di FREDERIC PASCALI - “A volte ritornano” potrebbe essere un lecito sottotitolo di commento al legal thriller diretto da Courtney Hunt con Keanu Reeves investito del ruolo di protagonista. Girato con una grande attenzione per i dettagli e una fotografia, a firma di Jules O’Loughlin, dal taglio classico e austero, il lungometraggio di Hunt ricorda alcuni espedienti del passato glorioso del cinema in bianco nero. “Il buio oltre la siepe” di Robert Mulligan è senza dubbio una di queste memorie così come l’idea della voce narrante dello stesso “particolare” protagonista fa venire in mente il sempiterno “Viale del tramonto” di Billy Wilder.
È l’avvocato Richard Ramsay che racconta, passo dopo passo, la storia di quella che forse è la sua causa penale più difficile. Deve difendere Mike, il giovane rampollo dei Lassiter, dall’accusa di aver ucciso a sangue freddo il padre Boone, avvocato ricchissimo e di fama nonché mentore dello stesso Ramsay. Il caso è apparentemente lineare e le prove contro Mike, nonostante le attenuanti invocate della madre Loretta, appaiono difficilmente confutabili. Sarà l’assistente di Ramsay, Janelle Brady, la prima a intuire che non tutto è come sembra.
I “trucchi” che la sceneggiatura di “Una doppia verità” fa usare a Ramsay/Reeves per portare la giuria dalla sua parte non funzionano altrettanto bene per ottenere lo stesso effetto nei confronti del pubblico in sala. È soprattutto la preparazione del colpo di scena finale che non solo non convince, ma dal principio induce al “chi va là” rovinando un po’ la sorpresa finale. Il cast oltre al citato Reeves si avvale di altri due mostri sacri quali Jim Belushi, “Boone”, e Renée Zellweger, “Loretta”, la più efficace di tutti e quella maggiormente in grado di dare corpo a un thriller che troppo spesso sembra specchiarsi e autocompiacersi. Decisamente apprezzabile l’impegno di Evgueni e Sacha Galperine per le musiche, meno quello per la scrittura svolto insieme a Nicholas Kazan. Eccellente il lavoro al montaggio di Kate Williams.
È l’avvocato Richard Ramsay che racconta, passo dopo passo, la storia di quella che forse è la sua causa penale più difficile. Deve difendere Mike, il giovane rampollo dei Lassiter, dall’accusa di aver ucciso a sangue freddo il padre Boone, avvocato ricchissimo e di fama nonché mentore dello stesso Ramsay. Il caso è apparentemente lineare e le prove contro Mike, nonostante le attenuanti invocate della madre Loretta, appaiono difficilmente confutabili. Sarà l’assistente di Ramsay, Janelle Brady, la prima a intuire che non tutto è come sembra.
I “trucchi” che la sceneggiatura di “Una doppia verità” fa usare a Ramsay/Reeves per portare la giuria dalla sua parte non funzionano altrettanto bene per ottenere lo stesso effetto nei confronti del pubblico in sala. È soprattutto la preparazione del colpo di scena finale che non solo non convince, ma dal principio induce al “chi va là” rovinando un po’ la sorpresa finale. Il cast oltre al citato Reeves si avvale di altri due mostri sacri quali Jim Belushi, “Boone”, e Renée Zellweger, “Loretta”, la più efficace di tutti e quella maggiormente in grado di dare corpo a un thriller che troppo spesso sembra specchiarsi e autocompiacersi. Decisamente apprezzabile l’impegno di Evgueni e Sacha Galperine per le musiche, meno quello per la scrittura svolto insieme a Nicholas Kazan. Eccellente il lavoro al montaggio di Kate Williams.