di FRANCESCO GRECO - Fu un genio “precoce e indipendente”. Inverno 1859, aveva appena tre anni quando , osservando Macak, il gatto di casa, scoprì delle scintille che l’elettricità creava sul suo pelo. “La natura è forse un gigantesco gatto?”, si chiese. “Se si, chi è che gli gratta la schiena? Non può essere altro che Dio”. Fu così che l’elettricità divenne un’ossessione, di più: una mission.
Peccato per la scarsa autostima: il padre, il reverendo Milutin Tesla del villaggio di Smiljan, in Croazia, non contribuì certo a farla maturare, volendolo destinare al sacerdozio (che “però non lo interessava, voleva scoprire come funzionava il mondo e cambiarlo per il meglio”) e avendo investito le sue speranze e ambizioni sul figlio maggiore, versato per le lettere ma morto prematuramente (davanti agli occhi del fratello), la frustrò, magari anche inconsciamente. Rimase così irrisolto il suo “desiderio di approvazione”.
“Crebbe nel rispetto per il sapere e la conoscenza, considerati non come fonte di lucro”. Avesse avuto un buon ufficio stampa, oggi sarebbe ricordato come uno dei geni del Novecento che hanno cambiato il nostro tempo, la nostra vita, la civiltà. E invece sul suo nome (“uno dei maggiori benefattori dell’umanità”) è quasi caduta la damnatio memoriae.
Storia e leggenda di Nikola Tesla (1856-1943), ingegnere e scienziato, le cui intuizioni ressero la rivoluzione industriale e posero le basi per ulteriori scoperte e relative applicazioni di cui oggi godiamo senza alcuna gratitudine per “il giovane alto, magro e dai folti capelli neri pettinati con la riga in mezzo”, dandole per scontate.
In modo avvincente e documentato, ma anche appassionato e partecipe, ne ricostruisce la parabola Robert Lomas in “L’uomo che ha inventato il XX secolo”, Piano B Edizioni, Prato 2017, pp. 208, euro 14.50 (traduzione di Antonio Tozzi).
Lo trova magnifico 28enne nell’estate del 1884 alla stazione di Parigi in attesa del treno per Calais da dove si imbarcherà per New York (in tasca ha una lettera dello scienziato inglese Charles Batchellor che lo propone a Thomas Edison, “pochi capelli grigi e le spalle curve”), smarrito dopo essersi accorto del furto del bagaglio e lo lascia che muore “solo e disperato, destinato all’oblio a causa della sua ultima volontà di aiutare il governo degli Stati Uniti”, mentre ancora si chiede: “Cos’è l’elettricità?”.
In mezzo una vita travagliata e solitaria, sempre in salita a causa anche del carattere, perennemente in cerca di finanziatori dei suoi progetti avveniristici e originali. Dalla riparazione delle dinamo del transatlantico “Oregon” sino alla fine. Un uomo tormentato e complesso, Niko, che vive a lungo ma spiazzato nel suo tempo, che fa tenerezza come un bambino super-intelligente, che meriterebbe una rivalutazione complessiva, come scienziato e come personaggio, un riconoscimento postumo del suo scintillante genio. Ma un tempo in cui i mediocri si spacciano per geni, e come tali sono narrati, accontentiamoci di questa biografia avvincente come il romanzo della vita. Senza scordare che abbiamo con Tesla un debito di riconoscenza.
Peccato per la scarsa autostima: il padre, il reverendo Milutin Tesla del villaggio di Smiljan, in Croazia, non contribuì certo a farla maturare, volendolo destinare al sacerdozio (che “però non lo interessava, voleva scoprire come funzionava il mondo e cambiarlo per il meglio”) e avendo investito le sue speranze e ambizioni sul figlio maggiore, versato per le lettere ma morto prematuramente (davanti agli occhi del fratello), la frustrò, magari anche inconsciamente. Rimase così irrisolto il suo “desiderio di approvazione”.
“Crebbe nel rispetto per il sapere e la conoscenza, considerati non come fonte di lucro”. Avesse avuto un buon ufficio stampa, oggi sarebbe ricordato come uno dei geni del Novecento che hanno cambiato il nostro tempo, la nostra vita, la civiltà. E invece sul suo nome (“uno dei maggiori benefattori dell’umanità”) è quasi caduta la damnatio memoriae.
Storia e leggenda di Nikola Tesla (1856-1943), ingegnere e scienziato, le cui intuizioni ressero la rivoluzione industriale e posero le basi per ulteriori scoperte e relative applicazioni di cui oggi godiamo senza alcuna gratitudine per “il giovane alto, magro e dai folti capelli neri pettinati con la riga in mezzo”, dandole per scontate.
In modo avvincente e documentato, ma anche appassionato e partecipe, ne ricostruisce la parabola Robert Lomas in “L’uomo che ha inventato il XX secolo”, Piano B Edizioni, Prato 2017, pp. 208, euro 14.50 (traduzione di Antonio Tozzi).
Lo trova magnifico 28enne nell’estate del 1884 alla stazione di Parigi in attesa del treno per Calais da dove si imbarcherà per New York (in tasca ha una lettera dello scienziato inglese Charles Batchellor che lo propone a Thomas Edison, “pochi capelli grigi e le spalle curve”), smarrito dopo essersi accorto del furto del bagaglio e lo lascia che muore “solo e disperato, destinato all’oblio a causa della sua ultima volontà di aiutare il governo degli Stati Uniti”, mentre ancora si chiede: “Cos’è l’elettricità?”.
In mezzo una vita travagliata e solitaria, sempre in salita a causa anche del carattere, perennemente in cerca di finanziatori dei suoi progetti avveniristici e originali. Dalla riparazione delle dinamo del transatlantico “Oregon” sino alla fine. Un uomo tormentato e complesso, Niko, che vive a lungo ma spiazzato nel suo tempo, che fa tenerezza come un bambino super-intelligente, che meriterebbe una rivalutazione complessiva, come scienziato e come personaggio, un riconoscimento postumo del suo scintillante genio. Ma un tempo in cui i mediocri si spacciano per geni, e come tali sono narrati, accontentiamoci di questa biografia avvincente come il romanzo della vita. Senza scordare che abbiamo con Tesla un debito di riconoscenza.