondere amore abbiamo bisogno d’amore. Nulla più di ogni dialetto può assolvere a questo delicatissimo compito di riedificazione di personalità umane poiché esso è sempre sinonimo di tenerezza intergenerazionale di saggezza, di esperienza, di dialogo, di ascolto, di sopravvivenza intergenerazionale di tradizioni e di una ricca storia di fede, di competenze lavorative, impegno, forza morale, retto esempio di vita che i nostri nonni erano perfettamente in grado di trasmetterci con il loro esempio e con quei “salotti di umanità” che spontaneamente si formavano accanto ai focolari d’inverno e nei pleniluni d’estate, ai piedi dei trulli inargentati dai pleniluni.
Grazie alla presidente Rosa Maria Vinci ed agli amici della Cutizza ed a tutti coloro che tanto si impegnano per garantire la “buona salute” delle nostre straordinarie radici identitarie avvalendosi di un’opera costante, certosina e meritoria.