di FRANCESCO GRECO - Le piante, queste sconosciute.
Ci vivono accanto dal Big-Bang al pixel (incluse le specie ancora sconosciute, senza nome, e le loro proprietà edule, curative, officinali), ma chi può dire di conoscerle davvero?
Non certo noi, volgari consumatori di emozioni seriali e posticce, che allineati e coperti su disvalori, abbiamo sempre ignorato il loro mondo complesso e misterioso, i linguaggi, le funzioni, le interrelazioni, i messaggi che ci mandano e che, frettolosi e virtuali, sempre connessi, correndo verso l'ictus, non cogliamo.
E corriamo allegramente verso la cupio dissolvi disboscando senza limiti e annientando la ricchezza della biodiversità cui dobbiamo la vita. Un universo cui si approccia invece con curiosità escatologica, diremmo con umiltà , e il doveroso, etico furore per il suicidio collettivo in cui siamo immersi Stefano Mancuso, professore all'Università di Firenze e direttore del Laboratorio di Neurobiologia Vegetale. “Plant Revolution” (Le piante hanno già inventato il nostro futuro), Giunti Editore, Firenze-Milano 2017, pp. 272, euro 20 (collana “Grandi Orizzonti”, anche in versione ebook), è un lavoro ben strutturato, un labirinto di scoperte e di emozioni, che ci fa esclamare di continuo: “Ma davvero? Ma guarda... Cavolo! E io che credevo che...”.
Ci sono libri con cui l'empatia con chi li legge per parlarne è automatica, istintiva, semanticamente ricca. Questo saggio ha subito attivato l'ipotalamo della memoria, selezionato ricordi, smosso il vissuto. Quando si andava all'uliveto a fare la rimonda, zio Antonio, il fratello di mia madre Antonietta, diceva: ”L'albero ti parla...”.
Vero. Un albero parla a tutti. Se la mimosa del vostro giardino cresce piegata, è segno che ha addosso l'ombra di un'altra pianta, che le ruba la luce. Se avete due peschi e uno matura prima i frutti, vuol dire che prende più luce dell'altro, perché come dicono i vecchi e saggi contadini mediterranei “U sule ca te vide te scarfa” (Il sole che ti vede ti riscalda). Columella ha lasciato detto: “Solo lo sciocco pensa che coltivare la terra sia facile”. Mancuso si avventura quindi su un terreno, è il caso di dire, vergine, chissà perché, insondato, lasciato sullo sfondo degli studi e la ricerca, cui forse solo alchimisti e monaci si sono avvicinati, magari anche la medicina popolare, empirica e i cuochi del Rinascimento.
Auguriamo a questo libro (emozionante il corredo fotografico, cover di Rocìo Isabel Gonzà lez, foto dell'autore di Anna Maria Marras, progetto grafico di Yoshihito Furuya) una grande fortuna: sarebbe il segno di una ritrovata coscienza, di un neo-Umanesimo in progress, della rinnovata appartenenza a Demetra (Geo). La nostra rivoluzione. Anche così si spiega chi difende gli ulivi malati (fatti ammalare?) di Terra d'Otranto. Fra le pagine si intravedono sparse qua e là come illuminazioni tipo “Eureka!” i postulati per una non improbabile salvezza.
E se la rivoluzione non venisse da ideologie e religioni tutte relativizzate e ci fosse suggerita da una vellutata orchidea selvaggia, se la felicità fosse un segreto che una manciata di asparagi selvatici ci può suggerire?
E corriamo allegramente verso la cupio dissolvi disboscando senza limiti e annientando la ricchezza della biodiversità cui dobbiamo la vita. Un universo cui si approccia invece con curiosità escatologica, diremmo con umiltà , e il doveroso, etico furore per il suicidio collettivo in cui siamo immersi Stefano Mancuso, professore all'Università di Firenze e direttore del Laboratorio di Neurobiologia Vegetale. “Plant Revolution” (Le piante hanno già inventato il nostro futuro), Giunti Editore, Firenze-Milano 2017, pp. 272, euro 20 (collana “Grandi Orizzonti”, anche in versione ebook), è un lavoro ben strutturato, un labirinto di scoperte e di emozioni, che ci fa esclamare di continuo: “Ma davvero? Ma guarda... Cavolo! E io che credevo che...”.
Ci sono libri con cui l'empatia con chi li legge per parlarne è automatica, istintiva, semanticamente ricca. Questo saggio ha subito attivato l'ipotalamo della memoria, selezionato ricordi, smosso il vissuto. Quando si andava all'uliveto a fare la rimonda, zio Antonio, il fratello di mia madre Antonietta, diceva: ”L'albero ti parla...”.
Vero. Un albero parla a tutti. Se la mimosa del vostro giardino cresce piegata, è segno che ha addosso l'ombra di un'altra pianta, che le ruba la luce. Se avete due peschi e uno matura prima i frutti, vuol dire che prende più luce dell'altro, perché come dicono i vecchi e saggi contadini mediterranei “U sule ca te vide te scarfa” (Il sole che ti vede ti riscalda). Columella ha lasciato detto: “Solo lo sciocco pensa che coltivare la terra sia facile”. Mancuso si avventura quindi su un terreno, è il caso di dire, vergine, chissà perché, insondato, lasciato sullo sfondo degli studi e la ricerca, cui forse solo alchimisti e monaci si sono avvicinati, magari anche la medicina popolare, empirica e i cuochi del Rinascimento.
Auguriamo a questo libro (emozionante il corredo fotografico, cover di Rocìo Isabel Gonzà lez, foto dell'autore di Anna Maria Marras, progetto grafico di Yoshihito Furuya) una grande fortuna: sarebbe il segno di una ritrovata coscienza, di un neo-Umanesimo in progress, della rinnovata appartenenza a Demetra (Geo). La nostra rivoluzione. Anche così si spiega chi difende gli ulivi malati (fatti ammalare?) di Terra d'Otranto. Fra le pagine si intravedono sparse qua e là come illuminazioni tipo “Eureka!” i postulati per una non improbabile salvezza.
E se la rivoluzione non venisse da ideologie e religioni tutte relativizzate e ci fosse suggerita da una vellutata orchidea selvaggia, se la felicità fosse un segreto che una manciata di asparagi selvatici ci può suggerire?