di LIVALCA - Il 30 marzo 2011, in una Milano in campagna elettorale per la sfida fra la sindaca uscente Letizia Moratti (che si riproponeva) e Giuliano Pisapia (futuro sindaco), terminava il suo ‘passaggio’ terreno il giornalista- scrittore Antonio Rossano. Qualcosa in più di un lustro prima, dopo molti tentennamenti (non sarebbe vero e corretto definirli dubbi), aveva deciso di pubblicare il volume “POVERI DI PASSAGGIO”, indotto, anzi stimolato, dall’entusiasmo di ‘quel bel personaggio’ che era Michele Lomaglio. Il titolo del libro è stato ispirato da un racconto proprio di Lomaglio, che contese la nomina ad un eventuale proposto da Francesco De Martino, che, un sabato mattina, incontrato Rossano in azienda, partì dalla battaglia di Salamina (settembre del 480 a.C. e probabile data di nascita di Euripide) per concludere dopo una veloce lezione che l’autore dell’Alcesti e Medea definiva “chiacchierone il tempo perché rileva tutto senza essere interrogato” (In sostanza quello che afferma Antonio nel libro). Il giornalista fu così affascinato dal collega professore - una delle cose cui teneva di più era l’incarico di docente a contratto presso l’Università di Bari - da sbilanciarsi a chiedere un possibile titolo per il suo libro. Io conoscendo Rossano, e l’affetto che nutriva per Lomaglio, sapevo come sarebbe finita la cosa e pregai De Martino di pensare alle pubblicazioni che avevamo in essere. De Martino, in seguito, mi diede un titolo, che non ricordo al momento, e che io non ho mai comunicato ad Antonio…per non metterlo in difficoltà. All’uscita del libro Rossano elaborò una dedica simpatica quanto deliziosa per Francesco (che ho provato a contattare, senza risultati accettabili), che mi sarebbe piaciuto proporre ai lettori. Per la verità storica De Martino con il titolo proponeva anche una riproduzione per la copertina che, invece, Rossano aveva già deciso essere appannaggio di un formidabile olio di Filippo Alto.
Penso di aver incontrato fisicamente Rossano quando Beppe Lopez, altro pregio e lustro pugliese, divenne addetto stampa del presidente Finocchiaro. Mi trovavo da Gianni Custodero, altra figura carismatica del giornalismo non solo di casa nostra, che dirigeva l’ufficio stampa della Giunta di via Capruzzi e trovai Lopez che era venuto a chiedere una matita colorata ai colleghi e, amichevolmente, mi volle portare al settimo piano nel suo ufficio: Antonio Rossano arrivò dopo pochi minuti. Anche in quell’occasione fui apostrofato ‘come figlio di don Mario’. A proposito della Regione scrive Rossano nel libro “POVERI DI PASSAGGIO”: “La stampa era rappresentata da una sparuta pattuglia: il cronista della Gazzetta del Mezzogiorno, quello dell’Ansa, qualche volta si faceva vedere uno della Rai; non mancava quasi mai il conforto e l’intelligente compagnia di Italo Palasciano dell’Unità. C’era, ogni tanto, qualcuno del ‘Tempo’ che all’epoca usciva con una pagina dedicata alla Puglia. Immancabile Giovanni Modesti, che rappresentava se stesso e la sua piccola agenzia. L’invasione delle radio e delle tv private sarebbe venuta parecchio dopo”.
Sono pagine importanti quelle di Rossano perché ci parlano di un mondo distante anni luce da quello odierno, un mondo ‘andato’ ma che si nutre di attimi vissuti solo ieri. Ecco il compito del giornalista di talento (professione oggi bistrattata e spesso vituperata perché possiede da sempre orecchie per sentire e, quindi, riferire il messaggio ‘reale’ con l’ausilio di parole) e del serio professionista, pronto a smentire seccamente quello che Balzac - fecondo romanziere, famoso per quel Papà Goriot in cui racconta il dramma dell’amore paterno e dell’ingratitudine filiale alla luce dei meccanismi dell’alta finanza… insomma nihil sub sole novum - pensava dei giornalisti: “Se esistesse un giornale dei gobbi, il suo compito sarebbe di dimostrarci ogni mattina la bellezza, la bontà e la necessità di avere la gobba”.
“Del rapporto fra Vittore e il padre restano lettere di grande intensità. Ma i più anziani fra i giornalisti baresi rievocano spesso, ormai come cult, quella volta che il ministro per la ricerca scientifica, Arnaud, pubblico sulla Gazzetta un articolo relativo alla questione meridionale. Non l’avesse mai fatto. Vittore quella mattina era in preda a sacro furore: ‘Ma chi è questo Arnaud? Che ne sa lui della questione meridionale? Ha mai letto Salvemini e Guido Dorso, conosce Giustino Fortunato? Ha parlato con papà?”.
Il pezzo sopra riportato è stato integralmente tratto da un capitolo intitolato ‘Ricordo di Tommaso Fiore’. Il libro di colui che vinse il prestigioso premio Saint Vincent (1975) è una miniera di riflessioni e battute del tipo quando un giovane collega pose al giornalista Paolo Catalano un quesito ‘Paolo: the con l’acca o senz’acca?”. Catalano al volo: “Col limone”. Rossano ci racconta che il prof. Beniamino Finocchiaro (primo presidente del Consiglio Regionale Pugliese) soleva ripetere quando voleva richiamare alla ‘calma’ i colleghi: “ Signori consiglieri, ordine, ordine! Questa è un’Assemblea legislativa!”. Anche sul termine ‘governatore’ non erano proprio in sintonia i primi consiglieri eletti, perché affermavano è stato eletto dal popolo come ‘signor presidente’. Cosa dire di Giovanni Papapietro che, a proposito di ‘Parlamentino’, ripeteva (con il garbo che gli era proprio): “È un istituto nuovo e dunque diamo ai cittadini la possibilità di farsene l’idea giusta, senza forzature ma anche senza diminutio”. Sempre Finocchiaro da protagonista del varo della Statuto della Regione e che, come ci ricorda Rossano, aveva condotto con rigore e imparzialità i lavori dell’Assemblea, pronunciò una frase che va a tutto merito di quella classe politica, o almeno ad una parte di essa: “Abbiamo oggi lo Statuto: dobbiamo fare ora la nostra Regione” (Il Presidente nel discorso introduttivo ricordò il fattivo contributo di tutti i gruppi politici alla stesura!).
Gli aneddoti sono tanti e quelli lontano nel tempo ci fanno sorridere per l’innocenza di un Cencelli ‘ ante litteram’ che, comunque, imperava. Racconta Rossano nel capitolo intitolato: Canfora Fabrizio, per ‘fatto personale’. “Ma, si sa, la politica è materia spesso delicata e volatile… A proposito, c’è chi ricorda ancora la divertente esplosione dell’unico monarchico barese ancora in Consiglio comunale, l’avvocato Prospero Colonna, quando - difronte all’entusiasmo con cui l’allora semplice consigliere Rino Formica propugnava l’era delle municipalizzate - non riuscì a frenarsi e sbottò: “Dottore Formica, mò che friggi!” (tradotto : Vedrai all’atto pratico, amico mio)… Fra i socialisti sedeva Peppino Papalia, la destra post fascista era guidata da Araldo Di Crollalanza; i comunisti si chiamavano Scionti, Assennato, Giannini…C’era anche, fra i banchi dell’opposizione comunista, Fabrizio Canfora. Silenzioso e pacato, s’innervosiva solo quando al sindaco dell’epoca, nel tentativo di riportare ordine in aula, scappava detto: ‘Facci silenzio, consigliere’. Lo si vedeva scattare: ‘Chiedo la parola per fatto personale’. Perplesso, il sindaco s’informava su quale fosse il fatto personale e Canfora, serio: L’uso corretto della lingua italiana è, per me, un fatto personale. Si dice faccia silenzio”.
Un altro capitolo tutto da leggere ha per titolo “Alla Fiera De Nicola pagò”. Racconta Rossano che nel 1947 De Nicola, allora Presidente della Repubblica, si presentò al botteghino in forma privata, pagò cento lire e visitò tutti i padiglioni da comune mortale. Chiaramente oggi sarebbe impossibile, ma il gesto vale più di qualsiasi commento. Una caratteristica di Rossano è quella di dare peso alle parole e ai fatti, per cui ci tiene sempre a sottolineare gli errori di attribuzione di opere, ricorrendo alle date. Bacchetta, quindi, amabilmente Alessandra Mussolini quando sostiene: “…che si candida nel ricordo del nonno ‘che ha costruito l’Acquedotto Pugliese’: attenzione alle date, però. Il primo colpo di piccone fu del gennaio 1906; il primo zampillo nella fontana di piazza Umberto sgorgò il 24 aprile del 1915: che c’azzecca il nonno?”.
Un piccolo capitolo è riservato alle domande banali dei cronisti costretti a strappare una veloce intervista a tutti i costi: “Che direbbe agli assassini di sua figlia?” “Vuole lanciare un appello a suo marito che, ricordiamo ai nostri telespettatori, ieri è scappato con la sua migliore amica?” e via di seguito con altre amenità. Rossano su questo è intransigente: non parla di violazione della privacy, ma di buon senso e di buona educazione.
Rossano mi chiamava quasi tutte le mattine al telefono, sul fisso, prestissimo e, quando trovava occupato, mi chiedeva se stessi parlando con Custodero: in caso affermativo voleva sapere se la notizia o il fatto che lui mi ‘regalava’ era più interessante di quella di Gianni. Posso dire che con Rossano non avevo problemi quando dovevo chiudere la conversazione per altre incombenze, con il giornalista della Regione l’impresa era titanica.
Una delle prime volte che incontrai Rossano mi affrettai a chiedergli se il Rossano che giocava ad ala sinistra nella squadra di calcio della nazionale olimpica a Roma (pensate, in quella formazione il numero 10 era il futuro pallone d’oro Gianni Rivera…mio idolo da sempre e per sempre! Erano anche componenti di quella compagine futuri campioni come Burgnich, Salvadore, Ferrini, Tumburus e Trapattoni) era suo parente: mi rispose in modo evasivo, forse negativo. In seguito ci incontrammo fuori del portone del Palazzo di Città, lui stava discutendo con Paolo Catalano e Aurelio Papandrea, che io conoscevo benissimo dal momento che era in azienda un paio di giorni ogni settimana. Non ricordo con precisione come andarono i fatti, ma Papandrea, bontà sua, disse interpelliamo Gianni “che non è il ‘vangelo’, ma ci va vicino”. In effetti fui costretto dalle mie competenze a dar ragione a Catalano, perché Antonio ricordava male e Papandrea ‘seguiva’ il calcio per lavoro, ma con poca partecipazione emotiva. In quella circostanza notai che Rossano ‘masticava’ calcio con abilità e passione. Richiesi nuovamente se l’ala sinistra Rossano, barese di nascita, fosse suo parente: al suo posto rispose affermativamente Aurelio Papandrea… per intuizione o conoscenza non saprò mai (Papandrea era considerato da mio padre ‘maestro di armonia’ per la sua capacità di sdrammatizzare e riportare la calma in ogni frangente, spesso ricorrendo ad un taumaturgico caffè).
Antonio, ora che segui il calcio con il distacco tipico dei soggetti nelle tue condizioni, puoi fare in modo che quel Giorgio Rossano che segnò quattro gol in quell’Olimpiade romana, e che lo scorso anno ti ha raggiunto per un errore…nell’ultimo ‘passaggio’, possa essere considerato della ‘famiglia’?
‘QUI RADIO BARI’ passo e chiudo.
Penso di aver incontrato fisicamente Rossano quando Beppe Lopez, altro pregio e lustro pugliese, divenne addetto stampa del presidente Finocchiaro. Mi trovavo da Gianni Custodero, altra figura carismatica del giornalismo non solo di casa nostra, che dirigeva l’ufficio stampa della Giunta di via Capruzzi e trovai Lopez che era venuto a chiedere una matita colorata ai colleghi e, amichevolmente, mi volle portare al settimo piano nel suo ufficio: Antonio Rossano arrivò dopo pochi minuti. Anche in quell’occasione fui apostrofato ‘come figlio di don Mario’. A proposito della Regione scrive Rossano nel libro “POVERI DI PASSAGGIO”: “La stampa era rappresentata da una sparuta pattuglia: il cronista della Gazzetta del Mezzogiorno, quello dell’Ansa, qualche volta si faceva vedere uno della Rai; non mancava quasi mai il conforto e l’intelligente compagnia di Italo Palasciano dell’Unità. C’era, ogni tanto, qualcuno del ‘Tempo’ che all’epoca usciva con una pagina dedicata alla Puglia. Immancabile Giovanni Modesti, che rappresentava se stesso e la sua piccola agenzia. L’invasione delle radio e delle tv private sarebbe venuta parecchio dopo”.
Sono pagine importanti quelle di Rossano perché ci parlano di un mondo distante anni luce da quello odierno, un mondo ‘andato’ ma che si nutre di attimi vissuti solo ieri. Ecco il compito del giornalista di talento (professione oggi bistrattata e spesso vituperata perché possiede da sempre orecchie per sentire e, quindi, riferire il messaggio ‘reale’ con l’ausilio di parole) e del serio professionista, pronto a smentire seccamente quello che Balzac - fecondo romanziere, famoso per quel Papà Goriot in cui racconta il dramma dell’amore paterno e dell’ingratitudine filiale alla luce dei meccanismi dell’alta finanza… insomma nihil sub sole novum - pensava dei giornalisti: “Se esistesse un giornale dei gobbi, il suo compito sarebbe di dimostrarci ogni mattina la bellezza, la bontà e la necessità di avere la gobba”.
“Del rapporto fra Vittore e il padre restano lettere di grande intensità. Ma i più anziani fra i giornalisti baresi rievocano spesso, ormai come cult, quella volta che il ministro per la ricerca scientifica, Arnaud, pubblico sulla Gazzetta un articolo relativo alla questione meridionale. Non l’avesse mai fatto. Vittore quella mattina era in preda a sacro furore: ‘Ma chi è questo Arnaud? Che ne sa lui della questione meridionale? Ha mai letto Salvemini e Guido Dorso, conosce Giustino Fortunato? Ha parlato con papà?”.
Il pezzo sopra riportato è stato integralmente tratto da un capitolo intitolato ‘Ricordo di Tommaso Fiore’. Il libro di colui che vinse il prestigioso premio Saint Vincent (1975) è una miniera di riflessioni e battute del tipo quando un giovane collega pose al giornalista Paolo Catalano un quesito ‘Paolo: the con l’acca o senz’acca?”. Catalano al volo: “Col limone”. Rossano ci racconta che il prof. Beniamino Finocchiaro (primo presidente del Consiglio Regionale Pugliese) soleva ripetere quando voleva richiamare alla ‘calma’ i colleghi: “ Signori consiglieri, ordine, ordine! Questa è un’Assemblea legislativa!”. Anche sul termine ‘governatore’ non erano proprio in sintonia i primi consiglieri eletti, perché affermavano è stato eletto dal popolo come ‘signor presidente’. Cosa dire di Giovanni Papapietro che, a proposito di ‘Parlamentino’, ripeteva (con il garbo che gli era proprio): “È un istituto nuovo e dunque diamo ai cittadini la possibilità di farsene l’idea giusta, senza forzature ma anche senza diminutio”. Sempre Finocchiaro da protagonista del varo della Statuto della Regione e che, come ci ricorda Rossano, aveva condotto con rigore e imparzialità i lavori dell’Assemblea, pronunciò una frase che va a tutto merito di quella classe politica, o almeno ad una parte di essa: “Abbiamo oggi lo Statuto: dobbiamo fare ora la nostra Regione” (Il Presidente nel discorso introduttivo ricordò il fattivo contributo di tutti i gruppi politici alla stesura!).
Gli aneddoti sono tanti e quelli lontano nel tempo ci fanno sorridere per l’innocenza di un Cencelli ‘ ante litteram’ che, comunque, imperava. Racconta Rossano nel capitolo intitolato: Canfora Fabrizio, per ‘fatto personale’. “Ma, si sa, la politica è materia spesso delicata e volatile… A proposito, c’è chi ricorda ancora la divertente esplosione dell’unico monarchico barese ancora in Consiglio comunale, l’avvocato Prospero Colonna, quando - difronte all’entusiasmo con cui l’allora semplice consigliere Rino Formica propugnava l’era delle municipalizzate - non riuscì a frenarsi e sbottò: “Dottore Formica, mò che friggi!” (tradotto : Vedrai all’atto pratico, amico mio)… Fra i socialisti sedeva Peppino Papalia, la destra post fascista era guidata da Araldo Di Crollalanza; i comunisti si chiamavano Scionti, Assennato, Giannini…C’era anche, fra i banchi dell’opposizione comunista, Fabrizio Canfora. Silenzioso e pacato, s’innervosiva solo quando al sindaco dell’epoca, nel tentativo di riportare ordine in aula, scappava detto: ‘Facci silenzio, consigliere’. Lo si vedeva scattare: ‘Chiedo la parola per fatto personale’. Perplesso, il sindaco s’informava su quale fosse il fatto personale e Canfora, serio: L’uso corretto della lingua italiana è, per me, un fatto personale. Si dice faccia silenzio”.
Un altro capitolo tutto da leggere ha per titolo “Alla Fiera De Nicola pagò”. Racconta Rossano che nel 1947 De Nicola, allora Presidente della Repubblica, si presentò al botteghino in forma privata, pagò cento lire e visitò tutti i padiglioni da comune mortale. Chiaramente oggi sarebbe impossibile, ma il gesto vale più di qualsiasi commento. Una caratteristica di Rossano è quella di dare peso alle parole e ai fatti, per cui ci tiene sempre a sottolineare gli errori di attribuzione di opere, ricorrendo alle date. Bacchetta, quindi, amabilmente Alessandra Mussolini quando sostiene: “…che si candida nel ricordo del nonno ‘che ha costruito l’Acquedotto Pugliese’: attenzione alle date, però. Il primo colpo di piccone fu del gennaio 1906; il primo zampillo nella fontana di piazza Umberto sgorgò il 24 aprile del 1915: che c’azzecca il nonno?”.
Un piccolo capitolo è riservato alle domande banali dei cronisti costretti a strappare una veloce intervista a tutti i costi: “Che direbbe agli assassini di sua figlia?” “Vuole lanciare un appello a suo marito che, ricordiamo ai nostri telespettatori, ieri è scappato con la sua migliore amica?” e via di seguito con altre amenità. Rossano su questo è intransigente: non parla di violazione della privacy, ma di buon senso e di buona educazione.
Rossano mi chiamava quasi tutte le mattine al telefono, sul fisso, prestissimo e, quando trovava occupato, mi chiedeva se stessi parlando con Custodero: in caso affermativo voleva sapere se la notizia o il fatto che lui mi ‘regalava’ era più interessante di quella di Gianni. Posso dire che con Rossano non avevo problemi quando dovevo chiudere la conversazione per altre incombenze, con il giornalista della Regione l’impresa era titanica.
Una delle prime volte che incontrai Rossano mi affrettai a chiedergli se il Rossano che giocava ad ala sinistra nella squadra di calcio della nazionale olimpica a Roma (pensate, in quella formazione il numero 10 era il futuro pallone d’oro Gianni Rivera…mio idolo da sempre e per sempre! Erano anche componenti di quella compagine futuri campioni come Burgnich, Salvadore, Ferrini, Tumburus e Trapattoni) era suo parente: mi rispose in modo evasivo, forse negativo. In seguito ci incontrammo fuori del portone del Palazzo di Città, lui stava discutendo con Paolo Catalano e Aurelio Papandrea, che io conoscevo benissimo dal momento che era in azienda un paio di giorni ogni settimana. Non ricordo con precisione come andarono i fatti, ma Papandrea, bontà sua, disse interpelliamo Gianni “che non è il ‘vangelo’, ma ci va vicino”. In effetti fui costretto dalle mie competenze a dar ragione a Catalano, perché Antonio ricordava male e Papandrea ‘seguiva’ il calcio per lavoro, ma con poca partecipazione emotiva. In quella circostanza notai che Rossano ‘masticava’ calcio con abilità e passione. Richiesi nuovamente se l’ala sinistra Rossano, barese di nascita, fosse suo parente: al suo posto rispose affermativamente Aurelio Papandrea… per intuizione o conoscenza non saprò mai (Papandrea era considerato da mio padre ‘maestro di armonia’ per la sua capacità di sdrammatizzare e riportare la calma in ogni frangente, spesso ricorrendo ad un taumaturgico caffè).
Antonio, ora che segui il calcio con il distacco tipico dei soggetti nelle tue condizioni, puoi fare in modo che quel Giorgio Rossano che segnò quattro gol in quell’Olimpiade romana, e che lo scorso anno ti ha raggiunto per un errore…nell’ultimo ‘passaggio’, possa essere considerato della ‘famiglia’?
‘QUI RADIO BARI’ passo e chiudo.