LECCE - “Giornate Salentine di Oncologia” progressi incoraggianti per i tumori del polmone, della vescica e dei reni. Individuato un bio-marcatore per il tumore del colon-retto. Le novità terapeutiche in Oncologia. E’ questo l’asse portante del convegno organizzato il 6 e 7 luglio all’Hotel Tiziano di Lecce dal primario di Oncologia del “Fazzi”, Giammarco Surico.
Salute Salento lo ha intervistato al termine dell’incontro che ha visto la partecipazione di un vasto uditorio e di una cinquantina fra relatori, moderatori e operatori di settore.
Nel padiglione oncologico “Giovanni Paolo II “ del “Fazzi “si pratica l’immunoterapia da almeno 2 anni. Una terapia che sta sostituendo in alcuni casi la chemioterapia, ma che – sostiene Surico – va in parte ridimensionata.
Con quali criteri viene utilizzata l’immunoterapia all’Oncologico del “Fazzi”?
«A Lecce utilizziamo l’immunoterapia ormai da un paio d’anni. Siamo uno dei centri in Italia più accreditati in quanto abbiamo accumulato notevole esperienza, anche grazie alla vicinanza della Direzione generale e sanitaria. I dati sono incoraggianti. Come nel caso del tumore al polmone. Prima la sopravvivenza era di 6 mesi; oggi si va oltre i 18 mesi, grazie all’immunoterapia nei tumori polmonari NON MUTATI, quelli cioè che non hanno espressioni di mutazioni bio-molecolari e che consentono l’utilizzo di farmaci target. Sono delle piccole molecole che riescono a dare anche loro una lungo-sopravvivenza. Benefici che riscontriamo anche nei tumori dell’urotelio e del rene.
Quali sono le novità terapeutiche nella cura dei tumori?
«L’immunoterapia è sicuramente un’arma importante dell’Oncologia. Ma non è la risoluzione della patologia. In alcuni tipi di tumore, come nel melanoma metastatico, abbiamo osservato che la sopravvivenza fino a pochi anni fa era praticamente nulla. Dai dati presentati al convegno abbiamo visto che circa il 73% dei pazienti sopravvive dopo 2 anni e circa il 50% dopo 5 anni. Il problema dell’Immunoterapia oggi è capire quando usarla e perché usarla. E’ importante la ricerca di un bio-marcatore che sia predittivo di risposta».
Nella sua relazione sul tumore del colon-retto lei parla di un bio-marcatore già individuato.
«Questo marcatore è l’instabilità microsatellitare. Provo a spiegare. Quando una cellula si divide in due parti uguali, molte volte il Dna subisce delle modificazioni. Quindi intervengono dei meccanismi di riparazione per rendere uguali le due parti. Se si hanno delle mutazioni genetiche noi abbiamo delle riparazioni incomplete perché il meccanismo di riparazione non è stato adeguato. Nei soggetti che esprimono queste mutazioni noi abbiamo delle grandi risposte. Circa il 30% dei tumori colon-rettali presentano questa mutazione. E la risposta alla terapia consente una sopravvivenza molto più lunga. A 12 mesi il 73% dei pazienti con questa alterazione dei meccanismi di riparo è vivo. Nei prossimi mesi verificheremo quali miglioramenti ci saranno stati in un follow up a 2 – 3 anni».
Pembrolizumab, Nivolumab, Avelumab, Atezolizumab, sono farmaci molto costosi utilizzati nell’immunoterapia Ma sono anche «miracolosi» come si sente dire da più parti?
«Sono farmaci immunologici che vengono utilizzati per sbloccare e svegliare il sistema immunitario e quindi consentire che il corpo stesso determini una risposta. Qui a Lecce li utilizziamo da un paio di anni e abbiamo buone risposte. E’ chiaro che non si possono fare a tutti i pazienti. Occorre una selezione sulla base di una documentazione scientifica. Nei prossimi mesi credo che la ricerca ci porterà ad individuare il bio-marcatore che consente di selezionare quei pazienti che possono beneficiare di una risposta concreta. Anche perché il costo di questi farmaci è notevole e la vita del paziente non ha costo».
Salute Salento lo ha intervistato al termine dell’incontro che ha visto la partecipazione di un vasto uditorio e di una cinquantina fra relatori, moderatori e operatori di settore.
Nel padiglione oncologico “Giovanni Paolo II “ del “Fazzi “si pratica l’immunoterapia da almeno 2 anni. Una terapia che sta sostituendo in alcuni casi la chemioterapia, ma che – sostiene Surico – va in parte ridimensionata.
Con quali criteri viene utilizzata l’immunoterapia all’Oncologico del “Fazzi”?
«A Lecce utilizziamo l’immunoterapia ormai da un paio d’anni. Siamo uno dei centri in Italia più accreditati in quanto abbiamo accumulato notevole esperienza, anche grazie alla vicinanza della Direzione generale e sanitaria. I dati sono incoraggianti. Come nel caso del tumore al polmone. Prima la sopravvivenza era di 6 mesi; oggi si va oltre i 18 mesi, grazie all’immunoterapia nei tumori polmonari NON MUTATI, quelli cioè che non hanno espressioni di mutazioni bio-molecolari e che consentono l’utilizzo di farmaci target. Sono delle piccole molecole che riescono a dare anche loro una lungo-sopravvivenza. Benefici che riscontriamo anche nei tumori dell’urotelio e del rene.
Quali sono le novità terapeutiche nella cura dei tumori?
«L’immunoterapia è sicuramente un’arma importante dell’Oncologia. Ma non è la risoluzione della patologia. In alcuni tipi di tumore, come nel melanoma metastatico, abbiamo osservato che la sopravvivenza fino a pochi anni fa era praticamente nulla. Dai dati presentati al convegno abbiamo visto che circa il 73% dei pazienti sopravvive dopo 2 anni e circa il 50% dopo 5 anni. Il problema dell’Immunoterapia oggi è capire quando usarla e perché usarla. E’ importante la ricerca di un bio-marcatore che sia predittivo di risposta».
Nella sua relazione sul tumore del colon-retto lei parla di un bio-marcatore già individuato.
«Questo marcatore è l’instabilità microsatellitare. Provo a spiegare. Quando una cellula si divide in due parti uguali, molte volte il Dna subisce delle modificazioni. Quindi intervengono dei meccanismi di riparazione per rendere uguali le due parti. Se si hanno delle mutazioni genetiche noi abbiamo delle riparazioni incomplete perché il meccanismo di riparazione non è stato adeguato. Nei soggetti che esprimono queste mutazioni noi abbiamo delle grandi risposte. Circa il 30% dei tumori colon-rettali presentano questa mutazione. E la risposta alla terapia consente una sopravvivenza molto più lunga. A 12 mesi il 73% dei pazienti con questa alterazione dei meccanismi di riparo è vivo. Nei prossimi mesi verificheremo quali miglioramenti ci saranno stati in un follow up a 2 – 3 anni».
Pembrolizumab, Nivolumab, Avelumab, Atezolizumab, sono farmaci molto costosi utilizzati nell’immunoterapia Ma sono anche «miracolosi» come si sente dire da più parti?
«Sono farmaci immunologici che vengono utilizzati per sbloccare e svegliare il sistema immunitario e quindi consentire che il corpo stesso determini una risposta. Qui a Lecce li utilizziamo da un paio di anni e abbiamo buone risposte. E’ chiaro che non si possono fare a tutti i pazienti. Occorre una selezione sulla base di una documentazione scientifica. Nei prossimi mesi credo che la ricerca ci porterà ad individuare il bio-marcatore che consente di selezionare quei pazienti che possono beneficiare di una risposta concreta. Anche perché il costo di questi farmaci è notevole e la vita del paziente non ha costo».