di FRANCESCO GRECO - Sospesa tra fatalismo e masochismo, scarsa autostima e rimozione della bellezza, la storia del Sud è fatta anche, o soprattutto, di occasioni mancate, appuntamenti con la storia falliti, treni perduti.
Oggi ne raccontiamo una, solo l'ultima di una lunga, lunghissima serie, citazioni della famosa frase di Nanni Moretti: “Facciamoci del male...”.
La macchina del tempo ci riporta all'altro secolo, anno di grazia 1996. L'assessore alla cultura del Comune di Gagliano del Capo, Antonio Biasco (foto), piscologo (sposato, 3 figli, laurea a Padova, oggi lavora all'Asl), che con la sua militanza e passione ha fatto la storia della sinistra nel Salento, ha un'idea: valorizzare il grande pittore Vincenzo Ciardo (23/10/1894 - 26/09/1970), “un grande del Novecento” (ipse dixit Vittorio Sgarbi).
Lavora su due livelli: l'acquisto della casa avita dov'è nato e ha vissuto l'artista (che negli anni Cinquanta fu anche direttore dell'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove si trasferì nel 1920), in piazza San Rocco, il cuore antico del paese.
E la ricognizione delle opere (in foto un "Plenilunio") da proporre in una mostra permanente, nell'incantevole location (nata sui ruderi di un palazzo degli Scanderbeg, di cui resta la torretta). Biasco pensa a Palazzo Ciardo come al cuore pulsante e vivo di una comunità, un topos multiforme, semanticamente affollato, di eventi: cultura, dialogo, arte, ecc.
Incluso l'aspetto marketing del territorio, espresso dalla ricchezza dell'enogastronomia. Il paese ne ha bisogno per uscire dal feudalesimo, combattere le sfide della modernità.
Un progetto, come si intuisce, in anticipo sui tempi, molto articolato, un bel sogno che se realizzato, darà a Gagliano una leadership culturale, stante la grandezza di Ciardo, e al territorio una ricaduta di qualità, anche di sviluppo e occupazione.
Biasco si appassiona all'idea: parla con i nipoti eredi (che non si sposò e nella Grande Guerra perse 3 fratelli, a cui è intitolato il corso principale di Gagliano). Li convince, ha la loro parola. Lo stabile sarà acquistato dal Comune per 100 milioni, da versare in due tranche.
Allo stesso tempo, incontra mecenati del territorio e li convince a comprare un'opera: il presidente della Banca del Salento (poi 121), nonchè presidente del Lecce in serie A, Giovanni Semeraro, l'imprenditore calzaturiero Adelchi Sergio, il barone Salvatore Leone de Castris, produttore di vini. Tutti a di poco entusiasti. Biasco parla anche con artisti di fama del Salento, li convince a donare un'opera (Ercole Pignatelli e la moglie tra i primi).
Lo psicologo poi d'incanto si ritrova fra le mani un catalogo e scopre che a Torino, negli anni Settanta, c'è stata una mostra proposta dalla Fondazione Olivetti. La contatta e anche loro si dicono interessati all'idea. Entusiasta anche Nicola Spinosa, all'epoca soprintendente del polo museale di Napoli: “Mio padre Pasquale fu suo allievo in Accademia, è ormai anziano, sarà felice vedere dove nacque e visse il Maestro...”.
E dà la sua disponibilità anche la critica d'arte Angela Trecce, oggi direttrice di Arte Fiera (Bologna) e prestigiosa “firma” dell'inserto domenicale del “Sole 24 Ore”.
Il nome di Ciardo apre tutte le porte.
Nello stesso periodo, l'artista Lorenzo Corrado a Novoli (città della Fòcara) propone una collettiva di grandi pittori del Salento, del passato e contemporanei: c'è pure Ciardo con la sua “Processione del Venerdì Santo”, un “Plenilunio”e qualche altra.
Un'altra opera è al Comune, nell'ingresso, e una si trova nella Caserma dei CC. Ma in paese molte sono sparse nelle case di privati cittadini, alcuni artigiani, che entrarono in contatto col Maestro e che ne fece loro dono.
Il sogno sta per materializzarsi, ma – e qui sta il masochismo del Sud e le antiche e nuove sudditanze – ecco il black-out. La chiesa locale si inserisce nella trattativa: vuol fare di Palazzo-Ciardo un oratorio parrocchiale. Inoltre salta fuori un altro erede, è vedovo della nipote, è un artista, vive a Milano e possiede alcune fra le più belle opere del Maestro: vuol vendere alla Chiesa perché deve fare un viaggio e lui pensa che il Comune è un cattivo pagatore. La Chiesa invece paga pronta cassa: infatti la Diocesi di Ugento (vescovo Domenico Caliandro, oggi a Brindisi) mette i soldi sul banco.
Il Comune a questo punto rinuncia alla sua coscienza laica e invece di combattere si tira fiori. Casa-Ciardo va alla Chiesa, che in questi anni l'ha usata per il catechismo e il calcio balilla e ha fatto delle ristrutturazioni selvagge.
Una vicenda così contorta, alla Guareschi, non poteva che concludersi con un colpo di teatro. Poche settimane dopo, una mattina Biasco va in Comune e spulciando la posta del giorno cosa trova? Da Milano, una richiesta di autorizzazione per il trasporto di una salma: è quella del nipote di Ciardo che voleva vendere per farsi un viaggio. Ha realizzato il suo sogno: è morto nel sonno, di infarto, e arriverà a Gagliano per essere tumulato nella tomba di famiglia. Un bel viaggio su un carro funebre comodo, moderno, luccicante. Le opere del prozio in suo possesso finiscono a un ente religioso di Milano.
Biasco non si è arreso, è nella sua tempra: in questi anni a più riprese è tornato alla carica: chiedendo anche metà del Palazzo per un museo, visto che la casa è immensa. Ha ricevuto sempre rifiuti. Ma i tempi ormai sono maturi per un onorevole compromesso fra Comune e Chiesa, verrebbe da dire Don Camillo e Peppone. Per onorare un figlio illustre di Gagliano. E anche per far uscire il paese dalle tenebre dell'oscurantismo e del Medioevo. Gli altri stanno sugli esopianeti, qui la parola non vale niente...
Oggi ne raccontiamo una, solo l'ultima di una lunga, lunghissima serie, citazioni della famosa frase di Nanni Moretti: “Facciamoci del male...”.
La macchina del tempo ci riporta all'altro secolo, anno di grazia 1996. L'assessore alla cultura del Comune di Gagliano del Capo, Antonio Biasco (foto), piscologo (sposato, 3 figli, laurea a Padova, oggi lavora all'Asl), che con la sua militanza e passione ha fatto la storia della sinistra nel Salento, ha un'idea: valorizzare il grande pittore Vincenzo Ciardo (23/10/1894 - 26/09/1970), “un grande del Novecento” (ipse dixit Vittorio Sgarbi).
Lavora su due livelli: l'acquisto della casa avita dov'è nato e ha vissuto l'artista (che negli anni Cinquanta fu anche direttore dell'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove si trasferì nel 1920), in piazza San Rocco, il cuore antico del paese.
E la ricognizione delle opere (in foto un "Plenilunio") da proporre in una mostra permanente, nell'incantevole location (nata sui ruderi di un palazzo degli Scanderbeg, di cui resta la torretta). Biasco pensa a Palazzo Ciardo come al cuore pulsante e vivo di una comunità, un topos multiforme, semanticamente affollato, di eventi: cultura, dialogo, arte, ecc.
Incluso l'aspetto marketing del territorio, espresso dalla ricchezza dell'enogastronomia. Il paese ne ha bisogno per uscire dal feudalesimo, combattere le sfide della modernità.
Un progetto, come si intuisce, in anticipo sui tempi, molto articolato, un bel sogno che se realizzato, darà a Gagliano una leadership culturale, stante la grandezza di Ciardo, e al territorio una ricaduta di qualità, anche di sviluppo e occupazione.
Biasco si appassiona all'idea: parla con i nipoti eredi (che non si sposò e nella Grande Guerra perse 3 fratelli, a cui è intitolato il corso principale di Gagliano). Li convince, ha la loro parola. Lo stabile sarà acquistato dal Comune per 100 milioni, da versare in due tranche.
Allo stesso tempo, incontra mecenati del territorio e li convince a comprare un'opera: il presidente della Banca del Salento (poi 121), nonchè presidente del Lecce in serie A, Giovanni Semeraro, l'imprenditore calzaturiero Adelchi Sergio, il barone Salvatore Leone de Castris, produttore di vini. Tutti a di poco entusiasti. Biasco parla anche con artisti di fama del Salento, li convince a donare un'opera (Ercole Pignatelli e la moglie tra i primi).
Lo psicologo poi d'incanto si ritrova fra le mani un catalogo e scopre che a Torino, negli anni Settanta, c'è stata una mostra proposta dalla Fondazione Olivetti. La contatta e anche loro si dicono interessati all'idea. Entusiasta anche Nicola Spinosa, all'epoca soprintendente del polo museale di Napoli: “Mio padre Pasquale fu suo allievo in Accademia, è ormai anziano, sarà felice vedere dove nacque e visse il Maestro...”.
E dà la sua disponibilità anche la critica d'arte Angela Trecce, oggi direttrice di Arte Fiera (Bologna) e prestigiosa “firma” dell'inserto domenicale del “Sole 24 Ore”.
Il nome di Ciardo apre tutte le porte.
Nello stesso periodo, l'artista Lorenzo Corrado a Novoli (città della Fòcara) propone una collettiva di grandi pittori del Salento, del passato e contemporanei: c'è pure Ciardo con la sua “Processione del Venerdì Santo”, un “Plenilunio”e qualche altra.
Un'altra opera è al Comune, nell'ingresso, e una si trova nella Caserma dei CC. Ma in paese molte sono sparse nelle case di privati cittadini, alcuni artigiani, che entrarono in contatto col Maestro e che ne fece loro dono.
Il sogno sta per materializzarsi, ma – e qui sta il masochismo del Sud e le antiche e nuove sudditanze – ecco il black-out. La chiesa locale si inserisce nella trattativa: vuol fare di Palazzo-Ciardo un oratorio parrocchiale. Inoltre salta fuori un altro erede, è vedovo della nipote, è un artista, vive a Milano e possiede alcune fra le più belle opere del Maestro: vuol vendere alla Chiesa perché deve fare un viaggio e lui pensa che il Comune è un cattivo pagatore. La Chiesa invece paga pronta cassa: infatti la Diocesi di Ugento (vescovo Domenico Caliandro, oggi a Brindisi) mette i soldi sul banco.
Il Comune a questo punto rinuncia alla sua coscienza laica e invece di combattere si tira fiori. Casa-Ciardo va alla Chiesa, che in questi anni l'ha usata per il catechismo e il calcio balilla e ha fatto delle ristrutturazioni selvagge.
Una vicenda così contorta, alla Guareschi, non poteva che concludersi con un colpo di teatro. Poche settimane dopo, una mattina Biasco va in Comune e spulciando la posta del giorno cosa trova? Da Milano, una richiesta di autorizzazione per il trasporto di una salma: è quella del nipote di Ciardo che voleva vendere per farsi un viaggio. Ha realizzato il suo sogno: è morto nel sonno, di infarto, e arriverà a Gagliano per essere tumulato nella tomba di famiglia. Un bel viaggio su un carro funebre comodo, moderno, luccicante. Le opere del prozio in suo possesso finiscono a un ente religioso di Milano.
Biasco non si è arreso, è nella sua tempra: in questi anni a più riprese è tornato alla carica: chiedendo anche metà del Palazzo per un museo, visto che la casa è immensa. Ha ricevuto sempre rifiuti. Ma i tempi ormai sono maturi per un onorevole compromesso fra Comune e Chiesa, verrebbe da dire Don Camillo e Peppone. Per onorare un figlio illustre di Gagliano. E anche per far uscire il paese dalle tenebre dell'oscurantismo e del Medioevo. Gli altri stanno sugli esopianeti, qui la parola non vale niente...