Tap, "E se la spostassimo nelle zone già industrializzate?"

di FRANCESCO GRECO - Tap si, Tap no, Tap dove. Ulivi da spostare, poi torneranno (come quelli della Maglie-Otranto): l’arte dei pazzi. Intanto arrivano infiltrati e provocatori di professione: che devastano i muretti a secco, mentre il Tar del Lazio sospende i lavori per qualche giorno.

E’ una lotta contro il progresso? Non vogliamo assumerci i rischi che esso comporta? Non manca intanto il risvolto populista di chi gioca al tanto peggio tanto meglio. La rete che porta il gas ha fatto 8000 km passando dalla Turchia, la Grecia e l’Albania. Non hanno avuto paura. Ora si fermerà?

Ne parliamo col regista Massimo Fersini (“Totem Blue”, 2009), che sulla questione sta preparando un docu-film.

DOMANDA: In questi giorni ci sono stati scontri e proteste nella zona di Melendugno relative alla Tap. Lei che idea si è fatto? 
RISPOSTA: “Sono stato fuori per impegni di lavoro e non ero presente sul territorio, ma seguo quello che accade. Dinanzi a questi fatti cerco di pormi sempre con la massima imparzialità per dare una lettura oggettiva delle cose e per non essere tacciato di pregiudizi a priori, ma ahimè anche stavolta ci ritroviamo davanti a una brutta pagina che coinvolge il nostro territorio. Si parla sempre in nome del progresso e dello sviluppo, mi sono letto dei volantini divulgativi che vogliono tranquillizzare i cittadini, convincerli che la Tap non causa alcun danno, che si tratta solo di un canale che passa sottoterra e nessuno vede nulla. Ma non è proprio così. Intanto dove passa il cosiddetto canale, le piante vengono distrutte, il terreno viene scavato in profondità, ed è molto improbabile che si possa ristabilire tutto così com’era, e poi verranno costruite quelle macchine infernali preposte al funzionamento del gasdotto che non sono certo del tutto innocue, al contrario sono un pericolo per l’inquinamento, in una zona come quella di San Foca, tra le più belle d’Europa”.

D. E’ il caso di spostarlo da un’altra parte? 
R. “Qui non si tratta che nel mio orticello non va bene e negli altri si… Ma mi viene da chiedermi se è davvero necessario far passare miliardi di metri cubi di gas tra spiagge meravigliose e oliveti secolari, anziché in zone già industrializzate. Comunque il problema è la visione globale che ancora oggi si ha di progresso. Noi dobbiamo entrare nell’era che io definisco di “Capitalismo Bianco”, cioè un capitalismo moderno fondato sulle fonti energetiche pulite, sulla riduzione degli sprechi, dell’inquinamento, ma non solo, il Capitalismo Bianco deve rivoluzionare interamente il modello di vita attuale sempre più schizofrenico, con conseguenze anche sull’aspetto psichico delle persone. Bisogna scegliere un modello più slow, avere più attenzione verso ciò che ci circonda se vogliamo che il pianeta ci sopporti ancora per qualche decennio”.

D. E’ una questione che non riescono a risolvere a livello mondiale… 
R. “Non lo vogliono risolvere, e con questi chiari di luna… Tuttavia, negli altri paesi si stanno facendo passi avanti, nonostante tutto. Hanno cominciato la coltivazione della canapa industriale, poi il vento, l’acqua, il sole, addirittura si fanno esperimenti sul processo della fotosintesi come ipotesi di energia alternativa e qui ancora parliamo di gas e carbone”.

D. Si riferisce alla centrale di Cerano? 
R. “Esattamente. Il Salento è continuamente sottoposto a feroci violenze di natura ambientale. Dall’Ilva di Taranto, alla centrale a carbone di Cerano, Brindisi, adesso ci ritroviamo la Tap, per non parlare del flagello della xylella che ha distrutto l’intera economia agricola. E non finisce qui, spesso in mare e in terra c’è il ritrovamento di rifiuti tossici sotterrati per arrivare poi alle trivelle del petrolio in mare. Ma ci vogliamo dare una regolata o no? Tutto questo in un fazzoletto di terra come il Salento, una terra fragile che va preservata. Cosa ne vogliamo fare della penisola Salentina?”.

D. Nonostante tutto è sempre una delle méte turistiche più gettonate… 
R. “Al momento rimane la nostra unica fonte di guadagno, ma non credo che tutte queste operazioni distruttive giovino all’industria turistica. Vede, la forza del turismo nel Salento è proprio la valorizzazione del territorio. Le faccio un esempio: ogni struttura, dal più piccolo b&b al grande villaggio, si sposano con le caratteristiche del territorio. Ogni cosa si immerge nella natura salentina, crea una simbiosi con la campagna circostante, col cibo, col mare… Si crea un ambiente unico che permette agli ospiti di immergersi interamente nella nostra cultura che tradizionalmente è molto accogliente, ricca di storia, di tradizioni. Anche le strutture cosi dette di “divertimentifici”, se mi permette il termine, non sono corpi del tutto estranei al contesto. E questo risultato è stato possibile grazie all’intraprendenza delle persone che ci lavorano, al loro ingegno, che con poco hanno saputo creare un habitat importante per lo sviluppo turistico”.

D. Eppure Briatore dice che questo turismo non funziona con i ricchi… 
R. “Questa cosa mi fa un po’ ridere. Io non so Briatore a quali ricchi si riferisse. Probabilmente a una categoria di ricchi che ama il turismo escort, droga e discoteche. Una volta era sesso droga e rock and roll. Che con tutte le contraddizioni del caso almeno era un manifesto di libertà. Ma al di là delle battute, io so invece che molti ricchi amano proprio il nostro modello di turismo. E le posso assicurare che in Salento ci sono strutture di lusso, molto eleganti, che rispecchiano tutte le caratteristiche di cui dicevo prima. Guardi, dobbiamo capire una cosa. Non siamo a Dubai, dove in mezzo al deserto hanno costruito strutture post-moderne, extra lusso, corpi completamente estranei in mezzo a sterminati km di deserto. Qui da noi è completamento l’opposto. Una sinergia tra territorio, cultura, tradizione, cibo, mare e ovviamente le persone”.

D. Possiamo dire che in questo le politiche regionali hanno funzionato? 
R. “Stop! Non diamo ai politici meriti oltre il loro vero valore. I meriti, ripeto, sono tutti della gente che ci lavora”.