La legge Basaglia e certe sue conseguenze

di VITTORIO POLITO – Grazie alla legge 180/1978, cosiddetta Basaglia, che consentendo la chiusura degli ospedali psichiatrici e non avendo provveduto alla istituzione delle case-alloggio a sufficienza o un adeguato servizio dei Dipartimenti di salute mentale, ha di fatto contribuito notevolmente ad incrementare i delitti da parte di malati abbandonati al loro destino. Non passa giorno che la cronaca non riporti fatti di tale gravità.

La predetta legge, infatti, non ha tenuto per nulla conto della precedente n. 36 del 1904, il cui principale obiettivo era la tutela della società e quindi la custodia negli ospedali psichiatrici di tutte le persone affette da malattie mentali. Il concetto di pericolosità del malato è stato completamente disatteso e capovolto dai politici e da qualche psichiatra, i quali non hanno tenuto conto che la schizofrenia, ad esempio, è descritta nei trattati odierni esattamente come in quelli di parecchi decenni fa. Secondo Carlo Fiordaliso, della UIL-Sanità, rappresenta “la follia di trasfondere in una legge l’impostazione di una scuola, in maniera totale e rigida”, ed il riferimento è a quella universitaria del Basaglia.

La legge 833/1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, recependo i presupposti della 180, affermava una nuova visione della malattia mentale come una normale malattia che escludeva tutele differenziali (?). La stessa Commissione del Senato che condusse l’indagine tra il 1996 e il 1997, affermava nella relazione conclusiva che il sondaggio ha dimostrato la perdurante incapacità e la mancanza di volontà di dare attenzione al modello di tutela della salute mentale che informava la legge 180.

Non parliamo poi dell’iter burocratico previsto nelle urgenze, per un ricovero coatto per tali soggetti, tra l’altro di soli 7 giorni rinnovabili. Il malato deve essere visitato dallo psichiatra che deve richiedere il ricovero, quindi necessita il parere di un secondo psichiatra che deve confermare la diagnosi, infine serve la convalida del provvedimento da parte del sindaco. Tutto ciò ogni volta che l’insano di mente si mette nella condizione di aggredire e disturbare il prossimo con il suo comportamento schizoide.

Il prof. Vittorino Andreoli, psichiatra, in una intervista al periodico “Famiglia Cristiana”, di un decennio fa, ipotizzava “...la possibilità di avere in ogni Regione delle piccolissime strutture che si occupino dei trattamenti prolungati: dei luoghi dove sia possibile tenere sotto controllo i casi più difficili per cinque, sei mesi”.

Certamente indietro non si può tornare, ma a distanza di 40 anni le strutture alternative previste dalla stessa legge non sempre sono state realizzate, per cui il pericolo dei malati di mente sta raggiungendo picchi elevati. Sta di fatto che spesso questi soggetti compiono delitti di una ferocia unica, e poi con l’infermità mentale si salva il colpevole ed i giochi son fatti.

Alla luce di quanto sopra, appare evidente che non siamo tutelati adeguatamente dai pericoli di questi soggetti e dalle loro improvvise ire (chi non ricorda il caso Labriola?), mentre la cronaca quotidiana ci dà ragione, per cui farebbero bene legislatori, medici, amministratori e sindaci, ad adottare seri e definitivi provvedimenti nei confronti dei malati di mente. O qualcuno ritiene forse che “è meglio un uomo sano in una bara che un insano di mente in ospedale psichiatrico”?