di LIVALCA – “Quella che poté cessare non fu vera amicizia” è una frase di un Santo che, forse, è quel San Girolamo che Antonello da Messina ha immortalato nello spettacoloso dipinto olio su tavola di tiglio che ancor oggi fa sentire apprendisti della pittura tutti coloro che esercitano questa nobile arte (Il quadro del grande siciliano perché si trova esposto alla National Gallery di Londra? Michele tu mi avresti dato una risposta esauriente, con un commento leggermente ironico da interpretare!). Domenica 5 marzo si è tenuta la 14 edizione del premio dedicato a Michele Campione: Giornalista-poeta-saggista-scrittore-critico d’arte che definire di Puglia può apparire limitativo qualora lo si interpreti come indicazione, ma nella realtà sta a significare che ha portato la sua e nostra Puglia nel mondo. Campione: L’uomo Rai per eccellenza, l’uomo del ricordo, della testimonianza, degli appunti, delle note, dei diari e per me l’uomo dei fine settimana (sabato e domenica mattina). Dalla fine anni ‘70 e fino al termine del secolo mio padre, in compagnia di Vito Maurogiovanni, Pasquale Sorrenti e Nicola Mongelli - con sporadiche incursioni di Franco Cipriani, Vito Lozito, Raffaele Nigro, Francesco De Martino, Daniele Giancane, Francesco Bellino e con limitate e significative presenze di Campione si annunciava con ‘sto arrivando ‘) -, intratteneva gli amici in azienda ( Per la statistica manca qualcuno ‘arrivato’ che mi ha fatto capire di preferire l’oblio ed io ‘obbedisco’). Secondo una storica, abusata, eccessiva messa in scena leggendaria di Campione arrivava prima l’inconfondibile effluvio-olezzo, aroma-puzza, fragranza-fetore - a libera interpretazione dei gusti degli astanti - del mezzo toscano e poi la sua presenza, che diventava di qualità appena la sua voce dava corpo a quelle parole che sgorgavano precise, corrette, perfette e conquistavano la scena. Di solito il volto accompagna il nostro esporre con una mimica che legittima quello che stiamo dicendo: Campione anche quando ti impartiva una ‘lezione’ aveva quel sorriso tranquillo da brava persona abituata a convincere senza avere la pretesa di imporre niente. Io posso assicurare che tutte le volte che veniva da noi il sigaro era spento…chiaramente il fumo era in lui dalla testa ai piedi. In verità al riguardo mio padre era perentorio: In azienda non si fuma e vi era la famosa ‘boccata d’aria da prendere fuori, in una libera uscita che non ammetteva deroghe. Le apparizioni di Campione erano toccate e fughe, dal momento che era sempre contattato - telefono fisso, altro che cellulare - dalla sua Rai, ma utilizzava il tempo scovando qualsiasi cosa mio padre avesse stampato e raccoglieva tutto con ordine e spesso diceva ‘pur conoscendo l’autore del libro non sapevo avesse pubblicato, mi toccherà leggere anche questo’. Spero non portasse tutto a casa, per sua fortuna la signora Cettina era molto paziente. Questi incontri erano un modo di trovarsi, ma anche di proporre idee e magari sognare…oltre confine. Chiaramente, spesso, non si trovavano in contemporanea questi amici, ma per uno che andava via, fino alle fatidiche 14,00, era pronto chi prendeva il suo posto. Il più mattiniero Sorrenti, intorno alle 8,30, seguito nell’ordine da Mongelli, Maurogiovanni e Campione battitore libero, nel senso che non aveva un orario di riferimento.
Nel 1984 organizzammo una sontuosa serata all’Oriente per presentare 4 libri (tra cui spiccava BONA SFORZA regina di Polonia e duchessa di Bari, curato da Cioffari, Dibenedetto, Melchiorre, Gaetano Mongelli e Ruccia) e Campione si offrì volontariamente di essere il moderatore della serata con “Mario non mi fare questo affronto”. Fu tutto programmato con grande professionalità dal momento che fra i relatori vi era Fonseca - il cui intervento Campione definì una lezione di chiarezza abbinata ad una sconfinata cultura - e il vaticanista Dante Alimenti e fu concesso un minutaggio ad ogni intervento, compreso l’ultimo per il sottoscritto. Doveva presenziare Mons. Magrassi che fu prelevato, dal vigile non ancora maresciallo Piero Messina, che giunse con 30 minuti di ritardo (mai spiegati e giustificati). Senza il Vescovo non si poteva iniziare e Campione ‘farcì’ di parole, storielle e aneddoti quel vuoto e con una tale maestria che al foltissimo pubblico gli interventi successivi parvero ‘pesanti’. Il colonnello Cavallo dei Vigili Urbani mi pregò, il giorno successivo, di chiedere a Campione quale fosse la conclusione di un racconto interrotto dall’arrivo di Magrassi. La risposta che non ho mai comunicato all’interessato fu: ‘Sono fatterelli la cui conclusione è affidata all’interpretazione di chi ascolta’. Campione fu protagonista-mattatore indiscusso della serata e solo al termine mi comunicò: ‘ Con Mario abbiamo deciso di sopprimere il tuo intervento, noi siamo per i giovani a patto che sappiano ascoltare chi ha più esperienza…stanno andando già tutti via (Nessuna obiezione, però, se mi fosse stato comunicato un poco prima sarei stato più …rilassato). In quell’occasione scoprii una ‘qualità’ di Campione che ignoravo: era un intenditore di calcio (tutti coloro che venivano da mio padre a stento sapevano che esisteva un gioco che contemplava la serie A, B, C, D).
Torniamo al Premio ‘Giornalista di Puglia’. Quest’anno è stato assegnato a Giacinto Pinto, che non conosco, ma che ha detto con umiltà, commozione e passione (questa parola spesso abusata ha una radice che deriva da ‘pati’ soffrire, per cui difficilmente vi è vera passione senza sofferenza) che esercita questo mestiere non perché non ha trovato di meglio, ma perché per lui è il ‘meglio’. Meglio così per lui e per noi.
Quest’anno la famiglia-tribù Campione ha voluto inserire, a pieno titolo, nell’organizzazione dell’evento la nipote Silvia, una bella, giovane e spigliata ragazza che si sta preparando per il concorso in magistratura, cui Michele dedicò una bellissima poesia che termina con questi versi “...come il Natale che sta per estinguersi nel cuore sempre più avaro degli uomini”. Parole forti, marmoree messe insieme con la maestria di chi con morbida, lieve, ovattata semplicità (nel primo Natale di Silvia, targato 1990) ci ricordava che il cuore è un termometro che non può salire o scendere a comando.
Quasi sei lustri or sono mi sono trovato ricoverato al Policlinico nel reparto di ’Semeiotica Chirurgica’ diretto dal prof. Oliva e vi trovai Michele Campione: In quell’occasione Michele mi diede una lezione professionale che ancor oggi al ricordo mi fa ‘vergognare’…in senso buono. Avevo stabilito un buon rapporto con medici e operatori sanitari e si parlava di tutto, compreso di calcio di cui disponevo di notizie non ancora ‘frullate’ dalle televisioni commerciali.
Campione alcune volte era loquace, altre quasi irretito. Una sera mi disse non possiamo far perdere tempo a chi lavora, noi dobbiamo intrattenerci con loro solo quando arriva il pranzo, perché è il periodo più tranquillo. In azienda spesso mio padre mi comunicava con lo sguardo che qualche giornalista aveva dimenticato che dovevamo anche lavorare e che era opportuno che andassimo a discutere lontano da chi doveva impaginare. Ed io ora, dimenticando di essere imprenditore, mi facevo riprendere da un …giornalista.
Accanto a me al premio Campione vi era una signora che stava parlando affabilmente con un ‘collega’ che conosco - lui non mi avrà riconosciuto - e si lamentava perché il figlio aveva litigato con degli amici e non riuscivano a fare pace. Questa piacente, gentile signora mi ha dato il destro per aprire questo scritto.
Quante volte vi sono state discussioni in azienda perché Sorrenti, definirlo testardo non penso sia una mancanza di rispetto, non era in sintonia con gli altri; lo stesso professore Mongelli Nicola, nei tratti disponibile e gentile, spesso non mancava di far notare, lui medico del lavoro, che la ‘panacea’ di tutti i mali fosse di tornare al proprio lavoro, valutando con serenità quello che era stato detto dagli altri. Negli incontri successivi si era più amici di prima con la consapevolezza che quelli che avevano ragione - qualcuno doveva pure averla - dovevano sorridere e far sbollire la ‘collera’ di coloro che erano nel torto, evitando inutili ‘canti di vittoria’. Il buon Maurogiovanni, che spesso portava in macchina Campione, sotto l’aria di persona conciliante, aveva un carattere da ‘cantore esplosivo’.
La nota più poetica della giornata di domenica è stata sentire ripetere per sette volte (sette come i figli di Michele) dalla giovane Silvia la parola nonno. In quella parola vi era tutto l’affetto e la riconoscenza di una famiglia verso l’albero che ha generato il tutto: inevitabile che qualche ramo, anche giovane ramo, sia caduto, ma il ceppo su cui si erge il tronco non muore mai; qualcuno lo trasformerà in sgabello, o qualcosa di simile, perché è inevitabile che tutto cambi. La storia nata con Michele e Cettina sentirà ripetere tante volte la parola nonno (agevolata dal fatto che fare i genitori è un mestiere difficile, fare il nonno è una gratificazione senza fine), altri nonni verranno, perché i Campione sono ‘più forti della non speranza’.
Nel 1984 organizzammo una sontuosa serata all’Oriente per presentare 4 libri (tra cui spiccava BONA SFORZA regina di Polonia e duchessa di Bari, curato da Cioffari, Dibenedetto, Melchiorre, Gaetano Mongelli e Ruccia) e Campione si offrì volontariamente di essere il moderatore della serata con “Mario non mi fare questo affronto”. Fu tutto programmato con grande professionalità dal momento che fra i relatori vi era Fonseca - il cui intervento Campione definì una lezione di chiarezza abbinata ad una sconfinata cultura - e il vaticanista Dante Alimenti e fu concesso un minutaggio ad ogni intervento, compreso l’ultimo per il sottoscritto. Doveva presenziare Mons. Magrassi che fu prelevato, dal vigile non ancora maresciallo Piero Messina, che giunse con 30 minuti di ritardo (mai spiegati e giustificati). Senza il Vescovo non si poteva iniziare e Campione ‘farcì’ di parole, storielle e aneddoti quel vuoto e con una tale maestria che al foltissimo pubblico gli interventi successivi parvero ‘pesanti’. Il colonnello Cavallo dei Vigili Urbani mi pregò, il giorno successivo, di chiedere a Campione quale fosse la conclusione di un racconto interrotto dall’arrivo di Magrassi. La risposta che non ho mai comunicato all’interessato fu: ‘Sono fatterelli la cui conclusione è affidata all’interpretazione di chi ascolta’. Campione fu protagonista-mattatore indiscusso della serata e solo al termine mi comunicò: ‘ Con Mario abbiamo deciso di sopprimere il tuo intervento, noi siamo per i giovani a patto che sappiano ascoltare chi ha più esperienza…stanno andando già tutti via (Nessuna obiezione, però, se mi fosse stato comunicato un poco prima sarei stato più …rilassato). In quell’occasione scoprii una ‘qualità’ di Campione che ignoravo: era un intenditore di calcio (tutti coloro che venivano da mio padre a stento sapevano che esisteva un gioco che contemplava la serie A, B, C, D).
Torniamo al Premio ‘Giornalista di Puglia’. Quest’anno è stato assegnato a Giacinto Pinto, che non conosco, ma che ha detto con umiltà, commozione e passione (questa parola spesso abusata ha una radice che deriva da ‘pati’ soffrire, per cui difficilmente vi è vera passione senza sofferenza) che esercita questo mestiere non perché non ha trovato di meglio, ma perché per lui è il ‘meglio’. Meglio così per lui e per noi.
Quest’anno la famiglia-tribù Campione ha voluto inserire, a pieno titolo, nell’organizzazione dell’evento la nipote Silvia, una bella, giovane e spigliata ragazza che si sta preparando per il concorso in magistratura, cui Michele dedicò una bellissima poesia che termina con questi versi “...come il Natale che sta per estinguersi nel cuore sempre più avaro degli uomini”. Parole forti, marmoree messe insieme con la maestria di chi con morbida, lieve, ovattata semplicità (nel primo Natale di Silvia, targato 1990) ci ricordava che il cuore è un termometro che non può salire o scendere a comando.
Quasi sei lustri or sono mi sono trovato ricoverato al Policlinico nel reparto di ’Semeiotica Chirurgica’ diretto dal prof. Oliva e vi trovai Michele Campione: In quell’occasione Michele mi diede una lezione professionale che ancor oggi al ricordo mi fa ‘vergognare’…in senso buono. Avevo stabilito un buon rapporto con medici e operatori sanitari e si parlava di tutto, compreso di calcio di cui disponevo di notizie non ancora ‘frullate’ dalle televisioni commerciali.
Campione alcune volte era loquace, altre quasi irretito. Una sera mi disse non possiamo far perdere tempo a chi lavora, noi dobbiamo intrattenerci con loro solo quando arriva il pranzo, perché è il periodo più tranquillo. In azienda spesso mio padre mi comunicava con lo sguardo che qualche giornalista aveva dimenticato che dovevamo anche lavorare e che era opportuno che andassimo a discutere lontano da chi doveva impaginare. Ed io ora, dimenticando di essere imprenditore, mi facevo riprendere da un …giornalista.
Accanto a me al premio Campione vi era una signora che stava parlando affabilmente con un ‘collega’ che conosco - lui non mi avrà riconosciuto - e si lamentava perché il figlio aveva litigato con degli amici e non riuscivano a fare pace. Questa piacente, gentile signora mi ha dato il destro per aprire questo scritto.
Quante volte vi sono state discussioni in azienda perché Sorrenti, definirlo testardo non penso sia una mancanza di rispetto, non era in sintonia con gli altri; lo stesso professore Mongelli Nicola, nei tratti disponibile e gentile, spesso non mancava di far notare, lui medico del lavoro, che la ‘panacea’ di tutti i mali fosse di tornare al proprio lavoro, valutando con serenità quello che era stato detto dagli altri. Negli incontri successivi si era più amici di prima con la consapevolezza che quelli che avevano ragione - qualcuno doveva pure averla - dovevano sorridere e far sbollire la ‘collera’ di coloro che erano nel torto, evitando inutili ‘canti di vittoria’. Il buon Maurogiovanni, che spesso portava in macchina Campione, sotto l’aria di persona conciliante, aveva un carattere da ‘cantore esplosivo’.
La nota più poetica della giornata di domenica è stata sentire ripetere per sette volte (sette come i figli di Michele) dalla giovane Silvia la parola nonno. In quella parola vi era tutto l’affetto e la riconoscenza di una famiglia verso l’albero che ha generato il tutto: inevitabile che qualche ramo, anche giovane ramo, sia caduto, ma il ceppo su cui si erge il tronco non muore mai; qualcuno lo trasformerà in sgabello, o qualcosa di simile, perché è inevitabile che tutto cambi. La storia nata con Michele e Cettina sentirà ripetere tante volte la parola nonno (agevolata dal fatto che fare i genitori è un mestiere difficile, fare il nonno è una gratificazione senza fine), altri nonni verranno, perché i Campione sono ‘più forti della non speranza’.
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